Io fui Camille Marie De Belamis.
Il nome di Mary, mi fu imposto; e, per altro, corredato di un appellativo di dileggio, Cassat. Mi fu dato all'insaputa e, solo dopo la mia dipartita.
I più noti esponenti della “nuova borghesia”, con alla testa Gui De Mallarmè, cercarono sempre di squalificarmi...
Si adoperarono a dequalificarmi, così come fecero con altri esponenti della cultura Illuminista. Non si voleva dar alito agli interscambi culturali, perché avrebbero nuociuto alle pretese espansionistiche del Colonialismo. Unitamente ad altre, personalità, benché non avessi conoscenze, mi ero data un impegno: manifestarmi in ogni atteggiamento... Perché la poesia e l'arte, sono libera espressione del sentimento. E, il sentimento, non conosce dogmi, né paradigmi, ma, si inchina alla legge di Dio.
Le aspettative e l'amore
Ormai diciannovenne, non chiesi altri pareri... ché ne avevo chiesti fin troppi... Ma rifugiandomi nel sogno di conoscere qualche esponente dell'Impressionismo, consegnavo i miei acquerelli allo stesso Gui.
Fu un errore. Egli adottò, nei miei confronti, una deplorevole strategia. Mi disse: “Datemi i vostri lavori; mi impegno già da oggi, a trasferirli all'Accademia. Potreste ottenere qualche approvazione... Ma... Vi invito alla prudenza. E, se non disponete del denaro sufficiente... Lasciate perdere.”
Quello strano incoraggiamento, mi lasciò perplessa... Non riuscivo a pensare alla frode... Ma volli essere prudente e gli consegnavo soltanto i miei disegni, qualche schizzo a carboncino.
Appena, li ebbe tra le mani, fingendo l'autoironia, mi apostrofò con una parolaccia:
“... per.... La miseria!... Pensavo mi degnaste di un più alto rilievo...
Comunque, non temete... che se non vanno...avrò cura di restituirveli.”
Impallidii, pensando al peggio.
Ma venivo smentita.
Dopo appena quindici giorni, mi giungevano confortanti notizie, da parte di una strana equipe: “Siamo lieti di dirle che le opere van bene, ed, ovviamente, son degne di un soddisfacente compenso. Rinnoviamo i nostri elogi...”
Successivamente, dopo alcuni giorni...
“Ci pregiamo informarla... dell'immediato successo di ogni sua opera. La preghiamo soltanto di concedere agli aquirenti la disponibilità, da parte Vostra, a un probabile acquisto.”
Non mi formalizzavo; concedevo la mia disponibilità, non per trarne un vantaggio in aliquote...
Avevo già dato tutti i miei risparmi.
Il mio obiettivo fu un altro: valorizzarmi... ma, in un rapporto di sintesi, con gli altri: “Io ricevo da Te le tue attenzioni; Tu ricevi da me, le mie speranze.”
Volevo essere in forma... Trasmettere i miei ideali... Avere molti amici...
Ma volgevano i giorni... Senza che delle mie opere, mi giungesse la benché minima notizia. Volsero i mesi, senza che me ne rendessi conto...
Trascorsero sei anni.
Avevo preso l'abitudine di riposare un po', anche in pieno giorno. Forse ero sfinita.
Un bel giorno, mi svegliai... E, come di soprassalto, aprivo gli occhi: “Quanto tempo è passato?”
Fu lo squarcio di un attimo a svelarmi che ero stata abbandonata.
.... Sentii e vidi gli estratti di ogni mio lavoro: circolavano, piangenti, nei mercatini. Quanto agli originali, eran stati venduti a caro prezzo...
Ed eran nelle mani dei pochi ingenui... lieti di averli... solo che pensarono fossi una libera artista, alquanto opportunista.
Piansi.
Veniva a consolarmi mia madre; la sola sempre pronta a comprendermi e ad asciugare le mie lacrime: “Figlia... non dirmi niente... Che queste cose, le avevo immaginate. Ma, rispondi, piuttosto, alla domanda: vuoi bene a quel Signore?”
Mi sollevai... e come colta di sorpresa, le dissi: “Di chi parlate?”
Rispose:
“Parlo di quel tale... che t'incontrò la prima volta. Dunque, gli vuoi tu bene?”
“Sì... ma come lo sapete?!...”
Mi strinse ancora a sé: “Forse è il momento, amore, che ti riveli qualcosa: non perderti in chimeriche illusioni... Cerca invece chi può riempirti la vita dandoti tanto amore.”
Mi impressionavo...
Perché mia madre la sentivo tremare: “Madre, che cosa vi accade?”
“Niente...” Ma la sentivo vacillare; si aggrappò ad una sedia, cercando di spiegare:
“Figlia, non posso dirti tutte le parole...” Ma da quel giorno... mi accade di incontrarlo... specie all'imbrunire.
Egli è sempre gioviale e mi saluta con deferenza: “Oh, mia signora...”
Qualche volta lo vedo un po' turbato: “Je ne comprends pas... Non vi vedo tranquilla mia signora. Vengo per dirvi, in fede,
che amo Camille. E, vi prometto: non vi lascerete. Dite anche al suo babbo, che io la sua creatura, la presi in braccio ancora infante.
Io non sarei venuto, mia signora, se vedendo Camille, presso i miei fiori, quelli bianchi ed azzurri, non fossi stato certo del suo amore.
E so che voi, in sordina... in un transfert, deste il vostro consenso. Sono sicuro che anche il genitore, darà la sua approvazione; egli pensa di detestarmi, ma son sicuro... di volergli bene...”
Si congedava dicendomi: “Madame non vi delude il cuore di un vecchio artista. Sono quel vecchio dalla barba bianca, lo stesso che appariva a vostra figlia, ancor bimbetta.
Amo Camille,
restò nei miei pensieri, sin dalla prima letterina ch'ella mi scrisse, non sapendo bene dov'è che mi trovassi... Se fossi sulla Terra... Oppure in Cielo...
Ma potrete ben dirle...
Che son Pissarro
sono venuto ancora, per stringerla al mio cuore, nel nome di Monet.
La vidi come un angelo tra i fiori... Sono quelli di settembre. Madame potete dirle di venire?
Claude Monet, ovvero Camille Pissarro, vuole sposarla.
- Blog di Giuseppina Iannello
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