Scritto da © Franco Pucci - Sab, 06/02/2016 - 08:56
La rosa che si credeva girasole durò una sola estate
e quando il sole tramontò rimasero solo le stoppie
in quel campo di grano oramai senza più fiordalisi.
In quella estate sognante e torrida, avida di respiri
l’urlo di una rosa -ingannata dal suo stesso colore-
non ebbe eco, ero perso nel rimirare il mio dolore.
È il vento caldo che viene dal mare, o la coscienza
di un distacco dolce -di memoria incisa sulla pelle-
che fatica a scolorire, che rimane nonostante tutto?
Rosa, rosae, rosarum, rosis…
Declino in latino -fugaci scorie di alunno svagato-
mentre scrivo queste righe e sfoglio ad uno ad uno
i sogni, petali di quell’estate in rosso sul calendario.
Il sole tramonta, sulla rena le rose non fioriscono
i passi della lontananza sono un soffio di libeccio.
Strano, neanche un girasole crebbe in quel sogno.
Era una rosa, ma il troppo sole dell’attesa l’appassì.
Helianthum si chiamava -così mi dissero i maestri-
Per me era una rosa, una incantevole testarda rosa.
Rosa, rosae, rosarum, rosis…
Sorrido.
e quando il sole tramontò rimasero solo le stoppie
in quel campo di grano oramai senza più fiordalisi.
In quella estate sognante e torrida, avida di respiri
l’urlo di una rosa -ingannata dal suo stesso colore-
non ebbe eco, ero perso nel rimirare il mio dolore.
È il vento caldo che viene dal mare, o la coscienza
di un distacco dolce -di memoria incisa sulla pelle-
che fatica a scolorire, che rimane nonostante tutto?
Rosa, rosae, rosarum, rosis…
Declino in latino -fugaci scorie di alunno svagato-
mentre scrivo queste righe e sfoglio ad uno ad uno
i sogni, petali di quell’estate in rosso sul calendario.
Il sole tramonta, sulla rena le rose non fioriscono
i passi della lontananza sono un soffio di libeccio.
Strano, neanche un girasole crebbe in quel sogno.
Era una rosa, ma il troppo sole dell’attesa l’appassì.
Helianthum si chiamava -così mi dissero i maestri-
Per me era una rosa, una incantevole testarda rosa.
Rosa, rosae, rosarum, rosis…
Sorrido.
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