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Dalla biografia di nonno Letterio - Zia Lucrezia

Camminavo rasente al muro per sentirmi più protetto, quando mi sfiorò una rondine; capii che qualcosa di nuovo era avvenuto: la mia memoria faceva grandi passi. Ma, Tu, Messina volevi sapere se conoscessi tutte le vie e le strade.
Le conoscevo, ma solo prestando molta attenzione; perciò, camminavo sempre ove ci fosse meno afflusso di passanti.
“Tra poco passerò dalla piazza principale e comprerò le fragole coi soldi della zia.” Questa buffa frase mi ritornò alla mente, quell'oggi, mentre passavo da piazza Cairoli. Anch'io fui un adolescente
che a volte, stanco della scuola, sostava presso gli alberi vetusti e meditava di far campagnola.
Mio padre ci educava, solitamente, con la parola, ma a volte, anche al suon di vergate. Ma gli volevo un grande bene.
Mia madre non parlava mai e per questo, nipote, mi ammalavo di quel cerebralismo che soltanto da me potevi ereditare. Che cosa era avvenuto?
Si era ristretto un neurone della corteccia cerebrale e, per questo motivo le arterie principali ricevendo poco sangue, portavano poco ossigeno al cervello.
L'impedimento avveniva, tutte le volte, che solo, cercavo tra la gente, una parola.
La mia vita subì uno strappo con la morte di Lucrezia, l'unica sorella della mamma. Non avevamo altri parenti.
Mi chiusi nel mio silenzio, cercando conforto in tutte quelle cose che sapevano parlare al mio cuore:
Una foglia od un fiore dentro a un libro, un ninnolo, una piuma o, ancora sull'eremo una Chiesa, la mano bianca di una suora...
Ma in un giorno di folle estrema crisi, cercai mio padre per dirgli... tante cose.
“Voi mi parlate, padre, sempre de giardini di Nuova Orleans, perché ci siete stato. Ma non mi parlate mai di nostra madre, del vostro fidanzamento...”
Rispose: “Non sono argomenti da fare a un diciottenne...”
Poi, intuendo quanto ci fossi rimasto male, mi chiamava in separata sede: “Che cosa vuoi sapere?”
“La mamma” dissi, “non ci parla mai; Tu per farla felice, le hai portato cinque fanciulli. Io sarei il quarto figlio, ma so bene che sono il primo e, solo, il sesto, Nino, è mio fratello. Ognuno ha un carattere a sé ed io mi sento solo. Padre, perché la mamma non mi parla?”
Rispose: “Se comincio a parlare, figlio mio, non riuscirò a dar tregua al mio dolore. Dunque, devi sapere, che fosti il primo figlio; ben tu l'avrai capito dai documenti: 17 Ottobre 1683.
La mamma non vi parla, né vi sfiora perché è malata. Teme di contagiarvi. Ha avuto un trauma. Ma tu non sai, con quanta dolcezza, riusciva a dirmi sottovoce: Giovanni, aspetto il primo figlio.
A quelle parole, la strinsi forte a me; Ella mi corrispose. Ma poi si chiuse nel silenzio.
Soltanto tu le dicevi: Datemi un bacio, mamma... Ed Ella ti guardava con occhi lacrimevoli. Voleva dirti: non posso... Sono malata del male che ha rovinato la mia famiglia.
Devi sapere che Lucrezia, quella zia tanto buona e bella, fu, pur non volendo, la responsabile della disgrazia in casa Aliprandi. Tua madre non si esponeva.... Ma Lucrezia faceva sfoggio della propria avvenenza. Ella era molto corteggiata da due fratelli, e specialmente dal maggiore, dal quale ella aspettava un figlio. Un giorno Lucrezia, disse alla sorella: Francesca, prestami il tuo anello; egli, il mio ex, deve sapere che perfino suo fratello mi corteggia. Se Egli saprà questo, non vedrà l'ora di sposarmi.
Tua madre, quell'anello lo nascose... Ma Ella si infierì: Dammelo!... Poi te lo restituisco. Voglio si ingelosisca... Altrimenti, non mi sposa! Tua madre non cedette: Non te lo do; e basta! Ma il giorno dopo accadde che il fratello minore, le portasse una parure. Inorgoglita, Lucrezia disse a tutti del regalo. Fu così, che i due fratelli si apostrofarono, come cani ringhiosi.
Nonna Caterina, seppe del guaio in cui si era cacciata la sua figlia minore; chiamò i due contendenti, entrambi in separata sede: Come vi siete permessi di frastornare la mi' figliola?! Con qual ardire osate complottare di umiliarla? Ella non ha che un torto: aver reagito contro l'impazienza, atteggiandosi a birichina. Non si sarebbe arrivati a questi estremi, se uno dei due l'avesse sposata. Ed ora, datevi la mano e tu, Giulio prometti che sposerai la mia bambina; ella da Te aspetta un figlio... O mi sono sbagliata?
Giulio, promise di assumersi le proprie responsabilità e quindi, sposare Lucrezia, ma l'altro, alla parola figlio, pronunciata anche dal giovane, andò su tutte le furie e preso un coltello da cucina, accoltellò, Caterina, riducendola in fin di vita. Per il mostruoso crimine, Lucrezia e Francesca, rimasero paralizzate per un lungo lasso di tempo.
Per non dare nell'occhio, i due, invece di scappare, si trincerarono in casa, simulando la malattia della nonna. Se Ella si riprende, dissero, tutto è bene, quel che finisce bene... Ma se non dovesse riprendersi, fingeremo che ha avuto un collasso. La nonna non si riprese; Lucrezia piangeva sommessamente, mentre Francesca si mise a gridare così forte, da farsi sentire nell'intero isolato. Fu improvvisata una veglia funebre.
Ero in strada, perché da quelle parti, un amico, mi aveva commissionato un violino, quando sentii le grida laceranti di una fanciulla. Per poterla aiutare, mi finsi appaltatore.
Venne ad aprirmi Lucrezia; le dicevo: Signorina, vengo per quell'appalto di cui mi parlò il signor Capofamiglia.
Il babbo non c'è. Abbiamo avuto un lutto. Se vuole accomodarsi... Faccia da sé.
Chi grida?”
Francesca mi veniva incontro, gridando e mi gettò le braccia al collo; “O Signore, Signore, sapeste quello che accaduto!... Hanno ammazzato la mia mamma!”
Rabbrividivo. Mi vidi sul cuore quella rondinella...
Le dissi: “Vieni, ti porterò lontano; dai ancora un bacio alla tua mamma e dille solo: Ciao.”
Così Francesca, dopo aver baciato la mamma volò tra le mie braccia. Entrò nella sua stanza, il tempo di prendere le sue cose... perché se fosse rimasta un istante di più, alla prima tragedia se ne poteva aggiungere un'altra. Riusciva ancora a parlare e disse: “Non  lascerò in questa casa i miei vestiti e ciò che mi appartiene.” Rimaneva a fissarla il suo cappello, quello dei giorni in cui erano stati felici; si volse verso di me: “Che faccio? Lo prendo?”
“Prendetelo,” risposi. Con quel cappello che immaginai indossato, riconoscevo la contessina di tanti anni fa, quella che mi aveva parlato sul molo. Prendemmo la carrozza, ma ora lei si ammutoliva, quasi voleva ritornare indietro, che la mamma le mancava tanto. “Quando ritorna il mio papà, non saprà mai come sono andante le cose... Lucrezia gli dirà? C'è sempre quel bell'imbusto che finge di sostenere mia sorella... E sarà data per certa la malattia. Quando papà ritorna e scopre l'accaduto, magari penserà che son fuggita...”
O, la vita, la vita, e cominciava a piangere a dirotto. La sera sopraggiunse e la trovai dormiente, tra le mie braccia.
Mio padre, concludeva il racconto di quel tragico avvenimento, dicendomi: “La mamma è rimasta con un cuor di fanciulla; non pensare che non vi voglia bene.
Tu dici di notare un rifiuto, quando vi tocca; è esattamente l'opposto; Ella teme di perdervi, proprio come accadde a lei, che perdeva la sua mamma, proprio dopo aver ricevuto una coccola.
Io ti suggerisco una prova: quando ella è alla specchiera, dille tante cose belle: oggi siete più bella; avete cambiato pettinatura?”
“Vedrai che ti sorride.”

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