A Tale of the Past - Una favola del passato. (Capitolo uno parte uno) Versione italiana | RV International | Carlo Gabbi | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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A Tale of the Past - Una favola del passato. (Capitolo uno parte uno) Versione italiana

Capitolo Uno

I Primi Ricordi

 

“Mama, mi avevi promesso di raccontarmi della vita di Nonna Luigia quando era ancora giovane. Te ne sei dimenticata? Sergio ha telefonato nuovamente. Non vede l’ora di incominciare a scrivere della sua vita. Non ti ricordi quant’era morboso l’amore di Sergio per la nonna?”

“Si, mi ricordo di averlo promesso, Carlo. Ma sono vecchia e con gli anni sono diventata un po’ smemorata. Purtroppo solo parte del passato è rimasto vivido in me.

Ormai i miei ricordi sono per la maggior parte nebulosi. Quando cerco di ricordare, non vi è null’altro che confusione e i ricordi stentano ad affaciarsi. Appaiano come visioni evanescenti che si confondono l’una con l’altro. Purtroppo sono troppi i ricordi accumulatisi nel tempo. Puoi capirmi?”

“Si Mama, ti capisco. Forse quanto Sergio ed io chiediamo è troppo per te. Scusaci per la nostra insistenza. Sai per noi è molto importante conoscere quei fatti che purtroppo solo tu conosci, ormai. Dobbiamo tramandarli ad altri e solamente se queste memorie saranno scritte, resteranno indelebili nel futuro cosicché la nuova generazione potrà essere orgogliosa dei suoi avi e sapere come la famiglia ha vissuto nel passato.”

“Ma Carlo, non ti rendi conto che ho bene più di ottantacinque anni sulle mie spalle? Non comprendi quanto mi pesano e soprattutto, quanto il tempo abbia indebolito la mia memoria? Poi sono anche nel dubbio sul fatto che io abbia il diritto di disturbare la pace di coloro che vissero prima di me. Forse quei morti potrebbero risentirsi di essere riportati in vita. Lo sai, sono sempre stata superstiziosa e ora, nei miei ultimi anni, più che mai. Voglio starmene tranquilla, e lasciare gli spiriti dei morti dormire la pace dell’eternità.”

“Ok Mama. Ti comprendo. Non ti forzerò oltre il necessario. Ti chiedo unicamente di riconsiderare la nostra richiesta.”

“Vedi, è bastato cosi poco, e già mi sento affaticata. Per favore chiedi a Julia di prepararmi una buona tazza di the al limone.”

Capii che non era il caso di insistere oltre. Pensavo che con un po’ di tatto, presto mi avrebbe aperto il suo cuore, e avrebbe rimesso insieme nella sua mente quei fatti tanto lontani nel tempo ma a noi così  necessari a rievocare quei tempi lontani. Capivo pure i timori di mia madre, e il suo desiderio di essere lasciata in quella pace conquistata dopo una lunga vita di lotte. Così decisi di non fare altre domande per ora.

Le diedi un bacio, mentre era seduta là, nella sua bella veranda soleggiata che fronteggia il suo giardino di rose, di cui era orgogliosa, ombreggiato da un magnifico albero di Jakaranda, che risplendeva nel blu cobalto della sua completa fioritura primaverile.

Mama viveva in una località periferica che presentava un aspetto pastorale, lontano dai rumori del traffico urbano, sebbene fosse relativamente vicino alla città.

Alcuni anni orsono aveva deciso, assieme con Angelo, il suo secondo marito, di venir a vivere in Queensland, nelle vicinanze di dove io vivevo. Il luogo offriva, durante il periodo invernale, un clima abbastanza dolce per le loro vecchie ossa. Angelo è deceduto due anni orsono, ma mia madre allora non accettò di spostarsi, insistendo che, dopo tutto, poteva ancora aver cura di se stessa. Così  viveva da sola in quella grande casa, aiutata da una giovane ragazza Sud Americana, figlia di un suo vicino, la quale accudiva ai lavori domestici e cucinava per lei.

Quando io insistevo che venisse a vivere con me, lei rifiutava sempre, anzi mi assaliva con sdegno, “Non aspettarti che io accetti. Sappi che non voglio perdere la mia indipendenza.”

 E questo modo di pensare era la cosa più logica e tipica per lei. Nella sua vita l’essere indipendente aveva la precedenza a qualsiasi altra cosa, incluso me. Quanto è sempre stata testarda mia madre! La rivedo, con quel suo sardonico sorrisetto sulle labbra a ripetermi, “Cosa credi che io sia troppo vecchia? Dopo tutto questa è la mia casa, Non cercare di fare il furbo e cercare di farmi muovere da qui.”

Al mio ritorno sulla veranda, vidi mia Mama che si era addormentata. Non la volli disturbare, e le diedi un bacio leggero sulla fronte. La udii barbottare con un fil di voce parole senza un vero significato, forse stava rivivendo nei suoi sogni tempi lontani e passati.

Nelle settimane successive, durante le mie consuete visite domenicali, la trovai spesso in questo stato di torpore senile. A volte la udivo parlottare con gente inesistente, presente unicamente per lei. Forse erano ombre appartenenti al suo passato. Altre volte, la sorpresi con un magnifico sorriso sulle labbra, ed altre ancora la udii emettere lugubri mormorii, parole incomprensibili, e la udii anche chiamare per nome persone a me completamente sconosciute.

Un giorno, al mio arrivo, la udii chiamare ripetutamente con gran tenerezza un nome d’uomo, e pensai che quel lui, era probabilmente parte del suo passato romantico. Sentivo dal timbro della sua voce che si struggeva dall’intenso desiderio di averlo vicino.

Mi chiesi se mai un giorno avrei potuto svelare i segreti che appartenevano al suo passato, o se, nella sua testardaggine, avrebbe portato con se quei enigmatici eventi della sua vita.

Mi sedetti vicino a lei, e approfittando del suo torpore, incomincia a studiarla più attentamente. Vidi quanto il tempo l’avesse invecchiata. Negli ultimi due anni si era come ristretta e appariva ora una donna minuscola, che aveva perso quell’aspetto ancor giovanile che aveva ancora alcuni anni fa. Non sembrava più quella donna forte che era sempre stata. Vidi pure come il suo dolce sorriso, che nel passato era perennemente sulle sue labbra, ormai non esisteva più. La sua carnagione si era  trasformata, diventando di un uniforme color avorio. La sua faccia era solcata da rughe profonde. Anche i suoi capelli castani, belli e folti, avevano perso la lucentezza di un tempo. Erano ormai più radi e sbiancati dal tempo inclemente.

 Mi chiesi se fosse possibile tale rapido mutamento in colei che ricordavo tanto bella. Nonostante tutto ciò, però, ancora emanava da lei la signorilità della donna dei miei ricordi giovanili e ora vedevo i suoi tratti più addolciti della senilità. In lei erano ancora evidenti i tratti di una donna di gran carattere e la fermezza della sua volontà, che sempre l’avevano distinta e che io ben ricordavo.

Sin dalla mia gioventù le nostre vite hanno corso su binari separati e abbiamo vissuto in luoghi diversi. Ciò nonostante è sempre rimasto un saldo legame affettivo che ci ha tenuto uniti e che è  quasi impossibile descrivere con parole. Penso che questa sia un’eredità che è stata tramandata sin dai tempi remoti a coloro i quali provengono da quei villaggi alpini da cui la famiglia di mia madre ebbe origine.

Nel corso della nostra vita, mia madre ed io ci siamo raramente scambiati effusioni affettive, anche se erano parte di noi e gelosamente custodite nella profondità  del nostro animo.

Credo pure che questa reticenza a manifestare i sentimenti sia stata influenzata dai momenti critici vissuti in seguito agli eventi bellici in corso nel momento in cui stavo diventando un giovane uomo. All’epoca c’erano problemi ben più grandi che contribuirono a cambiare rapidamente il nostro piccolo mondo infantile. Erano tempi di lotte e di lutti ed era imperativo apprendere le basi della sopravvivenza. Intorno a noi esisteva solo miseria e si soffriva in silenzio a causa della  malnutrizione, dal freddo, e di nemici sconosciuti, mescolati tra noi, che ci circondavano e ci impaurivano. Erano i giorni in cui fratelli uccidevano i fratelli perché erano politicamente divisi. Erano i giorni in cui i motivi politici erano al di sopra dei vincoli di sangue e dell’amore famigliare. Odi, vendette, motivi personali erano scintille sufficenti ad accusare l’amico, il fratello ed anche il propio padre di malfatte inesistenti.

Crescere in momenti così gravi, cambiò radicalmente il mio modo di agire e di pensare, costringendomi al più assoluto silenzio, tanto da rendermi incapace di avere un colloquio affettivo con la mia stessa madre e di esprimere l’amore che avevo verso di lei.

Se solo potessi tornare indietro nel tempo! Potrei ora dirle quanto sono stato sempre grato per quello che mi aveva donato e di come ho apprezzato i suoi sacrifici e il suo amore materno, particolarmente in quei giorni lontani quando la mia giovinezza si stava formando. Ero solo un ragazzo e divenni uomo prematuramente.  Allora pensavo che fosse un atto di debolezza rivelare a mia madre i sentimenti racchiusi in me. Influirono anche le tradizioni di quei paesi remoti, isolati dal resto del mondo in quelle alte valli, la secolare abitudine dell’esser schivo nell’uso di parole che rivelassero pensieri troppo intimi. All’epoca, lì era considerato un atto di debolezza da parte di un uomo rivelare apertamente i propri pensieri, anche se quelli riflettevano il  loro amore per i propi cari. 

~*~

 

       Nella successiva visita settimanale, trovai mia madre di buon umore. Sulle sue guance era ritornato un colore rosato e il dolce sorriso, che ben ricordavo, era apparso di nuovo sulle sue labbra.

Fu compiaciuta nel rivedermi e si dimostrò alquanto più loquace e meno riservata.

Mi accolse con un, “Oggi mi sento meglio, e sono felice. Lo sai perche`? Sento che oggi è il giorno che dobbiamo celebrare.”

“E cosa mai Mama?”

    ‘Te lo dico fra un momento, ma prima vai nello scantinato dove troverai alcune vecchie bottiglie di Ramandul. Lo sai che quel vino proviene da Nimis da una vigneria che confinava con quella di mia nonna Maria? Me li ricordo bene quei luoghi perché sono stata là da ragazza. Nimis è il luogo da dove proviene la mia famiglia, ma dimmi, quanto conosci di loro veramente?”

“Non molto. Siete sempre stati schivi a parlare di loro.”

“Bene, questo è il motivo che occorre quel buon Ramandul. Brinderemo alla famiglia. Bevendo quel vino mi sarà più facile ritornare a quei giorni passati e potrò così raccontarti della famiglia patriarcale dei Tullio.”

Mama, lo sai che sei veramente bella oggi? Poi vedendo che hai desiderio di parlarmi di loro mi piaci ancor più.”

“Vedo quanto sorpreso sei, Carlo. Lo so, siamo sempre stati reticenti nel rivangare il passato. La verità è che spesso è doloroso farlo. Ma questo è il principio e già sai da dove provengono i Tullio. Inizierò la storia dai primi anni del novecento, quando Nonna Gigia era quindicenne e la famiglia dei Tullio era una delle più  agiate del luogo.”

“Sì, ricordo quei luoghi. Passammo di là con nonna Gigia quando la guerra finì. Si andava tutti in pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Castelmonte, per tener fede ad un voto fatto da lei e come ringraziamento alla Madonna che tutti noi eravamo sopravvissuti.”

“Ti dicevo che i Tullio vivevano a Nimis, una località non molto lontano da Udine. Ma penso che originalmente provenissero dall’Ungheria. A quei tempi Nimis faceva parte dell’Impero Austro-Ungarico. Ora che ci ripenso non sono poi tanto sicura che veramente la famiglia venisse dall’Ungheria. Ma son ben certa del fatto che per decenni i Tullio ebbero appalti edili in quelle terre. Mia madre me ne parlava spesso. Lei pure visse per alcuni anni a Budapest ed anche in Transylsvania. Suo padre Francesco ritornava a Nimis solamente nel periodo invernale. Ma la maggior parte dell’anno era via per lavoro... forse, mio Nonno Francesco aveva appalti in entrambe le località, o forse i lavori erano solamente in Transylvania? Come al solito sono un po` confusa...  Beh, lo sai che la mia memoria mi sta lasciando, abbi pazienza, Carlo. Problemi di vecchiaia... Purtroppo sto dimenticando troppe cose.”

“Si, lo so che fai del tuo meglio. Purtroppo tu sei l’unica che è a conoscenza della vita dei nonni di Nimis. Gli altri figli della nonna Gigia ricordano ben poco di quanto hanno sentito raccontare del passato. Questo è quanto Sergio mi ha detto al telefono l‘ultima volta che ci siamo parlati.”

“Si, io sono l’unica figlia a cui mia madre piacesse raccontare della sua vita giovanile, durante le lunghe notti invernali. Nel passato, quello era il modo in cui si tramandavano le leggende famigliari. Forse avrei dovute scrivere quelle memorie allora, ma sai nei tempi passati ben poco veniva scritto. Tutto era tramandato da padre in figlio, nello stesso modo in cui lo sto  facendo ora con te. Ricordati son passati ben più di cent’anni da allora. Lo sai che a quei tempi ben poco veniva scritto e molti degli affari, anche i più importanti, erano suggellati con una stretta di mano senza alcun documento firmato.

Nel passato sapevo molte cose dei Tullio e di molti altri a cui ero legata per motivi affettivi... ma purtroppo molti ricordi sono svaniti dalla mia memoria. Sì, devo ammeterlo sono troppo vecchia, ormai....”

“Senti Mama, tu mi racconti le cose come ti ritornano in mente, non importa che tu segua un filone cronologico, poi io col tempo posso riordinare tutto per te, va bene? Che ne pensi?”

“Certo, è più facile in questo modo. Scusami le mie confusioni di oggi, ma di una cosa sono più che certa, riguardo quella zia ungherese. Era nata nobile e Nonna Gigia mi disse che la loro casa patriarcale si trovava nella valle del Danubio. Nonna Gigia ha pure vissuto per un certo tempo assieme a quella zia nella loro residenza a Budapest. Allora era molto giovane e bella. Ben presto entrò nella vita della società locale assieme alle sue cugine Ungheresi della stessa età. Nonna Gigia mi parlava spesso di quei tempi spensierati della sua gioventù. Ti prometto che un giorno ti parlerò  lungamente di quei suoi giorni giovanili.”

“Grazie Mama. Ma non mi avevi chiesto di andare a stanare una di quelle bottiglie di Ramandul? O te ne sei scordata? Voglio proprio assaggiare questa rarità poiché è un vino cosi vecchio e pregiato.”

 “Sì ma fai presto. Non voglio perdere il filo del discorso.”

Al ritorno riempii due calici di quel vino dorato e poi mia madre, mentre lo sorseggiava, come per incanto incominciò una lunga narrazione,

“Ti stavo parlando dei miei nonni. Il nonno si chiamava Francesco, ed era il secondogenito. Ma fu lui che ereditò l’impresa paterna e continuò i lavori che i Tullio da decenni avevano in Ungheria. Mi ricordo che era un uomo arcigno, tipico di quei tempi passati. Era di corporatura massiccia, grande come un ciclope, e incuteva rispetto a chi gli stava di fronte. Tua Nonna Gigia parlava di lui come fosse un dio onnipotente, a cui tutto era dovuto. Mi disse che vide suo padre solamente un paio di volte con un lieve sorriso sulle labbra, ma in realtà stava con lui molto raramente, perché nella buona stagione, il padre viveva in Ungheria, preso dai suoi affari, mentre la famiglia viveva nella grande casa patriarcale a Nimis. Un’altra cosa che distingueva Nonno Francesco e che lo rendeva imponente, era il fatto che sfoggiava quegli enormi baffoni, tanto in voga allora e che chiamavano alla Francesco Giuseppe, dall’Imperatore Austro-Ungarico che introdusse quella moda. Nonno Francesco era fiero dei suoi baffi, di cui aveva una cura particolare, ed erano ben parafinati per darle la dovuta consistenza e che restassero eretti e di più erano ben arrotolati ed appuntiti alle cime che lambivano le orecchie.

Vuoi che ti racconti un fatto buffo riguardo i suoi baffi? Come dissi il Nonno ritornava a Nimis solamente nel periodo invernale, il tempo in cui i lavori all’aperto erano impossibili. Sua moglie, Nonna Maria, era molto piu giovane di lui, e apparentemente soffriva del fatto che il marito avesse un aspetto vecchiotto: in quei giorni, infatti, la moda dei tempi aveva spinto i più giovani a sfoggiare baffetti leggeri ed appena pronunciati. Sicché al ritorno invernale del marito si fece coraggio e chiese al suo bel Francesco di modernizzarsi un po’, e di sacrificare quei baffoni per qualcosa di più alla moda. Ma lui niente. Imperterrito replicò a Maria. “I miei baffi vanno bene così come sono. Non chiedermi cose pazzesche.”

Cosi’, nonna Maria volle fare la furba. Aspettò che il bel Francesco si fosse addormentato per bene. Prese dal suo cestino di lavoro un paio di forbici, ed un colpo qui ed uno la, diede un bel taglio a qui baffoni, pensando tra se`, “Te l’ho fatta.”

Si ma quella fu la fine. Francesco svegliandosi al mattino, e rimirandosi nello specchio, si vide cosi, con i suoi baffoni mal sforbiciati. Non fece un gesto o disse una parola alla sua bella Maria. Con calma infilò le sue cose nelle sacche di viaggio, prese il cavallo dalle stalle, lo attaccò al suo calesse e senza un saluto a Maria or alcun altro famigliare, se ne tornò a svernare in Ungheria. Sembra pure che non ne soffrì per molto. I baffoni ricrebbero presto e pare che per consolarsi della mancanza di Maria dal suo letto coniugale pensò ad un rimedio. Era ben risaputo che Francesco fosse un Don Giovanni, e addolcì le sue notti tra le braccia di una sua amante. Quella fu la punizione che aveva escorgitato per la moglie Maria e per farle capire chi comandava in famiglia.”

“Be’ veramente un uomo di carattere quel tuo nonno. Perbacco, mi sarebbe piaciuto conoscerlo.”

“Sì, entrambi erano persone unusuali per il giorno d’oggi.”

~*~

 

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