Scritto da © erremmeccì - Gio, 14/08/2014 - 13:56
Era un tranquillo pomeriggio di primavera. Dalle vetrate rivolte a sud est la luce filtrava dietro le tende a illuminare il soggiorno del piccolo appartamento al terzo piano di un condominio popolare: un cucinino, una piccola entrata, un corridoio sul quale si affacciavano tre camere e il bagno. Il telefono, grigio, stava appeso al muro dell’entrata, a destra della porta, mentre a sinistra il cucinino si affacciava su un poggioletto con le piastrelle rosse. Sul davanzale che lo collegava alle finestre del soggiorno, la signora Giuditta, rischiando l’infarto, aveva visto, tempo addietro, il più piccolo dei suoi sette figli sgattaiolare a quattro zampe.
Suonarono alla porta. Dalla cucina, dov'era sempre a quell’ora, dopo il pranzo, Giovanna, la figlia maggiore, andò ad aprire. Quel che vide le strozzò il fiato in gola. Pallidissima, col rossetto sbavato e il trucco sciolto, gli splendidi occhi viola bistrati di kajal, i capelli neri crespi e gonfi a incorniciarle il viso fino alla base del collo, e quel tailleur Chanel giallo paglierino, ancora elegante ma un po’ sdrucito, le apparve davanti l'unica zia da parte di padre, Antonietta detta Tony.
“Permeeeeesso…” fece lei sorridendo, proprio come faceva sempre, quand’era viva…
Quand’era viva...
Giovanna realizzò nella sua mente che era un nonsenso: non era possibile che quella fosse la zia Tony. Era morta da tre anni! Morta come era sempre vissuta: al limite. Amante degli eccessi, delle novità, del rischio. Perché andare a cacciarsi nella tana del lupo, in quel covo di spacciatori e cocainomani? Se l’era cercata, in fondo: era ciò che tutti pensavano di lei. Tutti, tranne Giovanna.
Comunque, che c’entrava questo, adesso? Oh, mio Dio...Tony era lì, sulla porta, chiedeva di entrare. Con un sorriso sghembo sul volto pallidissimo, sul rossetto sbavato.
Non è possibile- si ripeteva la ragazza- la zia è morta, non c’è più. Ossa, polvere, brandelli di stoffa: ecco quello che doveva essere rimasto della donna bella e irrequieta, che era stata la sorella di papà.
Quanto l’aveva ammirata- idolatrata, sarebbe più giusto dire- quand’era in vita...Certo, senza farsene accorgere: non era un modello, un punto di riferimento accettabile la zia Tony, non per papà, né tanto meno per quella noiosa di mamma, lei e le sue faccende domestiche, la spesa da fare, il pranzo e la cena, la cena e il pranzo e poi, di nuovo, all’infinito. Così avrebbe voluto che scorresse anche la vita di Giovanna, in futuro...
Oh, zia- mormorò la ragazza, groppo in gola, una lacrima all’angolo dell’occhio sinistro- zia, sei tornata...
Le braccia si protesero in avanti per circondare il collo di Tony ma strinsero solo aria, un vano simulacro “identico al soffio di venti leggeri e molto simile a un alato sogno” ***
Giovanna si riscosse. Ecco cosa succede ad addormentarsi, in un tranquillo pomeriggio di primavera, a fine anno scolastico, su una versione dell’Eneide...
* L'incipit (fino al rigo 14) è di Roberta_M, autrice del sito Neteditor, con la quale ho condiviso questo "gioco" letterario", consistente appunto nel partire dall'incipit di un autore per dare vita a un racconto.
*** Traduzione del v. 702, libro VI dell’Eneide, in cui l’eroe protagonista, Enea appunto, scende nell’Ade e vi incontra l’ombra del padre Anchise: per tre volte, tenta di abbracciarlo, per tre volte “manus effugit imago”, l’ombra sfuggì alle sue mani.
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