Perché dunque, è sempre più diffusa la tendenza a produrre immagini superficiali e scontate? Perché le immagini che ci circondano sono sempre più spesso prive di quell’elemento fondamentale che Roland Barthes avrebbe definito : “punctum?
Perché abbiamo smesso di volere un’arte al servizio della totalità dell’uomo, inesorabilmente deprivata della sua sacralità e che non sia un mero prodotto commerciale sbiancato disinfettato e svuotato di ogni accenno di vita reale, e di ambizione verso l’assoluto?
La vita è un ciclico alternarsi di morte e rinascita, e soprattutto, è un grande mistero, l’Arte ha in passato tentato di riportaci a questa realtà che costituisce da sempre una notevole fonte di angoscia per l’umanità, tuttavia, nel momento in cui l’Arte ha smesso di creare una comunicazione, cioè di rimandare ad altro e soprattutto di toccare le nostre parti più profonde, essa è divenuta impotente ed incapace di promuovere intimità e conoscenza.
Si è trasformata in un atto fine a se stesso, con la priorità assoluta di stupire, di gettare polvere negli occhi, o di produrre un superficiale appagamento estetico, senza preoccuparsi minimamente di indurre alcuna riflessione, senza rischiare di produrre alcun cambiamento esistenziale.
La capacità di accesso al mondo dei simboli necessita un movimento di introspezione che consenta la visione interiore, l’"insight", solo allora è possibile contattare le nostre parti piu oscure, le sensazioni sommerse, che compongono il nostro tesoro interiore: la nostra anima.
Rilke sosteneva che una opera d’arte nasce da una necessità ma questa necessità è spesso oscura, e si fa sentire attraverso lo spasimo della sofferenza che, attraverso uno stretto cunicolo tenta di arrivare alla superficie grazie alla rappresentazione.
L’Arte nel passato aveva la funzione di " medium", un ponte tra interno ed esterno, e l’arte ricca di simbolismo dei nostri antenati lo ha sempre avuto presente come priorità prefiggendosi una ricerca continua di immagini eterne, in grado di legare modelli di realtà interiore ed esteriore, ma soprattutto di comunicare a livello psichico profondo, l’essenza del nostro esistere, in bilico tra la paura e l’angoscia che derivano dai limiti del corpo e della natura e l’ambizione di trascendenza ed assoluto delle nostre anime.
La vita umana è ben poca cosa quando la capacità visionaria si impoverisce, e allorquando i simboli hanno esaurito la loro forza di rimescolare l’inconscio, siamo costretti ad abbandonarli come succede ai giorni nostri oppure raccoglier la sfida e l’onere di trasformarli ed adeguarli alle nuove realtà.
Nelle società primitive nel momento in cui i loro valori spirituali sono esposti all’impatto della civilizzazione moderna, la vita dei loro membri viene deprivata dei suoi simboli, che vengono sostituiti dalla seduzione di una vita facile comoda e senza sofferenza. Non c’è poi da stupirsi se queste società sprofondano in un grande senso di smarrimento, se le persone finiscono con il il perdere il senso delle loro vite e se la loro organizzazione sociale si disintegra a favore di una triste decadenza morale.
La medesima deprimente tendenza è sotto gli occhi di tutti anche in campo artistico, l’inaridimento del sentire è sempre più tangibile e sempre più di frequente si assiste ad una progressiva promozione di superficialità, volgarità, ipocrisia ed una qualificata assenza di talento a parte quello dell’inganno e della manipolazione. La ripetizione fino alla noia di formule sicure, ha deprivato ogni forma di espressione della sua vitalità, rendendola vuota e ripetitiva.
Forse però non è troppo tardi; forse è ancora possibile fare nostri i consigli che Rilke dava al giovane poeta quando lo spronava guardare dentro di se, forse possiamo ancora chiederci: " Qual è l’intima ragione che ci spinge a rappresentare, il motivo che intima il nostro gesto espressivo"?
Forse è ancora possibile spegnere la luce, uscire dalla noia, immergerci in noi, reinventare e reinterpretare la forza dei simboli portandoli alla luce della nostra attuale realtà, forse è ancora possibile dar vita a visioni che più di centomila parole, teorie e dogmi siano in grado di muoverci e trasformarci.
E’ una sfida che mette alla prova le nostre capacità di scavo interiore, ma ne vale la pena dal momento che mediante la rievocazione e la reinvocazione della nostra intima realtà spirituale è possibile attivare intuizioni profonde e nuove visioni relative a quei temi che da sempre sono di vitale importanza per l’individuo e la società.
Rilke sosteneva che gran parte delle esperienze sono indicibili, impalpabili accadono in un luogo in cui la parola non entra; sarebbe una grande ricchezza per tutti se le cosiddette opere d’arte potessero tuttora collocarsi in questo spazio per poterci misteriosamente accompagnare nel corso del tempo oltre l’esiguo limite delle nostre esistenze.
A.IurilliDuhamel
Immagine Odilon Redon,The golden cell
- Blog di Antonella Iurilli Duhamel
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