Scritto da © ferdigiordano - Dom, 30/10/2016 - 19:07
Gli alberi hanno mani nelle pompe funebri
come ogni cosca che vegeti nell’ombra.
Sembra all’opera una certa data, ma è l’epica della via
e i sessanta cerchi contenuti nella stessa simmetria
dal tronco al verde trascorso.
Portate le chiome al macero da un accesso del vento,
un ramo della famiglia si è già affinato. Ah!, la scomparsa
dell’ombra toglierà il canto alle dita, amor mio: così le foglie
chiudono i rapporti nelle cerimonie autunnali.
A lungo andare nel viale, un corridoio
ha versato una striscia quieta dal cielo,
ora pieno di fustelle con le sagome della pioggia
benedetta fino ad un certo punto, che tanto ammattiscono
i toni a mezza voce e diventano sentite le parole
solo se avviano l’occhio in due occhi socchiusi,
profondi fino alla nuca dove ti prego
fammi venire a capo della tua luce accessibile.
È ciò che può avvicinare un uomo al suo massimo,
ossia avere una parte nel miracolo, come in effetti
merita qualche giorno nel mese vissuto al verde.
Segni piuttosto poveri, da frontespizio di bibbia
o qualsiasi raccolta di precetti generosi
di attimi buoni
con la dovizia del brutto colpo altrimenti.
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