Scritto da © taglioavvenuto - Sab, 10/04/2010 - 08:54
Erano, questi, i miei giorni d’Africa, la mia consolazione.
Con la vista andavo ai fiocchi di cotone in divenire nel turchese, sballottolati da un vento alto che non scendeva a terra se non per propagare fuochi enormi.
Sognavo poi le teste rasate dei miei fratelli di sangue riusciti a scampare, coloro che l’iniziazione aveva giunto in un vincolo più stretto ancora del parentale.
Ed infine vedevo la mia donna, raddrizzare il viso dall’orcio di creta dove continuava a sobbollire e raggrumare la manioca come se le onde di quell’aria calda ascensionale fossero diventate insopportabili per lei e le impedissero di stare ancora ferma, lì in ginocchio.
I suoi occhi simili alla brace che covava nera e rossa tra i due sassi che la tenevano al riparo dal sollevarsi della sabbia in agguato pungevano la macchia gialla indicante, nel verde scuro delle foglie intoccate, il varco preferito dai cacciatori.
Dei miei figli, uno correva in tondo con altri tre, del più piccolo potevo a tratti vedere soltanto la curva del braccio, sorreggersi alla spalla e al collo della madre.
Ero stato sorpreso nel sonno, picchiato e incatenati a sangue i piedi sullo stesso giaciglio in cui dormivo accanto a loro, costretto, dopo la razzia, una volta legato con catene più lunghe ai polsi e alle caviglie dei miei compagni, a camminare giorni e notti attraverso la foresta, sui greti insidiosi, di fiumi che avrebbero potuto donarci una morte subitanea.
L’inizio di un lungo cammino senza difesa alcuna che ci avrebbe portati a vedere per la prima volta l’oceano, e la grande casa di legno che si muoveva..
A segnare il passo della lunga fila i cacciatori più potenti ed agili, a chiuderlo le vergini bambine.
I nostri carcerieri, più piccoli e sottili, con la pelle meno scura della nostra………….
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