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Come trovo l’alba

 

L’alba è comparsa, fantasma quotidiano.

Sai quando inizia? Dove finisce? L’alba

ha lo spirito in un punto ma è una successione

di contorni; e poi: ripresa di volumi, 

dato il modo soffuso con cui si chiariscono

le anime variegate che l’attraversano 

mentre si formano.

(Le anime si formano pur non avendo forma, non è divino?)

Oppure è una donna che libera i capelli,

quindi ingarbuglia le dita per farne trecce, 

le annida sulla nuca con forcine lunghe, 

come denti da latte che celebrano lo stridore, 

ne fa un toupée - nero preciso con striature squillanti

(urla bellezza qualsiasi filo di respiro: è divino.) 

Si chiamano amichevolmente sete, o sere. 

Certo, non si usa più, ma lei le portava leggere. 

Ed era nel vetro come il silicio. 

Entrava da destra, lì in fondo, 

dove la porta è tra due colline: 

a destra, fronte a nord, tra due palazzi,

due alte guardie piene di cordoni lucenti. 

Entrare è sinonimo di giorno pieno, superata l’aurora, 

da cittadina di rilievo, e col buon caffè che la precedeva. 

Un gorgoglio da cucina in fermento, dal becco della moka,

così lo spirito prende gusto dal nome.

Infine, con un tripudio di convenuti intorno, si dà un senso.

Lei esattamente non c’era - esattamente donna, intendo - 

giacché per essere è giunta dalla finestra. 

E gioca col corpuscolo di luce su di me

che le do il mio corpo in tempo per godere adesso.

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