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Cocci di orci sparsi

Cocci di orci sparsi.
Un’acquerugiola ramata
tra i formicai rovisto.
Sfila la livrea di un ramarro
indossata dalle passerelle di formiche.
Nella luce nuda lo sfacelo.
L’ocra e l’amaranto si sono franti
per la resurrezione.
Fiamme pietrificate mai spente.
Intatti i templi senza conservanti
(pochi i graffi sui graffiti e i geroglifici).
 
Qui il silenzio profuma di acacie e calicanti.
Tanta la pace quanta la vista.
Da poter udire il luccichio di un ninnolo
caduto sui ciottoli di un crocicchio fuori Pechino.
Rabbrividisce il lago e raggrinzisce
del vento ingiallito d’autunno.
Come un fohn dentro l’acqua.
E noi in silenzio.
Un silenzio-segnale
che m’impermalisce
più delle parole
e fraternizza con questi monti
dai picchi confitti nei cieli,
con queste conche prenatali
dai fiumi fangosi conficcati di petali.
Strumenti di scena? Non saprei.
 
Solo l’erba si domanda
che fiori mi piacciano.
Solo la pazza rana dell’inverno
che sogni faccia.
La conchiglia capovolta mi ascolta…
Piovaschi all’abbrivio.
Le mie pervinche nel panico.
 
 

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