lups hominarius | Prosa e racconti | Antonio Cristoforo Rendola | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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lups hominarius

- In alcuni ambienti, fino a qualche anno fa, era diffusa la credenza che la licantropia non fosse, come si ritenne in epoche antichissime, l’espressione di una forza oscura e malvagia, ma che fosse una sorta di malattia facilmente spiegabile in termini medici che induceva un uomo ad assumere, in certi momenti della sua vita o in certi periodi, le sembianze di un lupo. Alcuni ritenevano addirittura che la peluria del corpo potesse aumentare notevolmente e che unghia e denti assumessero la forma tipica di quelli del lupo.-
Tutti, me compreso, ascoltavamo la lezione del professor Spartaco con molto interesse e concentrazione. Egli parlava andando su e giù per l’aula, scambiando sguardi e sorrisi specialmente con le ragazze. Si sedeva sulla grande cattedra, accavallava le gambe, poi si rialzava e continuava a passeggiare dando, di tanto in tanto, un’occhiata al suo orologio da polso.
- In quelle condizioni – continuò – il “malato” era indotto a vagare per i boschi nascondendosi ed aggredendo chiunque trovasse sul suo cammino. Terminata la crisi, l’uomo tornava alla normalità, conducendo la sua consueta vita e non ricordando nulla di ciò che gli era accaduto.-
Il professore aveva poco più di cinquant’anni, era un bell’uomo con i capelli brizzolati e gli occhi chiari. Egli era docente di antropologia nella nostra facoltà universitaria e i suoi modi decisi, ma gentili, facevano breccia nel cuore di tutte le ragazze che frequentavano il nostro corso, tanto che, si vociferava, avesse avuto relazioni amorose con più di una di loro.
- Oggi – spiegò Spartaco – vi è ancora la credenza che la licantropia sia una malattia ben definita che, ovviamente senza l’aumento di peli e crescita di denti, induca ugualmente un uomo ad assumere l’atteggiamento di un lupo, facendolo ululare e camminare a quattro zampe nelle notti di luna piena. Ho finito. Ci sono domande? -
Alice era una ragazza straordinaria: seria, studiosa, bella ed intelligente come ce n’erano poche. Praticamente ne ero innamorato, ed anch’ella aveva un debole per me, visto che da un po’ di tempo filavamo insieme. Era, però, una ragazza un po’ all’antica e sul rapporto uomo-donna aveva le idee alquanto bislacche: praticamente non mi si era mai concessa, in virtù del fatto che il completo rapporto sessuale dovesse avvenire solo a matrimonio avvenuto. Roba d’altri tempi! Ella alzò un braccio per chiedere qualcosa.
- Mi dica…- fece il professore.
- Perché la convinzione di trasformarsi in lupo è detta anche licantropia di Nabucodonosor?-
- In un passo della bibbia si narra della vicenda del re babilonese, il quale, a causa della sua vanità, fu trasformato in una specie di lupo e assunse un comportamento animale. -
Poco più avanti si alzò Ester, la più smorfiosa del corso.
- E’ vero, professore – disse sorridendo maliziosamente ed ondulando le spalle – che con la metamorfosi nell’individuo si sviluppano maggiormente anche…gli organi genitali ed egli stesso è preda di un raptus sessuale? -
Spartaco si accostò ad Ester.
- Gli animali – disse – hanno una vita sessuale più regolare della nostra. Essi vanno in amore solo in determinati periodi dell’anno e, quando lo fanno, sono sicuramente liberi da qualunque inibizione o preconcetto…-
Improvvisamente, mentre parlava, cominciò a sentir caldo e a sudare. Così allentò il nodo della cravatta e sbottonò il collo della camicia, poi continuò:
- Quando la bestia entra nell’uomo è subito contagiata dalla sua libidine, dal suo sadismo, dal suo masochismo e da quante altre perversioni si affollano nella sua mente…-
Di colpo si fermò, affannava, si lamentava. Il suo corpo s’ingigantì spaventosamente. Il suo viso si allungò in un muso nero e schiumante di bava dal quale spuntarono due enormi zanne. Le orecchie si allungarono, il corpo si deformò in un ammasso peloso fino ad assumere le sembianze di una grossa e terribile belva. Fra il terrore dei presenti, emise un ululo lungo ed agghiacciante, poi si lanciò sull’atterrita ragazza che l’aveva provocato e la fece a brandelli.
- Toni! Toni!- sentivo la voce di Alice che, scuotendomi, cercava di risvegliarmi. Mi ero addormentato! Il professore era lì che aveva appena finito la lezione regolarmente e stava infilando in borsa le sue carte.
- Poi mi dovrà parlare degli atteggiamenti sessuali dei licantropi, professore. – disse Ester, e passandogli accanto, aggiunse: - …Magari con una lezione privata.-.
Mentre facevo un po’ di strada con Alice mi tornò in mente quello strano sogno che avevo fatto in aula: - Cosa pensi della licantropia? – chiesi alla ragazza che ondulava camminando con un gran numero di libri sottobraccio.
- E’ una manifestazione di natura isterica. -
- Ma credi veramente che un uomo si possa tramutare in bestia? -
- E’ una credenza che ha radici in molte culture del mondo. Di solito l’animale in questione è quello più pericoloso della zona: la tigre in Asia, la iena in Africa, l’orso o il lupo in alcune zone dell’Europa. Pensa se tu fossi un licantropo! -
- Io? -
- Si, qui potresti tramutarti in una zanzara che è l’animale più pericoloso in circolazione da queste parti. Ciao!-
Mi piantò in asso ed esattamente in quell’istante fui punto sul collo proprio da una zanzara che schiacciai con uno schiaffo.
Qualche giorno dopo accadde che, mentre percorrevo in bicicletta il vialetto che portava a casa mia, dall’altro lato dell’aiuola, sulla strada carrabile che attraversava per intero la nostra cittadina, vidi il professor Spartaco alla guida della sua auto. Egli, non rispettando un segnale di stop all’incrocio, si scontrò con un’altra automobile che sopraggiungeva alla sua destra. L’impatto fu violento, le lamiere si distorsero e i vetri andarono in frantumi. Il professore scese dalla sua auto, accigliato e rosso in volto, e tale fu la sua ira subitanea ed incontrollata che assalì il malcapitato guidatore dell’altra autovettura a pugni e a calci. Poi, prima che qualcuno potesse intervenire, tirò su il poveretto che era finito in terra per le percosse e con un morso gli staccò parte di un orecchio. Subito dopo si rimise in macchina e ripartì lasciando l’uomo urlante e dolorante con il sangue che gli colava a rivoli sul collo. Nessuno si era reso conto dell’accaduto. Io abbandonai la mia bici sul ciglio del viottolo e soccorsi il pover’uomo che si dimenava in terra e piangeva.
Quell’episodio mi aveva sconcertato non poco: come è possibile, mi chiedevo, che un tranquillo professore universitario possa aver reagito in quel modo sconsiderato, sapendo, oltretutto, di aver torto per non aver concesso all’altra auto il normale diritto di precedenza?
Ugo era il mio più caro amico. Dopo il diploma non aveva voluto più saperne di studiare e si era messo temporaneamente a lavorare come banconista in un Fast-Food a due passi dalla facoltà. Era un tipo allegro e gioviale, grande e grosso, pel di carota e capelli rossi. Conosceva Spartaco perché spesso, durante l’intervallo, il professore andava a farsi un panino da lui.
- L’Hamburger lo preferisce al sangue, quasi crudo, e non mangia altro.- raccontava.
Sono certo che Ugo aveva trovato proprio il posto che faceva per lui. Pesava oltre cento chili ed era tormentato da uno stimolo famelico continuo. Probabilmente la paga settimanale se la mangiava tutta nel Fast-Food in panini, patatine fritte e pop-corn.
A rendergli la vita difficile, a lui come un po’ a tutti noi, era Alfredo, collega di corso, un individuo violento e prepotente che frequentava il locale con la sua banda di smidollati: Carlo, detto “King Kong” per i suoi muscoli; Giacomo, cinico ed efferato, detto “Jack”; ed un terzo deficiente del quale non ho mai saputo il vero nome, denominato “Pinocchio” per il naso sproporzionatamente lungo ed il corpo dinoccolato.
Ugo lo avevano denominato “Bomba” e gli facevano ogni sorta di cattivo scherzo come: mettergli lo sgambetto mentre serviva ai tavoli, rompere gli specchietti retrovisori della sua vecchia auto o, peggio, bucargli le ruote. Per tutto questo, la rabbia gli rodeva dentro, e prima o poi avrebbe voluto fare qualcosa contro quella banda di teppisti da strapazzo, ma fatto stava che egli era un mite, poco incline ad attaccar briga e a dare botte.
Alla fine delle lezioni, spesso, la gang si piazzava davanti al cancello d’uscita dell’Università, e lì apostrofava con pesanti epiteti tutte le belle ragazze che passavano. Lola, amica di Ester, era una mezza racchia e, dopo Ugo, era il soggetto preferito dalla banda.
- Ciao Lola. Come sei bella oggi! – diceva “Kong” con falsa enfasi.
- Scusalo, ha scordato gli occhiali! – rispondeva “Jack”.
Attraverso il cancello passava un vero e proprio campionario umano: dagli insegnanti ai loro assistenti; dalle segretarie agli ausiliari d’ufficio; dallo studente povero a quello ricco; e per ognuno di loro la gang aveva pronto un commento.
- Hei, dormiglione! – mi gridò Alfredo: - Cosa fai di notte per non dormire? Fai seghe?-
- Si, con tua sorella! – gli risposi spavaldamente, stufo per il suo continuo sfottò.
Lo “stronzo” non perse tempo ed improvvisamente mi mollò un cazzotto che mi fece ruzzolare in terra. Non mi persi d’animo, mi rialzai e mi buttai a capofitto sul mio avversario, che avrebbe avuto la peggio, se non fossero intervenuti i suoi amici che mi presero per le braccia e, mentre mi tenevano, egli mi picchiava sotto lo sguardo idiota di quel balordo di “Pinocchio” che se la rideva prendendomi di tanto in tanto a calci.
Ugo vide tutto dal Fast-Food e, nonostante avesse una fifa matta, non esitò ad intervenire in mio aiuto: - Vigliacchi! – Urlava correndo verso di noi. Ma non ebbe neanche il tempo di avvicinarsi che Alfredo e gli altri, lasciandomi mezzo morto in terra, riempirono di botte anche lui. Ci conciarono per le feste tutti e due, e quando se ne andarono, non c’era un posto del corpo che non ci dolesse.
- Gliela abbiamo fatta vedere a quei bastardi, eh? – disse Ugo, sputando sangue e trovando in chissà dove un mezzo sorriso.
- Altroché!- risposi attonito: - Gli abbiamo spellato le mani! -.
Ester, esageratamente formosa, fornita di curve da capogiro che al solo vederle ti mozzavano il fiato, era, come capita spesso in questi casi, piuttosto oca e sciocca e il suo pensiero non spaziava oltre l’amplesso sessuale.
Fu per caso che la vidi mentre saliva sull’auto di Spartaco. Lui si guardò intorno, poi pigiò sull’acceleratore e si allontanarono a tutto gas verso una pinetina. Quella fu l’ultima volta che vidi Ester viva! Dopo due giorni dalla scomparsa, cominciarono le ricerche della ragazza. Furono impiegati tutti i mezzi possibili: uomini, elicotteri, cani, ma fu tutto inutile.
Un terribile dubbio mi rodeva dentro: avevo visto Ester entrare in macchina col professore e da quel momento non si era più saputo nulla di lei. Quando, dopo venti giorni, fu trovato nella pineta adiacente la spiaggia il corpo della ragazza ridotto a brandelli, non potei fare a meno di denunciare alla polizia ciò che avevo visto. Spartaco fu convocato dagli agenti e messo a confronto con me:
- Certo! – disse – Non nego di aver fatto salire la ragazza nella mia auto il giorno della sua scomparsa. Ma questo che vuol dire? La stessa era maggiorenne e consenziente. Inoltre, dopo esserci appartati proprio nel boschetto di pini, l’ho accompagnata nelle vicinanze di casa e lì l’ho lasciata.-
- Lei si renderà conto che la sua posizione è compromettente, professore. – disse il capo degli agenti.
- Solo perché un mocciosetto, forse anche geloso, ha visto la ragazza entrare in auto con me? Suvvia signori! Che motivo avrei avuto di ammazzarla poiché proprio lei, davanti ai suoi compagni, mi aveva fatto capire che…E poi ridurla in quel modo! Come avrei potuto?-.
- In affetti nella vostra auto non vi è alcun segno di colluttazione, - disse il poliziotto – né abbiamo trovato sul corpo della vittima qualcosa che possa farci risalire a lei, professore. Sotto le unghie della ragazza sono stati rinvenuti solo segni di peluria animale e brandelli di scaglie. Vi dico io cosa è stato: ci è giunta notizia che una grossa pantera nera è fuggita da un circo accampato nelle vicinanze. Ecco la colpevole! Viste le condizioni del cadavere, solo di una belva può essersi trattato. Lei, comunque, resti a disposizione professore.-
Guardavo Spartaco mentre annuiva, e lo faceva in modo calmo, compassato, con invidiabile autocontrollo. Nell’andare via, mi passò davanti, si girò, mi guardò un secondo, mi prese il mento tra l’indice e il pollice della mano destra, poi disse:
- Non potrai mai avere un buon voto all’esame di antropologia se invece di pensare a studiare, vai in giro ad impicciarti dei fatti degli altri!-
Nel fare quel gesto, involontariamente scoprì il polso, così notai che lo aveva fasciato con una garza.
- Aveva il polso fasciato, capisci? – dissi ad Ugo quando gli confidai ciò che avevo visto.
- Beh, non vuol dir nulla…-
- Vuol dire che la povera Ester si è difesa e lo ha graffiato. -
- E la faccia? Le braccia? E poi sei certo che avessero preso proprio la strada del boschetto?-
- Si! Ed è lì che Ester è stata uccisa…l’ha ammazzata lui! -
- Ma è stata fatta a pezzi…- obiettò il mio amico poggiando entrambi i gomiti sul bancone del Fast-   Food, e poi aggiunse: - Qui si tratta dell’opera di un animale selvaggio, di una belva! -.
Cominciai a trascorrere il mio tempo spiando le mosse del professore, lo seguivo, sapevo dove abitava, dove andava e cosa faceva. Non aveva amici, né parenti e trascorreva ora a guardare il passeggio della gente nei giardini pubblici o nelle vie del centro. Osservava meticolosamente uomini e donne, il loro andare, il loro fare, sembrava addirittura che ne riuscisse a leggere i pensieri. Durante le lezioni osservava attentamente i nostri movimenti, ascoltava i nostri discorsi, ed io, dal canto mio, analizzavo minuziosamente le sue parole, cercavo di intercettarne l’intercalare come per riuscire a cogliere qualcosa, uno spunto che potesse condurmi alla risoluzione del caso.
Fui beccato un giorno mentre lo seguivo. Era di sera, c’era poca gente in giro per la pioggia che venendo giù a catinelle, andava a frantumarsi sul selciato rendendolo lucido e scivoloso. Egli, accortosi della mia presenza, s’infilò in un portoncino. Quando vi passai oltre, mi sbucò alle spalle e mi strinse il collo con un braccio. La sua stretta era possente, sentii l’aria che mi mancava.
- E’ molto pericoloso essere cattivo con me! E tu lo sei, tu e il tuo fardello di credenze e superstizioni che violentano la mia originaria dimensione sociale!- urlò mentre ormai non riuscivo quasi più a respirare. Improvvisamente mollò la presa e fece finta di riconoscermi solo allora: - Toni! Oh, Cristo Santo! Io credevo che fosse un ladro a seguirmi, qualcuno che avesse cattive intenzioni. Ma cosa vuoi? Perché mi pedinavi?-
- Io no-non la pedinavo pro-professore…- dissi fingendo e tossendo: - E’ che io a-abito qui più a-avanti…-
- Ma bravo! Dì un po’ come sta Alice? -
- A-Alice? -
- Quella bella mocciosetta alla quale fai il filo…Dicono che sia una verginella…-
- Non le pe-permetto…-
- Suvvia, senza volerlo, ho sentito in aula le sue amiche che ne parlavano. Sai tra donne…Ad ogni modo sarà bene che tu adesso te ne vada a casa, e ci resti. E’ una brutta notte questa…-
- Già! Una no-notte da lu-lupi – osai aggiungere timorosamente.
Lui, guardandomi, sorrise, mi mise una mano sulla guancia per carezzarmi, e disse: - Sei un impertinente!  Hai mai sentito parlare di Eliseo? Siccome voleva salire su una montagna, fuori Gerico, alcuni ragazzi spudorati come te lo derisero e dissero: “Oh, testa calva, avanti sali!” Sai cosa accadde? Egli li maledisse. Quindi uscirono due orsi dal deserto e fecero scempio di quarantadue bambini. Quello era un comandamento di Dio.-
Mi diede uno schiaffetto sulla guancia e mi lasciò sotto la pioggia, tutto inzuppato d’acqua, mentre di lontano un lungo tuono rotolava cupo e sinistro.
Non so come mi fosse venuta l’idea, forse per il sogno che avevo fatto in aula, forse per il modo barbaro col quale era stata uccisa Ester, o forse per semplice intuizione scaturita da una sorta di sesto senso che avevo avuto fin da bambino, ma certo era che cominciai a pensare a Spartaco come ad un licantropo. In biblioteca comunale mi misi a cercare tra i volumi tutto ciò che potesse riguardare la licantropia. Fortunatamente incontrai Lola, l’amica di Ester, che in quel posto praticamente ci viveva. Era costei, come già detto, piuttosto bruttina, alta e magra, con i capelli tirati su e fermati generalmente da uno spillone. Portava un paio di occhiali molto grandi, parlava velocemente ed aveva un modo di fare molto sbrigativo.
- C’è qualcosa sull’argomento che ti interessa. – disse, e da uno scaffale tanto in alto da arrivarci solo con uno scaletto, prese un libro. Si trattava di un volume scritto nel XII secolo, rilegato in pelle, con ornamenti giallo-oro, dal titolo “HISTORIA BONONIENSIS” di un tale Ulderico da Ferrara.
- E’ stato lui, vero? – disse Lola poggiandomi il libro davanti: - Ester mi confidò che sarebbe uscita con lui…Cosa ne pensi? -
Senza rispondere aprii il libro. In esso era ben illustrata la figura del lupo mannaro, dell’uomo capace di tramutarsi in belva secondo un antichissimo mito risalente addirittura alla preistoria, quando alcune persone, seguendo rituali mistici o propiziatori, si travestivano da animale per rappresentare la divinità, il coraggio, la forza della natura. Ulderico affermava che: “ La valle samoggiale est infestata da tale essere in guisa parvente umana, lo quale corpo interamente si copre di ispido pelo sive scaglie piscifere et diabolicum creationem villici illo credunt.”
- Perché leggi queste cose? – disse Lola mentre seguivo con sempre maggior interesse il contenuto del libro: - Ha qualcosa a che vedere con la morte di Ester? – La guardai senza rispondere, e lei: - Non crederai, mica che…si, insomma, che lui sia un…lupo mannaro?-. Calai lo sguardo e ripresi a leggere ed a tradurre simultaneamente dal latino volgare: “Nella tradizione latina, gli HIRPI SORANI, sacerdoti del monte Soratte assumono modi di lupi ed a branchi assalgono i villici che sbranano sacrificandoli al DIS PATER, il re dei morti. Costoro, per determinare intere generazioni di uomini lupi, devono accoppiarsi, solo con giovani vergini che mai hanno avuto alcun tipo di rapporto sessuale. Nei barbari teutonici coloro che si tramutavano in belve erano chiamati BERSERKER, nome che stava ad indicare, appunto, l’essere umano tramutato in animale con tutta la sua esaltazione.”. Misi le mani sul libro aperto e sbiancai in volto. Non riuscivo più a parlare, a connettere alcunché, mi guardavo intorno smarrito. Mi sentii male ed a malapena udii la voce di Lola che mi chiamava: - Toni! Toni Berserker, cosa ti prende? Ti senti male? -.
Dunque, ero io l’uomo lupo?! Ero stato io ad ammazzare Ester?! E come? Forse l’avevo seguita, l’avevo afferrata sottocasa dove Spartaco l’aveva lasciata e l’avevo riportata nel boschetto? Non ricordavo nulla! Non potevo ricordare!
A lezione Spartaco parlò proprio di popoli indoeuropei: - Tra voi c’è uno studente che porta un cognome veramente particolare: Berserker. Essi erano un ordine di cavalieri provenienti da varie tribù germaniche: Chatti, Eruli, Tifali, uomini coraggiosi che si opponevano allo strapotere romano con dei rituali che prevedevano il travestimento con pelli di animali (orso o lupo). La pelle indossata dal combattente era così un modo per trasformarsi in fiera, per acquistare, in virtù delle potenzialità magiche, l’energia bestiale dell’animale incarnato. La caratteristica principale dei Berserker era la certezza di essere trasformato in bestia. Questa trasformazione non era soltanto simbolica, infatti, l’ingresso tra i Berserker era effettuato attraverso un rito iniziatico che prevedeva una serie di prove belliche e militari. Chi era in procinto di entrarne a far parte aveva l’obbligo di non radersi mai barba e capelli e doveva aver ucciso a mani nude almeno un nemico. Attraverso queste prove l’aspirante Berserker avrebbe avuto la possibilità di trasformarsi in una vera a propria fiera.- Poi guardò me e disse: - Vero, signor Berserker? Cosa ne sa lei dei suoi antenati?-
- Nu-nulla professore! – dissi, ed andai via.
La mia famiglia era effettivamente di origine tedesca. Mio nonno, Toni Berserker, era nato a Berlino nel 1920 proprio quando, con l’incorporazione di numerose cittadine prima autonome, sorse la grande città. Durante la seconda guerra mondiale combatté in Italia. Quando avvenne la catastrofe della sconfitta, disertò e si nascose in casa di una contadina: mia nonna. Dopo la liberazione da parte degli americani, si sposarono ed ebbero tre figli maschi. Mio padre mi disse che i Berserker erano guerrieri teutonici che non avevano paura di nulla e si lanciavano su qualsiasi avversario, anche meglio armato; una sorte di kamikaze dell’era antica. Non mi aveva mai accennato ad alcuna trasformazione. Ne faceva invece cenno Tacito nel suo “DE VITA ET MORIBUS JULII AGRICOLAE”, in cui egli parla del suocero Giulio Agricola, conquistatore della Britannia: “ Di ritorno – egli scrisse – le legioni romane s’imbatterono in orde di lupi dall’aspetto umano, belve feroci, scaltre e pensanti che colpivano rapidamente nella boscaglia e poi sparivano. Costoro erano i Bersarker, una setta germanica tra le più esagitate e sanguinarie che fecero scempio di molti nostri uomini in nome della libertà delle genti teutoniche.”
Ugo, che ormai non tollerava più le cattiverie della gang, l’aveva fatta grossa: con la sua auto aveva deliberatamente messo sotto la bicicletta che Alfredo aveva parcheggiato sotto casa e l’aveva ridotta ad un ammasso informe di ferraglia. Così, per paura di eventuali ritorsioni, quella notte se ne era venuto a casa mia. Eravamo soli perché i miei genitori e mio fratello minore erano andati via per trascorrere una settimana in montagna insieme con altri parenti.
Per il fatto di essere un appassionato di cinema, la mia stanza era un belvedere di poster, fotografie, stampe, locandine di Robert De Niro, Brad Pitt, Anna Magnani, “Titanic”, “Psyco”, “La casa”, “The sixth sense” ed altro. Tutto intorno, in mobili e scaffali, avevo qualcosa come oltre quattro o cinquecento video-cassette.
Improvvisamente udimmo dal basso la voce di Alfredo che tuonava a squarciagola: - Bomba! Bastardo! Ti hanno visto, sai! Vieni giù che ti faccio il culo a fette!-
- Co-come avrà saputo che so-sono qui?- m’interrogò Ugo, tutto ansante, tremando e sbirciando dalla tendina della finestra.
- Se non vieni giù, giuro che vengo su io e faccio la casa a pezzi! -
- Bambinaccio! – urlò Pinocchio:- Vieni dalla mamma che deve tirarti le orecchie per le tue birichinate…-
- Sarà meglio che vada. – disse Ugo, e si avviò lentamente senza che io avessi il coraggio di fermarlo o seguirlo, paralizzato com’ero dalla paura.
Quando fu giù, “Kong” inarcando le braccia sui fianchi, urlò: - Ecco! Ecco il cattivo bambino!-
- Monellaccio birbante! – ironizzò “Jack” portandosi alle spalle di Ugo ed immobilizzandolo improvvisamente con l’aiuto di “Kong”.
- L’han preso, l’han preso e corichicò e adesso gli daranno le to-tò ! – cantava Pinoccho a mò di filastrocca e ballava tutto intorno.
- Alfredo tirò fuori un coltello a serramanico: - E allora…- disse – cosa c’è? Non ti piaceva la mia bicicletta?-. La lama, riflettendo la luce che proveniva della mia finestra, scintillò nell’oscurità.
- Hai ragione… - continuò Alfredo avvicinandosi al mio amico – Ci si può far male! Si può cadere e finire con le dita tranciate dai raggi delle ruote…-. Guardò i suoi scagnozzi ed ordinò: - Tenetegli ferma la mano destra! Fra poco non guiderà mai più un’automobile!-
- Cosa vuoi farmi? No!- gridò Ugo.
Improvvisamente Alfredo si fermò, alzò lo sguardo verso la mia finestra e rimase come paralizzato da qualche orrenda cosa che aveva visto in controluce. Anche i suoi amici guardarono tutti verso di me, rimanendo inebetiti. Dopo qualche secondo, all’unisono, lanciarono un folle urlo e fuggirono via terrorizzati.
Quando anche Ugo, frastornato dall’accaduto, guardò verso di me, rimase di pietra mentre io cadei a sedere senza capire cosa fosse avvenuto.
Il mio amico tornò su di corsa e, girando e cercando per tutta la casa, ripeteva: - Cos’era? Cristo Santo! Cos’era?-.
Quella stessa notte feci uno strano sogno. Sognai che uscivo di casa e percorrevo le strade deserte della città tenendomi quanto più possibile nascosto nell’ombra. I miei movimenti erano felini, veloci. Ansimavo e vedevo la bava che, dalla mia bocca, colava su un paio di zampe robuste e pelose. Era come se lo spirito di un animale avesse preso possesso della materia del mio corpo. La mia mente era rimasta umana, ma i miei sensi ed il mio istinto erano quelli di una bestia, di un lupo. Seguivo con l’olfatto un odore particolare che avevo già annusato più volte in precedenza e che mi portò in uno stretto vicoletto, appena rischiarato dalla luce di una piccola insegna: “Sala giochi”.
Mi acquattai in attesa che uscisse chi emanava quell’odore che avevo seguito e ad un tratto venne fuori “Pinocchio” che, dopo aver salutato qualcuno, si avviò per il vicolo con la sua caratteristica andatura dinoccolata. Aveva le mani in tasca e camminava a testa bassa come se contasse i suoi stessi passi, quando s’avvide che qualcuno lo seguiva. Si fermò e si girò di scatto, sporse un po’ la testa per vedere meglio, oltre gli angoli di muro, ma non scorse nessuno. Così riprese e camminare, ma, improvvisamente, una bestia enorme, pelosa, schiumante e famelica gli fu addosso e lo ridusse in brandelli senza che egli avesse il tempo di lanciare un solo grido.
Il giorno dopo mi svegliai sul tardi, diedi uno sguardo alla mia stanza, tutto sembrava in ordine, poi osservai i miei piedi: erano sporchi come se avessi camminato scalzo fuori in strada.
La notizia del ritrovamento del cadavere di Pinocchio si diffuse in un battibaleno. La testa e le braccia erano state staccate dal corpo; le interiora divorate. Cosa avevo fatto? Avevo ucciso ancora! Prima Ester, poi “Pinocchio”. Cominciai a credere che fosse una forma di delirio di tipo paranoico rappresentato dalla convinzione patologica di trasformarmi in animale, ma come avrei potuto io, mingherlino e debole come sono, ridurre quei corpi in tale modo? Del resto Ugo aveva visto qualcosa alla finestra; aveva visto la trasformazione effettiva e totale di tutti i miei organi. Non avevo più alcun dubbio: ero un “lupus hominarius”, un lupo mannaro! Un essere pericoloso e sanguinario la cui metamorfosi poteva avvenire in qualunque momento ed in qualunque luogo, senza il minimo preavviso, ma, probabilmente, scatenata da fattori esterni dei quali ne ignoravo la natura.
Alice mi aveva detto che da un po’ di tempo “Pinocchio” la infastidiva chiedendogli di uscire. Spesso l’aspettava sotto scuola e, poco tempo prima di morire, aveva avuto un alterco con il professor Spartaco che l’aveva difesa dalle sue insistenti molestie.
Nonostante tutto andai al suo funerale, un po’ come fa l’assassino che si reca a vedere la sepoltura della sua vittima.
Non c’era molta gente. Niente lacrime, pochi fiori. “Pinocchio” aveva solo qualche parente; aveva perso il padre prestissimo in un incidente sul lavoro e viveva con la madre alcolizzata e con un fratello minore mezzo scemo. Fra i pochi, erano presenti i suoi amici della gang.
Durante il corteo funebre mi tenni un po’ in disparte, ma questo non mi evitò di essere veduto da Alfredo che era poco più avanti di me. Egli, rallentando il passo, si lasciò raggiungere, poi mi si avvicinò e mi sussurrò all’orecchio: - Chi è stato? Chi o cosa nascondi in casa, bastardo? La pagherai! Cristo se la pagherai, tu e quel trippone puzzolente del tuo amico! -.
Quella notte non riuscii a dormire. La faccia terrorizzata di “Pinocchio” mi tornava di continuo in mente.  Mi appisolai per un istante e rividi in un incubo quella bestia immonda che lo aveva ridotto a brandelli. E l’angoscia mi attanagliava quando realizzavo che quell’animale diabolico e sanguinario ero io. 
Mi alzai dal letto, accesi il videoregistratore e vi infilai dentro la prima videocassetta che mi capitò tra le mani: era “La casa”, nel momento in cui Linda (fidanzata di Ash, il protagonista, col quale si era recato in una baita per trascorrere un fine settimana), viene posseduta da una malefica presenza che la trasforma in un orrendo essere. La ragazza si siede in terra ed intona una cantilena diretta al protagonista: “Noi ti avremo, non ci sfuggirai, quando tornerai…”.
Ad un tratto la faccia deforme della donna si girò verso di me e continuando a cantare si alzò, uscì dal televisore e mi fu addosso. Lo squillo del telefono mi fece svegliare! Mi ero addormentato!
Era Ugo che mi chiamava: - Scusa – disse – se ti ho disturbato a quest’ora di notte…-
- Niente. Stavo guardando un film. Ero sveglio…-
- E’ successa una cosa…-
- Parla…-
- Oggi pomeriggio nel Fast-Food c’era Alice…-
- E con questo? -
- Il fatto è che, seduto ad un tavolo lì vicino, c’era anche quel tuo professore di Atro…Atropo…-
- Antropologia! Spartaco! -
- Già. Ad un certo punto lui si è alzato dal suo tavolo ed è andato a sedersi a quello di Alice.  In un primo momento sembrava che parlassero cordialmente, poi ho avuto la netta sensazione che quell’uomo la importunasse insistentemente, tanto che lei voleva andar via e lui la tratteneva per un braccio. Allora mi sono avvicinato per chiedere ad Alice se tutto andasse bene. Lui, di risposta, mi ha guardato con occhi di fuoco, poi, repentinamente, mi ha graffiato una mano con la velocità di un felino. Ho avvertito un dolore tale che sono rimasto per un attimo come immobilizzato. Poi, lui ha lasciato Alice e se n’è andato via frettolosamente. -
Il giorno dopo Ugo fu portato in ospedale in preda a misteriose crisi epilettiche. Quando giunsi, avvertito dalla madre, trovai la donna fuori nel corridoio: - Un graffio gli ha fatto gonfiare la mano – disse – che gli faceva un male del diavolo. Gli ho fatto un intruglio di erbe medicinali, ma è servito a poco. Poi ha cominciato a contorcersi a letto, a digrignare i denti come un cane arrabbiato. Ho avuto paura, temevo che fosse stato infettato da una bestia, così l’ho portato qui in ospedale.-
Entrammo insieme nella sua stanza e vidi che, non gli si era gonfiata solo la mano, ma tutto il braccio e parte del torace. Sembrava come se la sua carne pulsasse, mentre buona parte della superficie del corpo si era ricoperta di ispidi peli.
- Non capisco. – disse il medico che lo stava visitando – Sembra come se gran parte degli ormoni del suo corpo stessero subendo una trasformazione. - .
Quando, dopo qualche giorno, tornai a trovarlo, Ugo era completamente e prodigiosamente guarito: la sua mano, il suo braccio, tutto il suo corpo non avevano più alcun segno. Solo i suoi occhi, le sue pupille sembravano aver subito un cambiamento: da azzurre, erano divenute fosche e profonde.
- Cosa voleva Spartaco da te? - chiesi ad Alice mentre ci recavamo insieme in facoltà.
- Sei geloso? -
- Cosa voleva? -
- Te lo dico. Mi aveva dato un appuntamento. Insisteva perché uscissi con lui.-
- E tu? –
- Beh…il professore ha un fascino irresistibile, qualcosa di magico e misterioso…-
- Dunque? -
- Dunque gli ho detto…di no. Ma lui continuava ad insistere, fortuna che poi è intervenuto Ugo. Mi ha telefonato…-
- Ugo? -
- Il professore, mi ha telefonato. Mi telefona quasi ogni giorno-
- Ti ha telefonato? -
- Si, per chiedermi scusa. Mi ha detto che si è lasciato andare ed è costume della sua casata farsi perdonare da una donna quando questa è stata in qualche modo offesa. Pensa, mi ha detto che discende da una stirpe nobile di Civita Castellana, allora feudo alla destra del Tevere. I suoi antenati erano una sorta di importanti prelati della zona, non so bene cosa. Insomma è pentito. E’ bello stare ad ascoltarlo, le sue parole sono dolci, suadenti; il suo tono è caldo e pacato.-
Civita Castellana mi ricordava qualcosa, ma non riuscivo a focalizzare. Qualche giorno dopo avevo ben altro a cui pensare. Il mio animo, la mia mente erano stati letteralmente devastati da una disgrazia: Ugo era stato trovato impiccato nella cantina di un casolare abbandonato. Si era suicidato! Al funerale Lola mi disse che mi avrebbe voluto parlare. Ci demmo appuntamento per la sera stessa nel parco. Era una serata magnifica, piena di stelle. Lei era già lì quando giunsi e, siccome involontariamente le arrivai alle spalle, sobbalzò per la paura.
- Cosa hai da dirmi? – le dissi.
 Si guardò intorno, si sedette su una panchina dove invitò a sedere pure me, poi raccontò:
- L’altra notte incontrai Ugo mentre rincasava dopo il lavoro. Lui era stanco e, per la verità, si meravigliò non poco nel vedermi ancora in giro a quell’ora tardi, ma io gli spiegai che ero stata a studiare a casa di un’amica. Con Ugo sono vicina di casa, quindi, facemmo insieme la strada. Per tornare alle nostre abitazioni si dovevano attraversare una serie di vicoletti, quasi tutti scarsamente illuminati. Siamo ormai verso la fine dell’anno accademico e l’altra notte faceva caldo. Il clima era umido e Ugo era tutto sudato. Nello svoltare un angolo ci trovammo di fronte Alfredo, “Jack” e “Kong”. Erano tutti e tre armati di coltello. Il primo, facendo volteggiare l’arma e passandola dalla sinistra alla destra, si avvicinò e disse:
-Cos’era quella cosa in casa del tuo amico, bastardo? E’ stata quella cosa ad uccidere “Pinocchio” !-
Avrei voluto dire o fare qualcosa, ma quel bestione di “Kong” mi spinse da parte dicendomi:
- Levati di mezzo, tu, racchiona! -.
Ugo, sentendosi in grave pericolo, cominciò ad indietreggiare, ma, senza avvedersene, finì con le spalle al muro. Era in trappola!
- Cosa volete fare? Lasciatelo altrimenti grido, chiamo la polizia! – urlai.
“Kong” mi puntò il suo coltello alla gola, minacciandomi: - Tu fa un solo gesto ed io ti taglio questo schifosissimo collo che hai!-.
Gli altri due avevano ormai immobilizzato Ugo che alzò le mani, come per difendersi dagli imminenti fendenti di lame e chiuse gli occhi. Improvvisamente ecco il prodigio! Le sue membra cominciarono a tremare tutte, a deformarsi, ad ingrossarsi sotto gli abiti che per la pressione si tracciavano riducendosi in brandelli. I muscoli delle braccia e delle gambe si tesero in modo spasmodico. L’intera superficie del corpo si ricoprì di scaglie e di ispido pelo. La bocca gli si allungò in un orrido muso dal quale fuoriuscivano due enormi e schiumose zanne. Le orecchie si allungarono. Le braccia e le gambe si tramutarono in robuste zampe sulle quali, egli, s’incurvò orrendamente, e dalle quali fuoriuscirono grandi ed affilati artigli.
I tre, ed io stessa, restammo praticamente paralizzati dalla paura, inermi testimoni di quella diabolica metamorfosi. Ma Alfredo, “Jack” e “Kong”, che intanto mi aveva mollata, non avrebbero mai riferito a nessuno quello che avevano visto perché la bestia fu loro addosso inesorabilmente. Prima, con un solo morso staccò la testa a “Kong”, poi fu la volta di “Jack” che era finito in terra, infine prese ad inseguire Alfredo che se l’era data a gambe. Lo raggiunse e lo fece a pezzi.
Non ricordo neanche per quanto tempo restai immobile in quell’oscuro anfratto dove ero stata cacciata: forse qualche minuto, forse un’ ora.
Quando mi ripresi corsi, prima a casa, poi, con i miei ci recammo alla polizia per denunciare quanto avevo visto. Naturalmente non fui creduta, anzi, mi trattennero e si recarono sul luogo dell’accaduto, di lì, andarono a casa di Ugo dove di lui non c’era traccia. Così cominciarono le ricerche e lo ritrovarono come già sai.
Il giorno dopo non andai all’Università, rimasi a casa per cercare di ricostruire gli ultimi delittuosi avvenimenti. Non ero il solo, dunque, ad essere affetto da licantropia! Lola aveva visto chiaramente la trasmutazione di Ugo. Ma come poteva essere stato possibile? D’un tratto mi ritornarono in mente proprio le parole di Ugo quando aveva visto Alice con il professor Spartaco: “Lui, di risposta, mi ha guardato con occhi di fuoco, poi, repentinamente, mi ha graffiato una mano con la velocità di un felino.”
Chiamai Lola sul cellulare e le chiesi di accompagnarmi in biblioteca, dove ci recammo nel pomeriggio. Riprendemmo dallo scaffale l’”HISTORIA BONONIENSIS”, ma non solo, trovammo anche un altro libro “ SULLA LICANTROPIA E SULLA TEMPORANEA CONDIZIONE DI LUPO MANNARO SCATENATA DA FATTORI ESTERNI” di un certo padre Renate Docrisfoire, scritto nel 1892.
“ Non esiste una nosografia specifica nella quale inquadrare un disturbo del genere – leggemmo – Non si tratta, come altri dicono, di forma di delirio zooantropico, disturbo psichiatrico della personalità, o che altro, ma di vera possessione diabolica. Il demonio li fa trasformare ed agitare per produrre tragici effetti: egli sfrutta il loro vagare e la loro azione predatoria allo scopo di creare orrore e dolore. Ma non sempre è facile al demonio invadere la mente umana di bile nera. Esiste un tipo di uomini proclivi in tal senso alla fascinazione e alla follia. Licantropia deriva dalle parole greche “lykos” (lupo) e “anthropos” (uomo). Il licantropo diventa tale dopo aver avuto un contatto di sangue con un altro licantropo ed essere rimasto in vita. Di notte, che ci sia o no la luna piena, l’uomo si trasforma in belva e va a caccia di vittime umane da sgozzare e divorare. Può essere ucciso solo da una pallottola d’argento.”
- Un contatto di sangue…Ma certo! – dissi alzando l’indice verso Lola che mi guardava esterrefatta: - Il graffio! E’ stato il graffio! – aggiunsi sottovoce, accostandomi al suo orecchio.
- Quale graffio? -
- Spartaco fece un graffio ad Ugo che finì addirittura in ospedale. Avresti dovuto vedere come si era ridotto. Poi d’improvviso…
- D’improvviso? -
- Guarì! Non aveva più nulla, capisci? -
- Questo che vuol dire? -
 Frettolosamente cominciai a sfogliare l’ “HISTORIA BONONIENSIS” e rilessi un brano già letto tempo prima: “Nella tradizione latina, gli HIRPI SORANI, sacerdoti del monte Soratte, assumono modi di lupi ed a branchi assalgono i villici che sbranano sacrificandoli al DIS PATER, il re dei morti. Costoro, per determinare intere generazioni di uomini lupi, devono accoppiarsi, solo con giovani vergini che mai hanno avuto alcun tipo di rapporto sessuale.”
- Il monte Soratte, capisci? – dissi a Lola che continuava ad interrogarmi con lo sguardo. Presi un volume enciclopedico e alla lettera “S” lessi: - “Soratte, monte del Lazio a sud est di Civita Castellana” .  Ecco! Lui ha detto ad Alice di essere un discendente della nobiltà civitana! Aspetta! – rilessi ancora nel testo di Ulderico da Ferrara: - … Devono accoppiarsi, solo con giovani vergini che mai hanno avuto alcun tipo di rapporto sessuale.” Vuole riprodursi! E’ per questo che sta corteggiandola. Non ci sono dubbi: Spartaco è un lupo mannaro come me! -
- Cristo Santo! Anche tu! Ma quanti diavolo ne siete? – disse Lola.
- Dobbiamo avvertire Alice, sai dov’è? -
- So che si intratteneva in facoltà -
Uscimmo di corsa dalla biblioteca lasciando i volumi aperti sul banco e prendemmo a volo un taxi che dopo pochi minuti ci lasciò proprio all’ingresso dell’edificio scolastico. Erano andati via tutti, vedemmo solo Federico, nostro collega di corso che, seduto sui gradini, stava riordinando certi suoi fogli.
- Alice? si è intrattenuta dentro. Spartaco le ha detto che le avrebbe dato ulteriori spiegazioni sulla lezione di oggi. -
Il cancello principale era chiuso, ma io lo scavalcai in pochi secondi lasciandomi dietro Lola che pur si affannava a passare. Quasi buttai giù la porta dell’aula di antropologia: non c’era nessuno! Attraverso il corridoio corsi verso l’ufficio del professore, la porta era chiusa, con il gomito ruppi il vetro e l’aprii: anche lì non c’era nessuno! Intanto Lola mi aveva raggiunto.
- Non c’e nessuno. Dove saranno? – dissi.
- Alice se ne andava a studiare in palestra – rispose Lola – andiamo a vedere là. -
Attraversammo di corsa tutto l’edificio per recarci nella palestra che si trovava dall’altro lato, in un plesso distaccato unito da un passaggio interamente costruito in plexiglas e tubi di ferro. Improvvisamente sentimmo Alice che gridava: - No,no,no! –
La voce proveniva da un gabinetto medico annesso alla palestra. Vi fui dentro in un battibaleno: erano lì, tutti e due completamente nudi. Alice era stata legata su una lettiga e Spartaco era pronto ad andargli addosso. La ragazza si dimenava, ma i lacci che le tenevano fermi mani e piedi erano spessi e resistenti. Quando il professore mi vide sulla soglia, con la porta che avevo spalancato con una manata, rimase un attimo in silenzio, poi senza muoversi disse: - Il primo comandamento del Dis Pater era: “Per dominare il mondo, riproduciti con una vergine illibata. Poi nel nono mese, il figlio la sacrificherà a me squarciandole il ventre. Dalla morte sarà la vita!” Ed è ciò che facevano gli Hirpi Sorani, dai quali io discendo direttamente. -
- Togli quelle tue sporche zampe dalla mia ragazza! – urlai.
Lui mi guardò e sorrise con sarcasmo: - Già, le mie zampe…- disse, e poi ripeté ancora: - Le mie zampe…- Mi trafisse con uno sguardo maligno e lanciò un terribile ululo. In pochi secondi, prodigiosamente, si trasformò in bestia. Alice svenne di colpo mentre Lola, appoggiandosi al muro, gridò: - Signore Onnipotente!  Una pallottola! Ci vuole una pallottola d’argento! –
- E dove la prendo? Dall’orefice? E poi non ho neanche una pistola…-
Spinsi addosso alla bestia un carrello porta-ferri chirurgici, poi gli fracassai contro quante bottiglie, bottigliette e scatole riuscii automaticamente a trovare su uno scaffale che avevo alle spalle. Ma fu tutto inutile! La belva mi prese per il collo, mi sollevò da terra e mi scaraventò contro un muro. Sanguinante, guardai Lola che estrasse uno spillone dai capelli e, brandendolo a mo’ di sciabola, urlava: - Via di qui, sciò! –
Avrei riso se la situazione non fosse stata così drammatica. Con una zampata il mostro tramortì la coraggiosa ragazza ed avanzò verso di me per finirmi. Fu a questo punto che avvenne un secondo prodigio: inesorabilmente e coscientemente mi trasformai anch’io in una belva bavosa e pelosa, più forte, più potente, più feroce e determinata di lui. La lotta fu terribile, tanto che tutto quello che c’era in quella stanza andò distrutto. Nella colluttazione qualcosa mi capitò sottomano, era un oggetto piccolo e luccicante. Impugnandolo sferrai una serie di terribili colpi, finché, con l’ultimo, glielo piantai nel cuore! Venne giù come un sacco di patate, mentre già riprendevo le mie naturali sembianze. Lola si ridestò pian piano, e quando s’avvide che avevo vinto la lotta, sbottò sbalordita: - Come hai fatto?- Si avvicinò alla bestia per osservarne il cadavere: - Lo hai fatto fuori con un bisturi d’argento! –
Mente liberavo Alice ancora svenuta, anche il corpo di Spartaco riprese le sue normali sembianze.
I miei abiti erano in brandelli e Lola credette che a ridurli così fosse stato il mostro. Prima di andare, estrassi il bisturi dal cadavere del professore e lo portai via con me.
Anche questa volta la polizia non giunse ad alcun concreto risultato, cosicché il caso fu archiviato come gli altri: uccisioni avvenute ad opera di una belva. Fu ritenuta responsabile la grossa pantera fuggita dallo zoo e quando fu catturata, fu abbattuta perché reputata: “sanguinaria e mangiatrice di uomini”.
Ma tutti quegli avvenimenti, la consapevolezza delle mie trasformazioni, mi indussero a decidere di abbandonare tutto e tutti ed andare via in un’altra città, e neanche l’amore che provavo per Alice riuscì a trattenermi.
La sera prima di partire mio padre mi disse: - Anche io ho girato tanto. Poi col tempo mi sono fermato qui. Adesso tocca a te. Si, siamo diretti discendenti dei Berserker, uomini che si tramutavano in animali, così tutti i loro primogeniti. Ma essi erano vera gente d’onore, pronta a difendere i deboli, gli oppressi o chiunque si trovasse in difficoltà contro le prepotenze imperialiste di Augusto prima, Carlo Magno dopo, e via via tanti altri, fino a giungere a Hadolf Hitler. Erano, figlio mio, dei cavalieri erranti senza macchia e senza paura. Nelle mie e nelle tue vene scorre il loro sangue, il loro coraggio, la loro forza.-
L’indomani Alice e Lola vennero a salutarmi alla stazione. Quando il treno si mise in moto Alice pianse e Lola prima camminando, poi correndo dietro il vagone, mi gridò: - E allora, Toni, è vero che anche tu sei un licantropo? –
 Mentre il treno mi portava via, ebbi la consapevolezza di qualcosa che stavo perdendo per sempre, ma anche di qualcosa che avevo ritrovato, ormai, definitivamente: le mie radici. Ero un Berserker, un cavaliere errante! Il mio compito, ora, era quello dei cercare quelli come Spartaco, ultimo discendente degli Hirpi Sorani, e distruggerli tutti.
 
 
 
28 luglio 2003
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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