Scritto da © Franco Pucci - Ven, 12/11/2010 - 20:15
Regale, fiero e altezzoso nel suo immobile incedere
sul cristallo azzurro opalino del vetro di Murano
incastonato in quel finto laghetto verde muschiato,
che lui solo accoglieva scevro da ogni compagnia,
mi fissava col suo occhio vitreo seppure benevolo.
Mi ammaliò e lo volli con me, solitario interprete
di un canto divinatorio, mi curò e tenne compagnia.
Le intemperie e le fatiche degli anni passati insieme
hanno sbiadito i suoi colori, ormai il bianco splendente
del suo piumaggio ha lasciato il posto al grigio polvere
e il laghetto più non riflette vividi scampoli di bellezza.
Lo tenevo accanto a me, è caduto inopinatamente.
Tra il nero di mille versi abortiti, l’arancio del becco
in frantumi ammutolisce la tastiera. Ora non canta più.
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