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Colore

 

Macchie di colore, cartoni a terra, fogli di nylon e lenzuoli distesi sui divani. Schizzi ovunque: dal soffitto fin giù a coprire calze e scarpe. Colature che ricordano l'action painting, il dripping tanto caro a Jackson Pollock. Ristrutturare, tinteggiare per rendere più accogliente il proprio rifugio usurato dallo scorrere del tempo.

 

Anni... anni... ripete la roca voce di Paolo Conte, mentre le sue dita arrancano sulla tastiera del pianoforte.

Anni passati tra pareti bianche, tra la vita che scorre via possente come la corrente del fiume e i ricordi che volteggiano danzando su se stessi.

 

Il viso di Demi Moore mi guarda da un cartone appoggiato al muro.

Gocce di colore colano lentamente rigando l'immagine. Osservo affascinato le colature che mi rimandano prepotentemente ai dipinti di Rauscemberg. Guardo gli occhi di Demi, il loro colore verde punteggiato da sottili pagliuzze marroni, e mi ritrovo a fissare, riflessi nello specchio del bagno, i miei occhi. Quel bagno che dopo 24 anni assurge ora a nuova identità, merito di un maquillage analogo a quello di un moderno Hotel.

 

Ancora una parete, strisce di bianco incrociate, poi una doccia veloce e mi catapulto tra i Labirinti dell'anima.

Una conferenza a metà pomeriggio è un toccasana per l'insonnia. Teseo trafigge il Minotauro ed esce vittorioso dal labirinto grazie al filo di Arianna. Icaro cade, in un volo a vite, e si inabissa nel mare (i collanti, si sa, tengono quanto possono) e, mentre le piastrelle dello Shuttle saltano via, gli astronauti muoiono sublimati, ed è allora che cessa il mito.

 

Esco dal labirinto frastornato, mentre una amica, seduta al mio fianco, prende appunti in stenografia. Osservo, curioso, quei segni di un linguaggio arcaico industriale, e il mio pensiero scorre immagini di fonderie dismesse, capannoni sventrati, appartenenti a un epoca dove il suono di una sirena scandiva i ritmi giornalieri degli operai.

Preistoria di un passato legato all'Homo Faber.

 

Poi i miei pensieri si arrotolano su se stessi. Mi piacerebbe cavalcarli, come si fa in un rodeo. Cavalcare il pensiero ossessivo; resistere, un minuto... due minuti... senza essere sbalzato a terra dalle mie ossessioni. Minimizzare le nevrosi, metterle in stanby, congelarle, come scatole di piselli nel freezer.

E poi uscire in strada, leggero, con quella voglia di vita che manco te la sogni quando sei immerso nel quotidiano.

Ma forse questo è solo un altro film. Ritorno alle latte di colore e alle mie pareti, domani sarà pure un altro giorno, come diceva Rossella O' Hara in Via col vento, ma, per piacere, qualcuno si ricordi di resettare questo assurdo video game che si chiama pensiero.

 

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