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Travestito da terra

 
Cade per una ovvietà atmosferica, piena di sé.
Per provare cosa, poi? Questo giorno non ha fine immediata

se si libera del gelo. Un fatto che insieme
ha l’aspetto di neve e di schiena
perché l’ho inventata così. D’altronde
adesso non serve: è l’osso che regge insieme
suggestioni e tendini delle parole. Sai che
da tempo mi incuriosisce la superficialità
delle prime notizie, delle rivoluzioni di dio
-  dio gira, lo sento, e di spalle vedo la ronda angelica
soprendersi del traffico infernale provocato dal freddo.
Anche questa è pura invenzione, ma nota come viene meglio
l’orizzonte: so che non è lì, so che insegue il pianeta.
L’orizzonte è una sutura a distanza, un siero potente.
Oltre c’è un’isola chiamata Sardegna, poi la tierra jonda,
infine l’oceano che mi somiglia per via dei piedi
penduli sulle onde senza fretta.
Che cosa cambia in me la calma dell’onda?
Arrivo in tempo se prendo il vento. Labbra ad est,
annuso la bufera. Il grecale intenso viene incidente
come temo quel gelo. Tu non devi temere coperta di neve.
Perchè io l’ho inventata e tu la indossi insinuando il mistero
del bianco e di certe rotondità intriganti.
Prima immaginavo la sua grazia sulla pelle, poi più fame
che sete e la neve si è sciolta. Fame sete e neve
mettono suggestioni e costole nel suolo divelto.
Questo, adesso, non si ripete: accade comunque
nell’ovvietà atmosferica. Adesso non è più quello.
Da tempo il tempo dovrebbe contare un momento soltanto,
invece di ieri o domani che non si inventano.
Il tempo è singolare, fine a se stesso, eppure è neve:
lava o disseta o semplicemente è nell’unica borraccia
tra le mani che non ti senti. Se cade, perché qualcuno ti urta
o cede il tendine stanco di berne, la chiazza
sul pavimento siamo noi sciolti in fretta.
In un lago irrisorio c’è l’isola chiamata individuo, con un territorio
di affetti salienti, al limite una materia oscura, che può considerarsi
un’ipotesi di collocamento eterno, ma più segreto,
indicato da tutto non è sempre.
 
 

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