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Calabrone

 
Così ho visto il calabrone: pece, le paratie
di zinco lucenti, fatica da aviatore zavorrato.
Nessuna notte gli somiglia eppure vola
in un giorno qualsiasi sul muro di zuccheri
cerca un varco e le corti succose.
Il motore uggia, disegna la gravità piena di sforzi,
il battito frenetico delle due vele distribuisce
il nome nell’oceano in cui ho perso un'ancora.
                                   Peppe è scomparso!
Il mio ‘scomparso!’ è legato al suo ‘soffoco!’
Tramortisce la gola. Nessun sonno
possiede questo trasporto capace di svegliarci
da un’aura torrida. Più che altro torna a posto
il complesso disegno della distribuzione in loco
nell’equilibrio tipico dei feretri nel giorno.
 
Il calabrone ha qualcosa del nocchiero, la lentezza greve
forse, o il motore uggioso, ma per un pezzo
non si fa la storia: è comune anche la ricerca di approdo.
Il rumore, d’accordo, il rumore di un pistone ronza
malamente si perde quando libera il viaggio dal suolo.
 
(Happy eternity, G.A.)

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