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Bravo presentatore – Racconto anti-erotico

Racconto scritto e pubblicato una decina di anni orsono. Mi sembra attuale, Attenzione, è un po' osé.
 
 
Adesso, a quest’ora pre-notturna, mi manca la rabbia acre di chi si mette a mettere per iscritto la drastica nausea suscitata dalla razza cui appartiene. Già, ma chissà che non si vogliano intenzionalmente alzare i toni per farla sembrare, quella razza, ancora più ributtante e inammissibile del dovuto? Una stramba forma di razzismo cannibale? Che abomina il sé stesso recondito che cova nello sprofondo del simile, del  proprio simile? Sì, perché vien lecito domandarsi se è un mio simile quello di cui voglio parlarvi. Uno che può persino essere due, o tre, tanti ce ne offre la casistica e, nota bene, tutti uguali…
 
Un giorno qualsiasi, Alex S. varcò come d’abitudine la quinta che fa da divisorio e venne in luce sotto i riflettori, che lo illuminarono a giorno, al centro dello scenario variopinto ideato per il suo show, a metà strada tra l’intrattenimento e quella sociologia d’accatto che approda stancamente alle TV per far presa, con la cronaca più o meno nera, coniugata ai bei culi nudi delle donnine, sui baccalà che le seguono. Un giorno qualsiasi, lo ripeto, lui guidava il suo spettacolino qualsiasi, spendendo quattro soldi di morale qualsiasi da dentro il suo abitino deliberatamente un po’ eccentrico, ma pulitino e qualsiasi, come il resto. Così, come sempre, dopo aver seminato due o tre frasi fatte, del genere volemose bbene (era romano ovviamente), usciva di lì per far posto, appunto, a “culi e tette” in frenetica cadenza a un qualche blando ritmo volgare.
E ogni volta, en passant, smanetta tra le cosce di quelle donnine, ammiccandole maliziosamente e con gesti allusivi al dopo-show. Entra la soubrette dall’altra parte e canticchia stonandola una stupidata, in mutandine e reggiseno, facendosi un’arte di mostrare quanto più possibile, del suo corpo, in una sorta di offertorio concupiscente, da gran troia. Ed esce così, da puttana in gloria, scodinzolando come una cagna. Ma “esce” fra le braccia del “bravo presentatore”, che subito gl’infila una mano sotto lo slip.
-          Sei una troia grandiosa – Le dice – Senti qua. Hai la fica bagnata.
-          Non fare lo stronzo! – Dice lei. – E togli le unghie di lì! – Gliele allontana con forza.
-          La stronza sei te! T’ho fatto venire qui, ti faccio famosa, ma quando mi fai “arrapà”, devi darmela, lo sai, era nei patti!
-          Ma che cazzo dici? – Chiede la “brava” soubrette. – Vuoi scoparmi qui, ora che vai in scena?
-          Cazzo! Me lo fai scoppiare quando ti muovi così, davanti a tutti.
-          Ma che vuoi, scemo?!…
-          Dai, succhiamelo qui, alla svelta. C’è un minuto solo, poi c’è quella stronza sfrattata, quella vedovaccia orrenda, senza una lira…
-          Ma lasciami! Ma che cavolo vuoi fare, qui, nel corridoio?!…
-          C’è un angolo qui, allo scuro – Dice il “bravo presentatore”, sapendo ciò che vuole e dove e come lo vuole – L’ho già fatto altre volte, vieni! – Tirandola per un braccio.
-          No! lasciami, non voglio!
-          Oh, cazzo! – Le ruggisce contro. – O vieni adesso o domani te ne vai a farti fottere da qualcun altro! Tanto c’è già un’altra fica stupenda pronta a sostituirti!
 La guarda, si guardano “stretto” negli occhi, lei li abbassa a terra. La strattona, inculcandogli la strada di forza. La spinge in un angolo nero.
- Dai. – Dice – Lo so che sei una zoccola, una puttanaccia. Ti piace prenderlo in bocca! Tiè, succhia, troia!. - La costringe, la piega alle sue voglie. Stringe i suoi bei capelli neri tra le mano, e li tira facendole dondolare il capo avanti e indietro, mentr’ella, col suo membro dentro, quasi soffoca.
- Leccalo, mignotta… così, così… mandalo giù,… giù… oh…ah…
Puntuale, non un minuto di più, non uno di meno, rieccolo sul video. La truccatrice lo ha bloccato un attimo sull’entrata – Me che hai fatto? – Gli ha chiesto. - Sei tutto rosso in viso. –
- Lascia perdere! – Ha detto lui – Tanto in TV non si vede, lo sai!
- Mah, comunque… - Aggiunge lei spolverandogli qualcosa sulle guance. – Ecco, così va meglio.
- Signori! – Declama, movendosi con studiata indolenza verso una poltroncina – Vorrei presentarvi ora, il caso, veramente incredibile, e anche un po’ commovente direi, della signora M. – Davanti la quale si ferma per un baciamani un po’, come dire?, putrescente, ecco, verminoso. – Una vedova sola, abbandonata dai figli e dallo stato, senza alcuno scrupolo e gettata per strada da uno sfratto per morosità, ovvia; come poteva pagare un affitto maggiore della sua misera pensioncina? Una cosa che ripugna al senso di civiltà di ognuno di noi, veramente!…
 
Al termine dello spettacolo, si vede con quella di cui parlava prima, l’eventuale sostituta, quella “stupenda”. In cambio di alcune promesse, ottiene un rendez-vous nella sua villetta, subito fuori Roma, fra un paio di giorni. Poi monta in macchina, dietro, con una ballerina. Dice all’autista di andare al solito ristorante. Il tempo di tastarla un po’, di sbaciucchiarla un altro po’, e sono già lì. Se la piglia con l’autista: - Che cazzo di fretta hai? Merda! Te l’ho detto un milione di volte di non correre quando andiamo a mangiare!
- Scusi, signore! – Eh, già… così è… lo pensa pure l’autista.
 
Passa un’ora, un’ora e mezza, e lo ritroviamo a casa sua. Si sta spogliando. Le mani belle e curate, il volto “tirato” e ringiovanito, il corpo fa schifo. Lo stomaco “sborda” da tutti i lati, i muscoli negletti di braccia e gambe sembrano retrodatati ad età adolescenziali, tanto poco si sono evoluti e hanno agito da allora. Visto in controluce, rassomiglia ad una caricatura, con quelle zampette porcine infilate, come aste, nell’ombra pingue arrotolataci sopra. Brandisce un bicchiere e mira al sodo.
-          Mettiti nuda, voglio vederti! – Comanda alla ballerina, adagiata su un sofà. – Ti ricordo la tua promessa:  se mi fai lavorare da te, sarò la tua schiava… -
-          Sì, okay. Fa di me quello che vuoi – Proferisce stancamente la ragazza. Non gliene frega un accidenti di quello che vuole quel topo di fogna. Obbedisce e basta, per i soldi. Tanto più che lui l’ha imbottita di coca ed ella non recepisce più un granché.
S’avvicina. Vorrebbe sodomizzarla, per dire le cose come stanno. Ma è stanco, ha già avuto l’altra e ci pensa su. – Senti. – Dice perciò. – Siccome sono un po’ giù, fisicamente voglio dire, facciamo così: te mi “lavi” tutto per benino, con la lingua!, poi, “all’alzabandiera”, vieni tu sopra e ci facciamo una sgroppata un po’, diciamo, “cavallina”, ‘na specie di cavalcata della valchirie, anzi di una sola valchiria. Sì, già! – Trova con divertimento – Una vacca valchiria! Ih, ih!
- Sì, come vuoi tu. – Annuisce infelicemente colei, mentre si appropinqua ai suoi genitali per servirgli le “squisitezze” richieste. E’ nuda e pressoché meravigliosa, e ha nello sguardo una scintilla di angoscia che toccherebbe il cuore di un diavolo più generoso del “mallevadore” cui s’è affidata, ahimè…
 
Eccolo ancora sotto i riflettori. Ha già “toccato” le “bocce” di una, sussurrato sottovoce ordinarie porcheriole nell’orecchio di un’altra, strofinato il didietro di chissà chi altra. E adesso debutta ancora davanti alle telecamere.
-          Eccoci ancora insieme per parlare di un problema che tocca noi tutti. Un problema che ci riguarda come società, non come privati cittadini. – Passeggia, gigioneggia abilmente, da “bravo presentatore”, si sposta, senza farlo vedere, su un angolo dello studio, dove lascia che l’occhio della telecamera “stacchi” dalla sua persona per inglobare un divanetto collocato dietro di lui, sul quale trovan posto due adulti e tre bimbi, dal colorito esotico. – Noi non possediamo bacchette magiche per risolvere i problemi, tanto meno quelli epocali, come quello dell’immigrazione. Possiamo solo aiutare, suggerire quello che ci sembra più giusto, come dire?, più umano. Vi invito perciò a seguire la storia che ci racconterà questa famiglia tamil, sopravvissuta ad una autentica Odissea, soltanto per arrivare qui ed ottenere questo! – Mostra alle telecamere un documento di espulsione. – Dovevano già trovarsi sulla via del ritorno, se non fosse per un permesso che abbiamo ottenuto solo per stasera, solo per la nostra trasmissione… - .
 
A fine spettacolo, si dirige verso la sua auto, con dentro il nostro autista che aspetta da ore, accompagnato dalla sua nuova valletta, quella “stupenda” del rendez-vous, mentre, proprio di fronte, la famiglia tamil se ne va scortata dalla polizia, probabilmente verso l’aeroporto. 
E’ tirato, infastidito da quelle persone bizzarre e dal loro odore bizzarro. Si sente addosso come una specie di ospite indesiderato.
-Dio! - Esclama perciò – Che rottura. Senti che puzza! – Si sniffa l’abito. – Che tocca fa’ pe’vvive….
- Ma che dici? – Lo interrompe “fica stupenda”. – Dove andiamo? Da te?
- Certo! Sì, dove cazzo vuoi andare sennò?
Lei tace, annichilita. Sa bene quello che vuole quel porco e quello che avverrà tra poco. Ci ha perciò dentro una sorta di trepidazione amara, come prima di un intervento chirurgico. Si augura soltanto che arrivi subito, che non accadono cose “strane”, e, specialmente, che duri poco.
Ma quello è maldisposto e, appena giunti a casa, l’apostrofò duramente con un diktat,il più esplicito possibile: - Vai a letto! 
Il suo umore “nereggiava” con più ostinazione di prima e, affondandovi con rabbia, una sete di vendetta aveva preso a rimuginargli dentro. Ne seguiva perciò un risentirsi in sé, centrifugarsi e, insieme, lievitare come l’amalgama d’un panettiere. Ma questo pane che gli cresceva in cuore era rabbioso e invelenito, un Anticristo tale da fargli desiderare il massimo della pena. Apparve quindi con determinazione avanti al letto su di cui giaceva, nuda e straordinariamente bella, la fanciulla. Si sovvenne del desiderio inappagato della stanca serata precedente. E allora disse: - Girati! –
- Perché? – Venne esitante la risposta.
- Girati e basta! – Replicò quindi, facendola girare con uno scossone. Ora, con una mano la teneva ferma sulla schiena, con l’altra le accarezzò la vagina, infilandoci ripetutamente prima l’indice, poi il dito medio. Quando giudicò che questi fossero umidi abbastanza, risalì l’infossamento dei due giovani glutei e ne asperse l’orifizio dell’ano.
- No! – Urlò lei. – Che vuoi fare?
- Sta zitta, zoccola! – Disse, montandole sopra. E così, costringendola all’immobilità con tutto il suo peso, armeggiò due o tre volte finché il suo membro non s’immerse in quel pertugio. Facendola urlare di dolore.
Così, mentre ella singhiozzava parole sconnesse e lui le sussurrava di volerla “sfondare”, di desiderare di spaccarle il didietro, perché, asserì,  a una puttana gli piace farsi dare in culo a morte, gli venne in mente qualcosa di estremo. Cioè che ciò che aveva appena proferito avrebbe appunto costituito l’apice del piacere, quel “dare la morte”, quel disporre violento della vita giovane di una “fanciulla in fiore” e violarla. L’occhio cadde sui pantaloni gettati lì accanto. Senza staccare il suo membro dalle natiche della ragazza, li afferrò e ne estrasse la cintura.
- Cominciamo con una bella fustigazione all’antica. Le puttane bisogna batterle – Disse spingendo ancora più in giù la sua penetrazione e causando così un gemito quasi morente nella sua vittima.
- Ah… - Bisbigliò lei, lui tenendosi in qualche modo sollevò la mano, armata della cintura per colpire dalla parte della cinghia.
Ma qui avvenne qualcosa di inusitato, anzi di inatteso. La porta si aprì ed entrò un suo amico d’infanzia, uno al quale non aveva mai restituito una certa sommetta prestatagli. Capì subito che quello doveva aver saputo che lui s’era arricchito ed era venuto perciò adesso ad esigere la restituzione di quei quattro soldi.
- Maledetti… morti di fame… - Mormorò quasi in un soffio…
 
Poi fu la volta dell’azzurro lamento dell’auto-ambulanza, la corsa verso l’ospedale, la rianimazione, il trambusto torno torno di medici e infermieri, i tubi, le siringhe…
L’ictus l’aveva mezzo massacrato. La ragazza l’aveva salvato, intuendo tutto e subito e anche con grande sollievo per sé stessa. Ma l’aveva salvato a metà…
Così che oggi è ancora lì, sulla sedia a rotelle, che rimugina ricordi spezzati, che ricorda a metà con solo mezzo cervello, mentre con una sola mano cerca invano di tirarsi su, sull’unica gamba che si muove ancora.
Il suo pene è morto.
 

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