Scritto da © ferdigiordano - Sab, 25/02/2017 - 15:38
Guardo il mio albero genealogico.
Nel polso osservo l’eternità a mia misura.
In tal modo
il pensiero percorre una strada più ricca
di incroci quanti mai se ne possano vedere
in una nazione, o in tutte,
ed io sono in giro da sempre; come sospetto,
intendo.
Nei crocicchi le direzioni si rafforzano,
ci confondono, transita vita, e sosta
in pochi centimetri per miglia di tempo,
ma permane una singolare agitazione
a tenerne conto.
Come in una laguna, il sangue è la corrente
di fondo. Trascina limi, canalizza visitazioni.
Superficialmente emergono banchi di volti;
e lontani cromi,
congiunti, reggono il porporino solo dove toccano
la nostra storia profonda,
che senti - disse l’uomo che amai per primo -
ma racconti con il solo cognome, finché
anch’esso si perde in un incrocio, conquistato
dalle intimità dei corpi. Giustappunto, cerco
nel giacimento di nomi il minerale dei visi
sopravvissuti, riconoscibili i primi due
durante quel che duro.
A che serve? Per la salvaguardia del sangue
ridotta dell’osso.
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