Scritto da © Anonimo - Mer, 16/12/2009 - 14:50
Ci furono canzoni che scrivemmo sulla pelle
e non urlammo mai perché tatuate in bocca
mordendoci i polmoni.
Potremmo dire che la tonalità del canto usò la scala del sangue
che la musica prodotta fu un dolore interno al pozzo;
direste che stonammo,
che eravamo una melodia affranta,
che il grisou è solo il timpano in un groove.
Dico di no - voi non capite: siamo i duri delle radici
quei ceppi a cui si ostentano talee.
Quelli che hanno morso la terra;
l’hanno scavata con i denti,
frantumato coi molari i diamanti,
espulso un sogno di ricchezza:
noi siamo i poveri del ventre del carbone
quelli dei formicai a grandezza d’uomo.
Noi, che strappiamo lingue alle rocce,
siamo insiti nelle zolle; siamo i semi persi.
Stiamo nella terra di sotto
come quei morti
resuscitati quando ai turni la cava vomita fardelli.
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