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Quei percorsi introvabili in tempo

 

Odio via Clark per la sua forma: non è plausibile 

sia tanto dritta da prendere in giro la costa.

Ma le curve sarebbero costate più del necessario.

Tuttavia, il mare si ferma solo se viene a bordo.

Mi fa male che sia illeso il rifiuto tra i platani, 

più che composto quello in una siepe di gelsomino, 

nella rotatoria presa dagli scarichi, 

tra i masselli che si sollevano dal marciapiede.

Se davvero tutto è congiunto, l’anima monda viene a cadere. 

C’è di peggio, ma serve alla sopravvivenza 

di diversi esseri: millepiedi, formiche, eccetera. 

In questo tratto di via Clark torna il dolore 

per non più di 100, 120 passi, 

che sommano circa tre, quattro ricordi, 

poi il mare ruba la scena. 

Non parla a memoria, si improvvisa ad ondate: 

il mare in passato era il mio giorno, tutti i giorni, 

poi veniva la notte attraversando la città con una teoria

di unghie modellate con la lima del buio

in modo sorprendente.

Rotolava come un autocarro in folle 

e lo stesso gorgoglio dello stomaco 

si riempiva di bagliori masticati in fretta. 

I lampioni ancora si accendono per una manciata di luce 

poi si dispongono a far cadere ombre. 

Niente di più e niente di meno che sfuggenti,

e noi dietro, come uguali.

 

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