Scritto da © Marcello Caloro - Lun, 21/03/2011 - 18:30
Dall’utero immerso tra i due mari
dove le Cheradi rocciose
a baluardo dei marosi s’ergon
ed in essi si specchian
quando Ionio si placa a Tramontana
e sui prati di gorgonie
i pini marittimi si rifletton
e la costa mossa cela all’occhio
cale di linda sabbia fine
io nacqui.
Non potei allattare alle mammelle
gonfie d’albe consacrate a Clio
che videro i legni Elleni
baciare i raggi obliqui sulla rena
ne’ ai tramonti accesi da Erato cantati
che ispiraron gli animi più puri
ne’ attinsi dalla luna ad Eros tanto cara
più di quella d’altri stellati cieli.
Culla d’erba umida tra i monti m’accolse
lì mi nutrì di bruma e pioggia
di pallidi soli mi scaldai appena.
Torno a volte alla mia amata Madre
tra i seni vuoti il capo porgo
e gli occhi elevo al cielo
le labbra non suggono che il nulla
le iridi non scorgon che grigiore.
La sabbia ora sbiadita più non riluce
dell’isole all’orizzonte non v’è che l’ombra.
O Taras condotto dal delfino
di questa Genitrice tu per primo
godesti la bellezza ora smarrita.
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