Scritto da © Fausto Raso - Ven, 15/11/2013 - 21:05
Quando – in lingua – si parla di accento si intende quello ‘tonico’ che è l’accento per eccellenza in quanto – come dice la stessa parola – dà il “tono” alla parola medesima. Ma – come probabilmente tutti non sanno – non è l’unico. Oltre all’accento tonico (che non si segna graficamente) ci sono quelli grafici (acuto, grave e circonflesso, quest’ultimo adoperato, per lo più, nelle lingue straniere) e quello… “logico” (anche se ‘misconosciuto’ e, quindi, non registrato dalle grammatiche e dai vocabolari). Come la modulazione della voce, “posandosi” su una sillaba della parola (accento tonico), dà maggior risalto e colorito a questa sillaba, così in un periodo la modulazione della voce si ‘posa’ in modo particolare e determinante su una sola parola fra le tante per darle maggiore evidenza, per “distinguerla”, insomma, da tutte le altre. Questo è, per l’appunto, l’accento logico; un accento che serve per indicare la connessione, il rapporto che le parole hanno tra loro nel contesto del periodo. Esso classifica, per così dire, i termini di una proposizione o frase secondo la maggiore o minore importanza delle idee che esprimono. Si potrebbe anche chiamare accento “oratorio” in quanto attraverso questo colui che parla a una folla esprime e ‘comunica’ i sentimenti che l’agitano. Inoltre – fatto di non secondaria importanza – in qualsivoglia frase, per corta e insignificante che sia, c’è un ritmo, una melodia. Molto più evidente in poesia, il ritmo non manca nemmeno nella prosa, quando questa è ben costruita. Quando leggiamo, infatti, ci occorrono necessariamente dei segni come punto di riferimento per la modulazione della voce: il punto fermo; il punto esclamativo; quello interrogativo e i puntini di sospensione sono i principali di tali segni. Vediamoli brevemente.
Il punto fermo, indicandoci la fine di un periodo, ci “dice” chiaramente che la nostra voce deve chiudere e concludere la ‘melodia’ della frase in cadenza; la nota finale sarà, quindi, più bassa delle altre. Gli altri segni, invece, ci “avvertono” del fatto che la frase non è conclusa e dobbiamo, per tanto, alzare la voce per “interrogare” o per “esclamare” ovvero per lasciare dopo quella nota più alta una pausa di sospensione. Il ritorno a intervalli stabiliti, più o meno regolari, degli accenti tonici dà, del resto, a tutta la proposizione (ma anche al periodo) un “ritmo” suo particolare.
A tutto ciò si aggiungano le pause indicate dalle virgole, dai due punti e dai punti e virgola i quali costituiscono moltissime “rotture” del ritmo; e ecco che il… ritmo ora sale, ora si prolunga, ora scende, ora si spezza poi riprende e via… Anche la prosa (come abbiamo accennato all’inizio) è melodia insomma, e ha bisogno di un accento… logico. Non sappiamo spiegarci, quindi, le ragioni per cui i “sacri testi” della lingua lo ignorino. Questo accento, dunque, esiste e tutti lo adoperiamo senza rendercene conto. Diamogli il posto che merita nei trattati di linguistica.
E a proposito di accento, non possiamo chiudere queste modestissime dissertazioni linguistiche senza rivolgere una piccola ma “grande” critica ai fabbricanti delle macchine per scrivere (e ora anche dei computer): sulla tastiera le vocali “i” e “u” hanno l’accento grave (ù, ì) invece di quello – è proprio il caso di dirlo – logico che deve essere acuto. Le vocali sopra citate – al contrario della “o” e della “e” che possono avere “suoni” diversi (chiusi o aperti) – hanno un unico suono che è quello chiuso, il loro accento “naturale” (e logico) deve essere, quindi, acuto. Costa molto cambiare le tastiere?
Il punto fermo, indicandoci la fine di un periodo, ci “dice” chiaramente che la nostra voce deve chiudere e concludere la ‘melodia’ della frase in cadenza; la nota finale sarà, quindi, più bassa delle altre. Gli altri segni, invece, ci “avvertono” del fatto che la frase non è conclusa e dobbiamo, per tanto, alzare la voce per “interrogare” o per “esclamare” ovvero per lasciare dopo quella nota più alta una pausa di sospensione. Il ritorno a intervalli stabiliti, più o meno regolari, degli accenti tonici dà, del resto, a tutta la proposizione (ma anche al periodo) un “ritmo” suo particolare.
A tutto ciò si aggiungano le pause indicate dalle virgole, dai due punti e dai punti e virgola i quali costituiscono moltissime “rotture” del ritmo; e ecco che il… ritmo ora sale, ora si prolunga, ora scende, ora si spezza poi riprende e via… Anche la prosa (come abbiamo accennato all’inizio) è melodia insomma, e ha bisogno di un accento… logico. Non sappiamo spiegarci, quindi, le ragioni per cui i “sacri testi” della lingua lo ignorino. Questo accento, dunque, esiste e tutti lo adoperiamo senza rendercene conto. Diamogli il posto che merita nei trattati di linguistica.
E a proposito di accento, non possiamo chiudere queste modestissime dissertazioni linguistiche senza rivolgere una piccola ma “grande” critica ai fabbricanti delle macchine per scrivere (e ora anche dei computer): sulla tastiera le vocali “i” e “u” hanno l’accento grave (ù, ì) invece di quello – è proprio il caso di dirlo – logico che deve essere acuto. Le vocali sopra citate – al contrario della “o” e della “e” che possono avere “suoni” diversi (chiusi o aperti) – hanno un unico suono che è quello chiuso, il loro accento “naturale” (e logico) deve essere, quindi, acuto. Costa molto cambiare le tastiere?
Fausto Raso
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