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Asserpolato (Emigrato interno)

 
 
Le ginocchia stringo tra le mani
e vi accosto le orecchie.
Poi i gomiti alle costole.
Inanellandomi m’invagino
come per origliare e auscultare
dietro una parete di pelle e carne,
come per snidare un folto annidarsi.
 
Nocchiere senza occhi
le nocche lampeggio.
 
Il cuore (un pilota automatico)
continua a reggere il corpo,
ai polsi batte il suo dovere di esistere.
E faccio un nido coi pugni cavi.
Le radici spalmate sulle palme
m’innervano di rughe le mani.
 
Mi trasformo in cercanza
con un serpente come cintura,
cogenza di raggi fatti piume senza carcame,
éffeta di disgelo, glicine in cascame,
divento placenta di ameba,
embrione di drago.
 
Io che sono abisso,
il più abisso di tutti,
a crocefisso mi ci getto.
E ciò che è visto torna invisibile,
il rappresentato irrappresentabile.
 
Così mi son seduto
sul sasso meno smosso
e ho deciso di aspettarmi.
 
 
 
6-7-2006
 
 

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