Il giorno seguente, via transfert, Alejandro, compiva due viaggi con la sua utilitaria per condurci al suo agriturismo, ovvero la pensioncina; da lì, dopo pochi metri a piedi, avremmo raggiunto la casa di zia Evelina ed Evenanzio Torricelli.
La casa balzò in un batter di ciglio: era bella, come di carta pesta. Ella ci apparve nella sua vetustà di casa romita, non abbandonata. Si ergeva su una piccola gradinata, con po' di terra intorno. La fattoria non c'era più; aveva ceduto il posto ad altri fabbricati...
Alejandro ci disse: “Vi lasciamo un po' da soli, in modo che possiate prepararvi ad un intimo incontro.” Il portone, ampio e senza battenti, non aveva le chiavi; rivelava l'ospitalità dei proprietari.
La mamma lo aprì leggermente, chiamando: “Zia Evelina?...”
Udimmo subito un boato che ci immobilizzò: era stato un elicottero, che con la propria elica aveva toccato il torrione. Subito dopo, un rumore di stoviglie, ci lasciò dolcemente presagire che la zia era in cucina. Aspettammo col fiato sospeso...
Poi, la sentimmo... La zia scendeva ad uno ad uno tutti gli scalini... Poi si fermò. Quando ci fu vicino, ci sentimmo avvolgere da un dolce calore, come un vento australe. La prima ad essere abbracciata fu Denise.
“Amore, Ti ricordi di me che ti ho cercata, quando eri intenta agli oneri di scuola?... Ti dissi tu sei brava, ma devi leggere col sentimento di chi scrive. E mi hai ascoltata.
E adesso, di' alla zia: Ti sembro vecchia?”
“Perdonami, zietta, ti voglio bene; so che sei moderna.”
Dopo la zia, si rivolse a nostra madre: la strinse a sé, dicendo: “Maria... O mia fanciulla, finalmente... Che gioia veder costì tutti i parenti.”
“Vi ho convocato per potervi dire che la casta materna si compiace di avere tre casati, di ugual prestigio, non certo in riferimento ad uno stereotipo modello di società, quanto per quello che nella società, noi fummo, ma senza un attestato.”
E ciò dicendo, in un abbraccio univoco, parlò ancora a Denise e, dopo a me.
“Tesoro, non soffrire per amore... L'amore è a un passo... Sai ch'egli è un poeta...”
“L'ho conosciuto?”
“Lo conosci ancora.”
Poi si rivolse a me: “Dionilla, tu l'amore, lo vedi oggi per la prima volta... Ma egli ti ha veduta sulla terra, molti anni or sono...
Tu leggevi Balzac e già sapevi che gli somigliava per qualche aspetto. Egli ti aspetta sempre e insieme al genitore; è il tuo angelo guida.”
Dopo l'afflato, nostra madre e noi, restammo in un estatico abbandono... Mi accorsi che la zia mi stava ancora parlando: “Dionilla...” Mi diceva, “che cosa fai, non canti?” Risposi sorridendo di non capire...
“Ascolta” sentivo nell'azzurro, una musica dolce e, le parole scandite di un tenore; “Dionilla, le romanze che udrai strada facendo, sono le mie; le scrissi per la mamma. Salvale da chi ne fece sua mercé.” Quella sconvolgente rivelazione lasciava in me l'amaro dei diritti violati, ma anche la convinzione che ce l'avrei fatta ad assolvere al mio impegno. La musica io, certamente, la sentivo, ma non la vivevo... Non sapevo cosa fossero il ritmo e la cadenza...
Ora le note mi giungevano come un fascio di carezze, come fragranze di quel fior di vento, ch'egli amò tanto...
Gli domandavo: ”È un fior di campo? È giallo?...”
Egli mi strinse a sé, e, sorridendo:
“Sì... sono le ginestre.”
- Blog di Giuseppina Iannello
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