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I passeri prendono quota

 
 
Guardo il becco del passero 
da dove parte ogni volo.
È così piccolo che neppure il sole vi entra. 
Come potrebbe un bacio? 
Oppure: appartiamoci tra le piume del gomito.
Deve beccare di continuo il frutto giallo 
dell’albero azzurro
che per tempo si riforma. Così dura 
più a lungo non una nuvola 
ma il timore che piova. 
Qualsiasi cosa accada in quel becco, 
non sono parole vuote, 
ma riassunti che lasciano i dettagli in natura.
Sono continui richiami, 
                                    penso: 
alle piccole altezze femminili, 
ai lucernai tra le foglie,
alla grandiosità del verbo appartiamoci
che non si può dire a chiunque. 
Per me, invece, è più semplice. 
Bastano due dita e 
piazzo il dolore in questa caterva di sensi: 
lo spazio adatto per schiacciare il nocciolo 
e lasciar cadere la cosa.
Ma lui schizza improvviso verso il traliccio, 
guadagna quota e minuto tocca 
un filo per volta. Saggiamente 
coincide al luogo - posto che il luogo 
abbia l’alta tensione 
per spingere dal pensiero all’amore. 
 
 
 

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