Scritto da © Bruno Magnolfi - Mar, 05/04/2016 - 19:39
Lei pensa, anche se forse non dovrebbe neanche farlo. Tutt’ossa com’è, ormai alla sua bella età, si rannicchia sulla sedia e poi se ne sta da una parte, in silenzio, senza disturbare nessuno. Gli altri si muovono, camminano, parlano, vanno e poi tornano, e lei è sempre lì, con lo sguardo nel vuoto. Nessuno le chiede quasi più niente, se non raramente, e lei risponde soltanto con un gesto del capo e mezzo sorriso. Tutti immaginano che abbia tali ricordi dentro la testa capaci di tenerla occupata per tutto quel tempo, ma non è esattamente così. Nella sala da pranzo lei si sistema sempre allo stesso posto del medesimo tavolo, accanto ad una finestra che guarda il giardino, e mangia quello che c’è con una calma estenuante, tanto da farsi portare via il piatto anche se qualche volta non avrebbe neppure finito. Qualcuno la crede scostante, però sbaglia.
I suoi personaggi si muovono lentamente davanti ai suoi occhi, e lei studia le scene, riflette a fondo persino i costumi, e cambia le espressioni delle facce di tutti, quando si accorge che non sono opportune. I testi sono quasi sempre gli stessi, ma le battute vengono pronunciate in mille maniere diverse, lasciando scaturire da quelle poche parole che ripassa nella sua testa, significati ogni volta differenti. In genere agli inizi sono stati soltanto dei vecchi ricordi della sua smisurata passione teatrale, ma col tempo si sono ormai talmente modificati, a forza di essere ripercorsi soltanto mentalmente, da avere mutato completamente di senso, ed essere diventati qualcosa di nuovo, di diverso, di inusitato.
Qualcuno del centro anziani che conosce almeno in parte quel suo interesse, certe volte le chiede qualcosa, se sia già stato aperto il sipario, per dire, o se gli attori stiano ancora provando le parti, ad esempio; ma lei in genere getta un’occhiata da qualche parte e poi lascia in aria un sorriso, riprendendo subito con grande pazienza la sua difficile attività tutta mentale di regista e scenografa.
Infine in un giorno qualunque arrivano tre strampalati di un’associazione nata per intrattenere i degenti. Hanno in mente di recitare alcune scenette, roba leggera, senza troppo impegno, soltanto qualche testo scolastico ulteriormente accorciato e semplificato. Lei si piazza seduta, lascia che si inizi, segue ogni cosa con grande attenzione, ma dopo il primo quadretto un suo conoscente girandosi verso di lei le chiede con voce alta se le sia piaciuto.
Allora, così tremolante e smunta com’è, lei si alza, va su quel piccolo palco improvvisato, fa spostare un attore, gli dice qualcosa con voce bassa, spiega ad un altro come essere maggiormente espressivo, fa togliere una giacca di scena e piazza una sedia più vicina agli astanti. Infine si siede e lascia che la recita riprenda il suo corso. Tutto si fa più attento e preciso, i deboli attori si impegnano al massimo, gli anziani seguono con attenzione ogni dettaglio. Quando termina tutto, gli applausi sono spontanei, i residenti del centro hanno apprezzato, anche se qualcuno guarda dalla sua parte con sufficienza, fino a chiederle con un sorriso quasi di scherno chi mai si creda di essere. Non sono niente, fa lei sottovoce in risposta; il mio nome è Lucia, e basta così.
Lei pensa, anche se forse non dovrebbe neanche farlo. Tutt’ossa com’è, ormai alla sua bella età, si rannicchia sulla sedia e poi se ne sta da una parte, in silenzio, senza disturbare nessuno. Gli altri si muovono, camminano, parlano, vanno e poi tornano, e lei è sempre lì, con lo sguardo nel vuoto. Nessuno le chiede quasi più niente, se non raramente, e lei risponde soltanto con un gesto del capo e mezzo sorriso. Tutti immaginano che abbia tali ricordi dentro la testa capaci di tenerla occupata per tutto quel tempo, ma non è esattamente così. Nella sala da pranzo lei si sistema sempre allo stesso posto del medesimo tavolo, accanto ad una finestra che guarda il giardino, e mangia quello che c’è con una calma estenuante, tanto da farsi portare via il piatto anche se qualche volta non avrebbe neppure finito. Qualcuno la crede scostante, però sbaglia.
I suoi personaggi si muovono lentamente davanti ai suoi occhi, e lei studia le scene, riflette a fondo persino i costumi, e cambia le espressioni delle facce di tutti, quando si accorge che non sono opportune. I testi sono quasi sempre gli stessi, ma le battute vengono pronunciate in mille maniere diverse, lasciando scaturire da quelle poche parole che ripassa nella sua testa, significati ogni volta differenti. In genere agli inizi sono stati soltanto dei vecchi ricordi della sua smisurata passione teatrale, ma col tempo si sono ormai talmente modificati, a forza di essere ripercorsi soltanto mentalmente, da avere mutato completamente di senso, ed essere diventati qualcosa di nuovo, di diverso, di inusitato.
Qualcuno del centro anziani che conosce almeno in parte quel suo interesse, certe volte le chiede qualcosa, se sia già stato aperto il sipario, per dire, o se gli attori stiano ancora provando le parti, ad esempio; ma lei in genere getta un’occhiata da qualche parte e poi lascia in aria un sorriso, riprendendo subito con grande pazienza la sua difficile attività tutta mentale di regista e scenografa.
Infine in un giorno qualunque arrivano tre strampalati di un’associazione nata per intrattenere i degenti. Hanno in mente di recitare alcune scenette, roba leggera, senza troppo impegno, soltanto qualche testo scolastico ulteriormente accorciato e semplificato. Lei si piazza seduta, lascia che si inizi, segue ogni cosa con grande attenzione, ma dopo il primo quadretto un suo conoscente girandosi verso di lei le chiede con voce alta se le sia piaciuto.
Allora, così tremolante e smunta com’è, lei si alza, va su quel piccolo palco improvvisato, fa spostare un attore, gli dice qualcosa con voce bassa, spiega ad un altro come essere maggiormente espressivo, fa togliere una giacca di scena e piazza una sedia più vicina agli astanti. Infine si siede e lascia che la recita riprenda il suo corso. Tutto si fa più attento e preciso, i deboli attori si impegnano al massimo, gli anziani seguono con attenzione ogni dettaglio. Quando termina tutto, gli applausi sono spontanei, i residenti del centro hanno apprezzato, anche se qualcuno guarda dalla sua parte con sufficienza, fino a chiederle con un sorriso quasi di scherno chi mai si creda di essere. Non sono niente, fa lei sottovoce in risposta; il mio nome è Lucia, e basta così.
Bruno Magnolfi
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