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Multiverso

«Ma non ha senso!»
Quando mio marito se ne sta lì due ore con lo sguardo perso nel vuoto e poi se ne esce con una frase così, in genere cerco di evitare la trappola, di non chiedere «cosa?»
Ma qualche volta mi coglie di sorpresa, penso che si stia riferendo alla situazione politica italiana o alla nostra vita familiare, e invece mi becco una risposta tipo: «ma sì, dai, la funzione zeta di Ihara associata a un grafo finito deve....» E lì mi perdo, perché sebbene anch'io abbia una formazione fisico-matematica, è tanto tempo che non me ne occupo più, e solitamente non ho assolutamente idea di cosa stia parlando. Così, anche quella mattina, quando ho inavvertitamente risposto «cosa?», mi sono preparata a non capire niente ed ho messo l'udito in stand-by, fino all'ultima frase: «...e quindi gli universi paralleli esistono e noi viaggiamo continuamente tra l'uno e l'altro, anche se non ce ne rendiamo conto...»
«Cosaaa?» «Sì, te l'ho detto, non ha senso. Ma non trovo l'errore. Te lo ripeto: considera la funzione zeta di Ihara....»
 
Da quel giorno sono passati dieci anni, e sono successe un sacco di cose. Il progetto «Multiverse» è stato finanziato dall'Unione Europea e dal CERN, così ci siamo trasferiti a Ginevra, per essere vicini al gigantesco acceleratore di particelle che era stato costruito lì negli anni '90 del XX secolo.
Fino a un certo punto si è pensato che gli spostamenti attraverso i vari universi fossero casuali, ma poi abbiamo capito che era possibile forzare lo spazio tempo per muoversi tra l'uno e l'altro. Solo che l'universo di destinazione, non si poteva sceglierlo. L'uomo continuava ad essere scagliato a forza nel gorgo di cause ed effetti, come diceva Khayyam. Poi, l'analisi dei grafi infiniti che si creano per effetto di ogni scelta o microscelta ha fatto passi da gigante, ed è diventato possibile ricostruire il percorso che porta da una opzione a una conseguenza. E viceversa. Alla fine, muoversi tra gli universi paralleli, scegliendo la storia che più volevamo, era diventato possibile.

È come se tutti gli "e se..." fossero improvvisamente sciorinati davanti a te, e tu non avessi che da scegliere l'opzione il cui futuro ti sembra più appetibile. Ma non è proprio così, perché comunque una tua copia, o quel che è, continua a vivere nel mondo in cui è stata scelta l'altra opzione. Oltretutto, ci sono le opzioni degli altri, e le micro-opzioni, fuori dal nostro controllo. Pacchetti d'onda che collassano in un certo stato piuttosto che un altro, cose così. E però, non so come spiegarlo, c'è qualcosa che potremmo chiamare coscienza di sé, che ti dà l'impressione di vivere esattamente nel mondo che hai scelto.
 
Certo, ci sarà qualcuno che ha preferito un universo in cui Hitler ha vinto la II Guerra Mondiale, o il potere in Unione Sovietica è passato a Trotskij invece che a Stalin e il "comunismo buono", oltre ad esistere, è stato realizzato. Noi - dico noi perché anche Daniele è qui con me, sicché direi che ci siamo scelti a vicenda, o quel che è - viviamo in una specie di Svezia all'ennesima potenza, un mondo attento ai diritti degli esseri umani e degli animali, all'ambiente, al paesaggio, alla cultura. Non tutto è perfetto. Restano i problemi esistenziali, quelli mai risolti (chi siamo? dove andiamo? perché siamo qui?), le turbe familiari, alcune malattie (nel nostro mondo la medicina ha fatto passi da gigante), la morte. Ma insomma, è un mondo buono, che è il massimo mi sembra di poter chiedere.
 
Ogni tanto, mi vengono fugacemente in mente le copie di me che si trovano in mondi diversi, ma non riesco a soffermarmi troppo su questo pensiero. La complessità non siamo riusciti a contemperarla, ancora. Né sono riuscita a scegliere un mondo in cui Daniele non se ne esca ogni tanto con un «ma sì, dai, la funzione zeta di Ihara associata a un grafo finito deve....»
 
 

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