Mi trovai così bene, nel mio nuovo ambiente di lavoro, da temer di sognare. Stavo pensando a quella classe che li professore Rao non aveva voluto perché, a suo avviso, quelle ragazzine, eran tutt'altro che birichine e petulanti... Erano, a suo avviso, introverse e malpensanti. La classe che prescelse, fu quella che l'anno precedente, era stata assegnata ad una supplente. Ma ora, la docente, avendo superato la prova per il passaggio al ruolo, ripredeva la propria classe. La mia, era dunque a tutti gli effetti, la non invidiata, III^ D.
Ero immerso nei miei pensieri ed un po' preoccupato, quando il Preside, mi chiamava... In parlatoio, mi disse: “Professore, l'ho convocata per darle alcune informazioni preliminari, inerenti alla sua classe III^ femminile che coscerà domani. Intuisco cosa, le avranno detto... Ma vede... bisogna farsene una ragione: su diciotto, ben nove, e quind la metà, hanno una doppia nazionalità, e parlano due lingue: il Francese o, il Rumeno, e l'Italiano. Non sono introverse per ordire malfatti, ma perché risentono della mancanza della figura paterna.
I loro rispettivi genitori lavorano, ognuno nel paese d'origine; le malcapitate, risiedono, soltanto con la madre, qualcuna, come nel caso della Ponzo, con la sorella... Non sono avvezze ad contatti con persone di sesso opposto, ragion percui nei primi tempi potrà loro apparire provocatorio avere un'intesa affettiva, con persone, di sesso opposto al loro.” Uscivo dal parlatoio, un po' stravolto: ”Chissà,” pensavo, “come si comporteranno... Che idea si faranno del professore, avendo sempre avuto delle professoresse...”
L'indomani, trovai la porta chiusa; pensando che ci fosse l'insegnante dell'ora precedente, bussavo; qualcuno disse: ”Avanti...” La porta sembrò aprirsi da sola. Al mio ingresso si alzavano diciotto fanciulle, quali rose selvagge...
Tra quelle rose di una beltà acerba, non disdegnose delle proprie spine, una, m'attrasse per lo sguardo dolce... Dissi alla classe: “C'è un'aria frizzate...” E lei si volse a chiuder la finestra.
Sentii la chioma del color del grano, carezzare il mio viso. Fu proprio lei la prima, alla quale volgevo una domanda: “Come ti chiami?” Mi rispondeva con dolcezza: ”Alida,” dopo essersi alzata. “Sì,” rispondevo, come soprapensiero.... “E il tuo cognome?”
Rialzandosi, rispose: “Simonelli.” E abbassava lo sguardo, vergonosa, d'aver destato la mia attenzione. ”Puoi sedere.” Sentivo espandersi, come in un fruscio, un sottil malignare.
Aprivo il mio registriro; mi accingevo a leggere quei nomi, prima da solo, per pronunciarli, poi correttamete e con disinvoltura. Lessi il primo cognome mentalmente, ma non riuscivo a capire il nome; “è Francesca?...” mi dissi impercettibilmente, lo pronunciavo.
Vidi fissarmi il volto di una alunna, che quasi nulla aveva della fanciulla.
Senza alzarsi, mi disse: “Ha letto bene perché quello che ha appena pronunciato, è il mio nome.” Notando, così grave l'espressione, le dicevo: “Perché hai quell'aria? Qualcosa ti preoccupa.” Mi rispondeva, sdegnosa, restando al proprio posto: “Queste, se non le dispiace, son cose personali.” Sentii una stretta... e forse fu una mano, a impedire al mio cuore paterno, uno schiaffetto.
La prima gaffa a scuola, mi diceva, d'avere un autorevole contegno. Chiamavo la bidella e le dicevo di portarmi l'incipit, per chi non lo sapesse, un'assicella. Comparve sulla soglia, signora, dall'epressione di dolce fanciulla, che chiamavan l'ancella per i modi. “Professore, mi dica...”
Le dicevo: “Signora, mi perdoni... Può portarmi l'icipit?”
“Volentieri,” rispose, “glielo porto...” Ed era sì palese, il suo rossore... Che sentivo il dovere di spiegare...
“E' una asticella, con un capanello, simile a un incensiere, che nel suo interno porta dell'incenso.” Le lessi in volto un po' di meraviglia, ma accennando a un sorriso, disse: “Vado.” Da lì, a breve, la vidi ritornare... Ed era esacerbata; mi guardò con sgomento... E chinò il capo... “Professore, mi spiace, è solo un grammo.” Cercava di spiegarmi, ma la voce era tremante...
Le dissi con dolcezza: ”Che succede... Non le faccia soffrir queste ragazze... E quanto a me... La prego di capirmi...”
Si fece forza, e disse: “A fine di lezione, le racconto...”
Le dicevo di fronte, alle ragazze: “Signora, non ci pensi... Resti anora un momento...” Traevo dalla borsa l'acqua santa, che tenevo con me per ogni inizio; “Signora, anche per lei, sia un nuovo giorno.” Mi rivolsi alla classe; il tono era solenne: “In piedi......... Facciamo il segno della Croce...”
L'appello è stato fatto; inizia la lezione.
- Blog di Giuseppina Iannello
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