Scritto da © ferdigiordano - Mar, 11/12/2012 - 19:58
La pianta, ci dissero, doveva essere ancorata; ancora
a piedi, uno tirava su col naso e già si temeva la febbre.
Nell’insieme, le due cose sembrano una:
non lasciarsi prendere dall’influenza sbagliata.
Avere carattere, per quanto analfabeti, permetteva
risposte efficaci, non oppositive, nel senso del giro.
Per cui la vite ci sembrò opportuna già nella curva
tradotta in ombra o trincea del mistero liquido al primo
catechismo: la guerra è un gioco di parti
coincidenti (dal sarcasmo: co’ incidenti). E’ vita
pure quella, pensavamo: malcapitata mentre dura
e, durante gli allarmi, tra saltare in aria e morire
in terra, si può fare la spola. Piccola, direi,
una spoletta raccolta, una linguetta di metallo
scambiata con un dentino di leone. Si lanciavano
sassi come granate, si lanciavano le mani
finiti i sassi, si lanciavano per ultimi i rumori
dalle bocche. Poi le bocche abbracciate
facevano scritte: credere che il tema giovanile
fosse solo protesta non portava lontano
ma durante il tragitto il litigio era serio.
I seri vi prendevano parte e parte era lasciata
ai forti, capaci di conquistare il resto
senza colpo ferire, solo incutendo paure. Le
osservavi da come la pelle sbiancava. Volendo provarci
con i panni sporchi da lavare in casa, il terrore
avrebbe fatto un buon lavoro se i vestiti
non fossero stati così dannatamente vuoti
e sordi. Parevano stracci, preoccupati soltanto
della piega che prendevano i fatti, fatti per bene
stirati, tesi, doloranti nelle piccole capsule
legnose. Seminati di fresco, ricoperti ma vogliosi
di denudarsi ancora.
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