Scritto da © Giuseppina Iannello - Lun, 12/08/2013 - 18:11
“Figlio, se senti un grido, non temere tu fosti il precettore degli ultimi De Meo...
Adesso, va'... Figghiuzzu, ritorna un altro giorno.
Ricorda che la gioia ha il sopravvento sul dolore. L'amore non esclude, travalica la morte. E tu hai un anello, quindi una promessa.”
La mamma si congedava con un un bacio. Rimasi a pensare al mio anello; c'era foggiato un giglio, ma non osavo prenderlo, temendo per l'emozione, di farlo scivolare. E non osavo stringerlo, quasi temendo di scalfirlo. Ma lo coglievo a sera, dolcemente, lo tenevo racchiuso tra le mani; poi le schiudevo per posarvi un bacio. Non riuscivo ancora a ricordare l'avvenimento legato all'anello, ma ne riconoscevo la sacralità, mentre ritornavano intensi i contorni di una dolcissima e triste storia d'amore.
Era oramai, l'ora di far ritorno alla piccola comunità che mi aveva accolto.
Ma era tardi, per cercare una vettura. E, poi, non avevo un soldo. Mi immisi su una strada di campagna... Mi appisolavo sotto un castagneto.
Mi svegliavo alle quattro, puntualmente, come accadeva ormai da un po' di tempo. Mi incamminai verso il rione Giostra, aspettando il mattino.
Raggiunto il cimelio della vecchia giostra, rimasi seduto su di uno sasso, pesando alla mia situazione. Non avevo bevuto, né mangiato... Ma non avevo stimoli di sete, né di fame.
Rimanevo seduto e pensieroso, quando sentii una folata... Ed una voce... Riconobbi la voce di mio padre: “Non era qui, la nostra casa... Era un po' più giù.” Mi alzavo e, vinto dal rimorso per essermi imbarcato... Non avevo quasi il coraggio di tendergli le braccia. Ma mio padre mi abbracciava e mi diceva di non aver sensi di colpa. “Padre,” gli dissi “io vi chiedo perdono, per tutte le mie manchevolezze; non so cosa mi accadde, ma mi succede sempre: due momenti, uno di gioia e uno di dolore si alternano, quasi, combaciando.
E mentre Tu mi abbracci, babbo mio, la mente si schiarisce, la memoria ritorna. Sento la forza di ricostruire i fatti”.
Mi rivedo in un'alba gelida per strada... Ebbi un presentimento: qualcuno mi diceva la tua bella è morente; accorri al capezzale. Oh... Il mio tesoro!...
Il giorno prima l'avevo presa in braccio con l'abito da sposa; il giorno prima ancora, si era stretta al mio cuore, e, come un fringuello, con quel suono argentino della voce, mi aveva detto: sposiamoci, ma senza far clamore, quasi in segreto; eviteremo che i persecutori, spargano il loro veleno in fino alla cappella, come già avvenne per i miei genitori. Sposiamoci... Non vi chiedo d'essere loquace, nè di trascorrere noi la notte insieme, ma per quel po' che ancora mi rimane, sapremo d'esserci consacrati dinnanzi a Dio. Vi ricordate il fior raccolto insieme? Mi sono resa immune dal veleno, bevendo alcune gocce alla radice.
Io morirò però, di mal sottile. O tesoro, non dirmi queste cose...
Parlerò con il diacono oggi stesso...” E l'abbracciavo il mio dolce amore, dicendole: “Distogli ogni cattivo presagio. Non morirai.” E le mettevo al braccio un cinturino di corallo.
“Che cosa mi succede? La vista mi si annebbia?!”
Ma ecco, la memoria mi ritorna...
Accorrevo... La vidi nel suo letto, come una rosa, aspersa dell'ultimo pianto: “Non volevo morire... Ma voi siete al mio fianco... E, allora, non si pianga; voglio dirvi una cosa: quando sarete a casa, in qualunque momento, rievocatelo il nostro sposalizio...” Qualcuno l'aiutava a togliersi dal collo, la bianca coroncina... Ponendola così fra le mie e le sue dita, mi disse: “Promettete?” Risposi: “Prometto di non lasciarti mai.” E fu lei a concludere: “Le nostre mani restino congiunte nel riposo dei morti, e nella gloria di Dio.”
Fu così che la mia sposa chiudeva gli occhi, a soli diciannove anni, c'erano il cappellano, due pie donne e l'arcivescovo che ci aveva sposati il quale mi disse: “Fate coraggio Iddio benedice le vostre nozze.”
Lasciavo la mia sposa, dandole un bacio sulla fronte: “Tesoro, a presto.”
Lasciavo la mia bella “addormentata”, solo il tempo di avvisare i miei genitori. Quel trapasso così repentino, aveva lasciato un solco nella mia anima, e mi accorgevo di non sapermi reggere in piedi.
Tu, papà, che mi stavi venendo incontro, hai saputo per primo; altri cerchi si aggiunsero ai tuoi occhi.
Poi la mamma, accorsa, pianse a dirotto, mentre io, disperato, mi lasciavo andare all'ultimo grido.
Facevo ritorno alla veglia, con i miei genitori. La trovammo avvolta in una tunichina, color avorio, come era suo desiderio. Il cappellano, poi ci leggeva le sue ultime volontà: ”Lasciatemi nella bara, ma rimanga questa scoperta, almeno per la durata di cinque giorni. Se, poi, il mio corpo, dovesse dare segno di cedimento, la chiuderete.”
Vegliammo lungamente, quella sposa bambina... Soltanto il viso etereo rivelava il trapasso, ma i bei capelli, come pura seta, risplendevano ancora il visino etereo, rivelava il trapasso. Di quanto era successo, non riuscivo a fari una ragione.
“Dormi il sonno degli angeli, amor mio; presto, saremo insieme.”
* C o n t i n u a *
Adesso, va'... Figghiuzzu, ritorna un altro giorno.
Ricorda che la gioia ha il sopravvento sul dolore. L'amore non esclude, travalica la morte. E tu hai un anello, quindi una promessa.”
La mamma si congedava con un un bacio. Rimasi a pensare al mio anello; c'era foggiato un giglio, ma non osavo prenderlo, temendo per l'emozione, di farlo scivolare. E non osavo stringerlo, quasi temendo di scalfirlo. Ma lo coglievo a sera, dolcemente, lo tenevo racchiuso tra le mani; poi le schiudevo per posarvi un bacio. Non riuscivo ancora a ricordare l'avvenimento legato all'anello, ma ne riconoscevo la sacralità, mentre ritornavano intensi i contorni di una dolcissima e triste storia d'amore.
Era oramai, l'ora di far ritorno alla piccola comunità che mi aveva accolto.
Ma era tardi, per cercare una vettura. E, poi, non avevo un soldo. Mi immisi su una strada di campagna... Mi appisolavo sotto un castagneto.
Mi svegliavo alle quattro, puntualmente, come accadeva ormai da un po' di tempo. Mi incamminai verso il rione Giostra, aspettando il mattino.
Raggiunto il cimelio della vecchia giostra, rimasi seduto su di uno sasso, pesando alla mia situazione. Non avevo bevuto, né mangiato... Ma non avevo stimoli di sete, né di fame.
Rimanevo seduto e pensieroso, quando sentii una folata... Ed una voce... Riconobbi la voce di mio padre: “Non era qui, la nostra casa... Era un po' più giù.” Mi alzavo e, vinto dal rimorso per essermi imbarcato... Non avevo quasi il coraggio di tendergli le braccia. Ma mio padre mi abbracciava e mi diceva di non aver sensi di colpa. “Padre,” gli dissi “io vi chiedo perdono, per tutte le mie manchevolezze; non so cosa mi accadde, ma mi succede sempre: due momenti, uno di gioia e uno di dolore si alternano, quasi, combaciando.
E mentre Tu mi abbracci, babbo mio, la mente si schiarisce, la memoria ritorna. Sento la forza di ricostruire i fatti”.
Mi rivedo in un'alba gelida per strada... Ebbi un presentimento: qualcuno mi diceva la tua bella è morente; accorri al capezzale. Oh... Il mio tesoro!...
Il giorno prima l'avevo presa in braccio con l'abito da sposa; il giorno prima ancora, si era stretta al mio cuore, e, come un fringuello, con quel suono argentino della voce, mi aveva detto: sposiamoci, ma senza far clamore, quasi in segreto; eviteremo che i persecutori, spargano il loro veleno in fino alla cappella, come già avvenne per i miei genitori. Sposiamoci... Non vi chiedo d'essere loquace, nè di trascorrere noi la notte insieme, ma per quel po' che ancora mi rimane, sapremo d'esserci consacrati dinnanzi a Dio. Vi ricordate il fior raccolto insieme? Mi sono resa immune dal veleno, bevendo alcune gocce alla radice.
Io morirò però, di mal sottile. O tesoro, non dirmi queste cose...
Parlerò con il diacono oggi stesso...” E l'abbracciavo il mio dolce amore, dicendole: “Distogli ogni cattivo presagio. Non morirai.” E le mettevo al braccio un cinturino di corallo.
“Che cosa mi succede? La vista mi si annebbia?!”
Ma ecco, la memoria mi ritorna...
Accorrevo... La vidi nel suo letto, come una rosa, aspersa dell'ultimo pianto: “Non volevo morire... Ma voi siete al mio fianco... E, allora, non si pianga; voglio dirvi una cosa: quando sarete a casa, in qualunque momento, rievocatelo il nostro sposalizio...” Qualcuno l'aiutava a togliersi dal collo, la bianca coroncina... Ponendola così fra le mie e le sue dita, mi disse: “Promettete?” Risposi: “Prometto di non lasciarti mai.” E fu lei a concludere: “Le nostre mani restino congiunte nel riposo dei morti, e nella gloria di Dio.”
Fu così che la mia sposa chiudeva gli occhi, a soli diciannove anni, c'erano il cappellano, due pie donne e l'arcivescovo che ci aveva sposati il quale mi disse: “Fate coraggio Iddio benedice le vostre nozze.”
Lasciavo la mia sposa, dandole un bacio sulla fronte: “Tesoro, a presto.”
Lasciavo la mia bella “addormentata”, solo il tempo di avvisare i miei genitori. Quel trapasso così repentino, aveva lasciato un solco nella mia anima, e mi accorgevo di non sapermi reggere in piedi.
Tu, papà, che mi stavi venendo incontro, hai saputo per primo; altri cerchi si aggiunsero ai tuoi occhi.
Poi la mamma, accorsa, pianse a dirotto, mentre io, disperato, mi lasciavo andare all'ultimo grido.
Facevo ritorno alla veglia, con i miei genitori. La trovammo avvolta in una tunichina, color avorio, come era suo desiderio. Il cappellano, poi ci leggeva le sue ultime volontà: ”Lasciatemi nella bara, ma rimanga questa scoperta, almeno per la durata di cinque giorni. Se, poi, il mio corpo, dovesse dare segno di cedimento, la chiuderete.”
Vegliammo lungamente, quella sposa bambina... Soltanto il viso etereo rivelava il trapasso, ma i bei capelli, come pura seta, risplendevano ancora il visino etereo, rivelava il trapasso. Di quanto era successo, non riuscivo a fari una ragione.
“Dormi il sonno degli angeli, amor mio; presto, saremo insieme.”
* C o n t i n u a *
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