Scritto da © Antonio Cristof... - Ven, 11/04/2014 - 06:19
Brano tratto dal mio romanzo LA CASA DELLO SPECCHIO Ed. Irideventi - Roma -
La congrega delle Sentinelle
Quando spostai la leva, un antico meccanismo permise l’apertura nella parete di un varco tanto grande da consentire un comodo passaggio. Io ed Anna ci guardammo in faccia esterrefatti, mentre don Michele sembrò rimanere quasi imperturbabile al centro della stanza. Ecco, forse, come era riuscito ad evadere Settembrini! Scoprendo questa porta, segreta perfino agli sgherri di Ferdinando II.
Il bagliore dei lampi che proveniva da fuori impallidiva i nostri volti ed il forte rumore degli scrosci di pioggia copriva finanche il rombo dei tuoni.
- Io…Io non vengo. – disse il vecchio intuendo la nostra intenzione di infilarsi in quel passaggio: - Non ci sta proprio niente che mi interessa lì dentro. Anzi, datemi quello che mi spetta e…buonanotte ai suonatori!-
- Aiutateci. Avrete tutto al ritorno. – risposi.
- Meglio che mi pagate all’andata. Non si può mai sapere…E po’, comme se dice? “Passato ‘o santo, passata ‘a festa”[1].-
- Allora metà ora e dopo il resto.-
- Tutto mo’, subito! – disse il vecchio avvicinando minacciosamente il suo volto al mio. Gli versai la somma pattuita e mi infilai in quel varco seguito a ruota da Anna.
Entrammo in un lunghissimo cunicolo in forte pendenza. Man mano che ci addentravamo si faceva sempre più buio, tanto che commiserammo noi stessi per non aver avuto la previdenza di portare qualcosa che potesse farci luce. Avanzammo, allora, a tentoni toccando con le braccia entrambe le pareti. In quella oscurità persino il lontano rombo dei tuoni ci teneva buona compagnia.
Stranamente ricordai che da ragazzino andai da solo a vedere “La mummia”, un film inglese del 1959 di Terence Fisher con Christopher Lee, Yvonne Furneaux e Peter Cushing. Nel film il secerdote Kharis, mummificato nell’antico Egitto, tornava in vita per vendicare la profanazione della propria tomba. Egli voleva sterminare la spedizione archeologica inglese, ma s’imbatte in una dottoressa molto somigliante alla principessa Anaka da lui amata in vita. Ebbene, da quando assistetti a quella rappresentazione che aveva come protagonista una terrificante mummia, non riuscivo più a dormire da solo. Le paure facevano parte di quel mio mondo infantile nel quale tutto era vero ed aveva vita, tutto era veramente possibile e credibile, ma fra tutte, quella che certamente sopraffaceva le altre era la mia paura del buio, dove tutto poteva accadere a mia insaputa perché non potevo vedere e distinguere bene le cose, perciò un’ ombra o uno scricchiolio potevano essere causa di chissà quali spaventi. Dal buio nascevano minacciosi mostri, oppure vi albergavano provenienti dal mondo reale (libri, fumetti, racconti della nonna), ed era proprio nei mostri e nel buio che catalizzavo tutte le mie paure di essere aggredito e non avere la possibilità di difendermi. Ero sempre stato suggestionabile, ma non avevo mai avuto occasione di incarnare le mie paure e materializzarle come avevo fatto dopo aver visto il film “La mummia”.
Quell’essere immondo perseguitava ancora le mie fantasie, tanto che temetti di vedermelo comparire davanti da un momento all’altro in quel cunicolo, e solo quando in fondo ad esso cominciammo ad intravedere il tenue bagliore di una lampadina, mi sovvenne del drammatico finale del film in cui il mostro sprofonda nelle sabbie mobili di un’improbabile palude crivellato di colpi. Ricordo ancora la sua mano scheletrica protesa verso il cielo annaspare al di sopra della melma come per chiedere aiuto ad un beffardo destino che lo aveva emarginato in un orribile ruolo.
Guidati da quella luce affrettammo il passo e giungemmo ai piedi di una scala composta da grossi scalini di pietra liscia. In cima ad essa vi era una grossa porta di legno, da dietro la quale udimmo provenire delle voci. Facendo attenzione nel non fare alcun rumore, salimmo e ci avvicinammo per ascoltare, ma grande fu la nostra meraviglia prima, ed il nostro sgomento subito dopo, quando ci accorgemmo che dietro di noi c’erano due torvi individui che ci sbarravano la strada del ritorno. Ci apparvero sbucati dall’ombra, il loro aspetto era come quello di feroci cani da guardia, sembrarono, decisamente, la materializzazione delle mie paure infantili.
Improvvisamente la porta si aprì lasciando intravedere, controluce, l’ombra di un uomo enorme.
- Entrate! – ordinò perentoriamente. Quando fu in piena luce ci accorgemmo che aveva i capelli rasati a zero, occhi neri grandissimi, labbra carnose ed orecchie tanto larghe e rosse che sembravano due bistecche di maiale. L’uomo ci introdusse in uno stanzone di uno dei torrioni di Porta Capuana (sotto la quale, evidentemente, eravamo arrivati attraverso il lungo cunicolo), e da questo fummo fatti entrare in un altro ambiente più piccolo, una sorta di biblioteca con al centro una scrivania. Dietro di essa, su una sedia girevole, seduto di spalle, vi era qualcuno la cui voce mi parve subito di riconoscere:
- Vi stavamo aspettando. Don Michele è membro della nostra congregazione. E’ lui che vi ha condotti a noi, alla “Congrega delle Sentinelle”-.
Si girò con la sedia e rivelò la sua identità: era Salas! Ci guardò per qualche istante, poi disse:
- Il demone apre delle porte attraverso le quali con altri demoni cerca di portare male e scompiglio nel nostro mondo. Lo fa con degli specchi grazie ai quali con grandi illusioni attira i prescelti nella sua dimora. Allorchè costoro, attirati dall’inganno, varcano la soglia egli li confonde. Sono i prescelti che aprono per primi la porta. Essi sono eletti da Satana tra coloro che hanno nome bifrontale.-
- Bifrontale? Come Otto, il mio nome…-
- O come Anna, il mio…
- O come Ada, quello di mia moglie… O come Salas, il vostro cognome…-
- O come Irederi, il mio!- Proprio Irederi comparve improvvisamente sulla soglia di una porta. – Il demone sceglie, dunque, esseri con nomi bifrontali, ma gli stessi per lo stesso motivo, se resistono alle sue lusinghe, possono divenire “Sentinelle del bene”. Noi siamo i guardiani di Dio. Vigiliamo affinchè nessuna finestra venga tenuta aperta sul nostro mondo dall’Angelo Nero. Egli in ogni tempo e luogo cerca di aprire varchi da trapassare per confondere gli uomini e soffiare le loro anime. Noi siamo qui per impedirlo, ma non sempre vi riusciamo. Il nostro numero non è sufficientemente alto per i milioni di diavoli che si aggirano su questa terra. Essi preesistevano all'uomo e rappresentano la forza del male. Il loro unico scopo è sempre quello di danneggiarci, e lo fanno in ogni modo, spesso ricorrendo all’inganno. Tanto tempo fa un demone mostruoso chiamato Adalma-Muus terrorizzava gli esseri umani levandosi dal fondo del mare, afferrandoli con la lingua biforcuta e trascinandoli negli abissi. Un giorno, uno spirito buono, Nyrunuryn KyzyK, afferrò il demone per la lingua, lo trascinò a terra e gli schiacciò il capo. I suoi resti si tramutarono in insetti che si sparpagliarono per ogni dove. Lo spirito buono era la prima sentinella! Egli aveva nome bifrontale e per primo si oppose ai demoni generati dal ventre di Lilith (il cui nome, comunque venga sillabicamente anagrammato,risuona sempre allo stesso modo), la grande madre, e dal seme adultero di Adamo. Essi sono forze della natura, energie libertine che s’insinuano nella mente umana che, per stimolo conoscitivo, crea le scienze, le materie di studio che hanno dimensioni e riscontri ed inducono l’uomo a staccarsi da Dio.
Sono essenze malefiche che si materializzano: da Abigor, demone della guerra, a Balam l’invisibile; da Beleth, demone del sesso, a Ronobe, principe dell’odio; da Sabanak, a Zepar e a Thanatos, dio dell’inimicizia e degli specchi.
Sapete come il demone apre le porte? Sfruttando inizialmente il desiderio dell’uomo di fermare il tempo, la pretesa di renderlo addirittura reversibile sul suo volto e sul suo corpo. Nonostante che la bellezza di un individuo non solo non diminuisce, ma addirittura aumenta con la sua maturità, quasi nessuno riesce ad avere la consapevolezza della necessità che avvenga che il tempo spinga in avanti gli uomini, benchè il desiderio di eternità faccia parte di ogni essere umano. Ed è questo che il demone promette, prima vagamente, poi con segni sempre più evidenti, a chi varca la soglia della porta da lui aperta: lo spazio e il tempo infiniti.
L’uomo non si avvede che il mutamento delle cose è una ricchezza: grazie ad esso le capacità umane vengono continuamente messe alla prova. Spazio e tempo ripropongono situazioni sempre nuove, in virtù delle quali l’uomo deve misurare la propria intelligenza e volontà, ma in realtà egli non desidera altro che conservare il proprio stato, il proprio aspetto, l’eterna giovinezza. Ed è con queste lusinghe che il demonio apre la porta sul suo inferno! –
Al tempo dell'infanzia ero preda di paure irrazionali che erano in grado di controllare molti aspetti della mia giovane vita. Una di queste paure era dovuta all' "uomo nero". Ovviamente non lo avevo mai visto, ma, istintivamente sapevo che egli si nascondeva nei recessi più bui della mia stanza, pronto a farmi del male. La sua presenza malefica era profondamente avvertita ed aveva un effetto considerevole sul mio carattere e comportamento.
La sera la nonna, sull’uomo nero, mi cantava la ninna-nanna che, non solo non mi conciliava il sonno, ma mi riempiva d’angoscia::- Ninna oh, ninna oh questo bimbo a chi lo do? Se lo do alla befana se lo tiene una settimana, se lo do all’uomo nero se lo tiene un anno intero…- Allora immaginavo l’uomo nero che usciva da un buio anfratto della casa e veniva a prendermi. Tuttavia la dolcezza della voce di mia nonna riusciva a rassicurarmi ed a limitare la mia paura.
Allo stesso modo mi avevano colpito le parole di Irederi, pronunciate in modo sommesso, ma di un significato terrificante.
Chiesi: - Il desiderio dell’uomo di fermare il tempo?-
- Zenone scoprì come fermare il tempo, - rispose - come invertire la sua traiettoria, come modificarne gli eventi. Le sue teorie non erano, dunque, come da più parti si disse, solo elucubrazioni mentali artificiose e prive di dialettica…-
- Zenone? Chi era costui?- Mi chiesi mentalmente mentre Irederi continuava a parlare:
- …In Zenone il dogmatismo si trasforma in estremismo e ciò che era un paradosso si trasforma in realtà.-
- Chi era Zenone?-
Rispose Anna: - Un filosofo greco. Nacque ad Elea nel Cilento intorno al 490 a.C. e vi visse fino a quando la città non cadde sotto il dominio di un tiranno. La tradizione racconta di come egli abbia cercato di contrastarlo. Allorchè fu arrestato fu torturato perché rivelasse i nomi dei suoi compagni. Fu allora che ordì un diabolico inganno: fece i nomi di persone molto vicine al tiranno mandandole innocentemente a morte. In seguito disse al despota di volergli rivelare un segreto e quando questi gli fu vicino gli staccò un orecchio con un morso, poi con i denti si staccò la sua stessa lingua e gliela sputò in faccia. Fu orrendamente maciullato in un mortaio.-
Disse che per la filosofia di Zenone ciò che appariva non aveva alcuna importanza perché la verità era, comunque, quella alla quale si arrivava logicamente per mezzo della ragione e delle regole.
- E qual è per Zenone la verità? – chiesi.
- Che il tempo e lo spazio non esistono, proprio come in uno specchio.-
- I primi uomini – intervenne Irederi – si specchiavano nell’acqua, rimanendo sorpresi e stupiti di veder riflessa la propria immagine. Più tardi gli antichi utilizzarono i piatti di terracotta nei quali versavano acqua. Infine gli Egizi, i Greci, gli Ebrei e i Romani preferirono le superfici ben lucidate di alcuni metalli e soprattutto il vetro. -
Tacque e ci guardò entrambi negli occhi, poi disse ancora: - la congrega ha bisogno di altre sentinelle, per questo dovete conoscere tutta la verità.-
- Quale verità? – chiesi.
- Tuttora ci sono porte demoniache aperte su questo mondo. Uno dei passaggi per l’inferno è attraverso uno specchio che, forse, hai in casa tua! -
Ci fece cenno di seguirlo ed in fila indiana entrammo in un’altra stanza dalla forma circolare. La muratura era costituita da enormi massi poggiati l’uno sull’altro; alle pareti erano appese tele sulle quali erano dipinti uomini e donne vestiti con panni di varie epoche. Irederi ci spiegò che si trattava di antiche sentinelle vissute in ogni tempo e luogo. Un grandissimo lampadario pendeva dal centro del soffitto; una parte della stanza era occupata da una grande biblioteca nella quale erano riposti antichi volumi. Irederi si accostò ad uno scaffale e vi prese il fascicolo 77666!
- Lewis visse a Napoli – disse – per non più di un paio di settimane, in via Medina, in un antico palazzo non più esistente a pochi passi dalla chiesa dell'Immacolata. Nel fascicolo troverete materiale a sufficienza per capire.- Poggiò il carteggio su un tavolo ed andò via seguito da Salas e dai due scagnozzi comparsi nel cunicolo. Timidamente cominciammo a sciogliere i lacci del contenitore. Sembravamo due bambini alle prese col regalo di compleanno, eccitati al punto che ci tremavano le mani, forse timorosi di scoprire una verità oltre la nostra immaginazione. L’emozione mi aveva preso lo stomaco: mi pareva di essere in una barca su un mare non solito concertatore romantico, ma demone maligno pronto a sconfinare un po’ dovunque invasato d’odio e di furore.
Si trattava di un grande e logoro contenitore di cartone in cui, in realtà, gli atti relativi alla causa erano ben pochi. All’interno del raccoglitore trovammo altre vecchie cartelle e subito ci capitarono tra le mani alcuni fogli sui quali erano sparse qua e là alcune note isolate, tutte scritte in inglese: “If you aren’t good I make you to go in the mirror …”[2], “The crystal begins to vanish like lucente fog …”[3], “When they see to me through the mirror they will not be able to touch to me …”[4].
Poi alcuni scritti in italiano: “I molti sono infinitamente grandi e infinitamente piccoli…”, “Via via che si procede nella divisione di una cosa, le sue parti si fanno sempre più piccole, fino quasi ad annullarsi. Ma se ogni cosa è costituita da infinite parti, aventi ciascuna una grandezza, essa sarà infinitamente grande”.
Disse Anna: - Ho come la netta sensazione che Lewis, partendo dalle contraddizioni sulla molteplicità di Zenone, giunga in qualche modo all’intuizione dell’atomo.-
Scartabellando qua e là, ci capitò fra le mani la minuta di una lettera scritta ad Alice Liddell, naturalmente in inglese. Facemmo non poco fatica a tradurla dato lo stile particolare del suo autore.
“ Mia cara Alice,
ieri faceva un tale caldo che non avevo più inchiostro: era evaporato tutto in una nube nera che vagava per la stanza macchiando la parete ed il soffitto. Oggi, per fortuna, è più fresco e un po’ d’inchiostro è tornato nel calamaio sotto forma di neve nera.
Come fioccava stamane, cara Alice! Veniva giù dal cielo una pece leggiadra che si poggiava dolcemente sui mobili e sulle suppellettili imbrattando tutto con il suo colore poco allegro. Proprio sotto questo maltempo ho incontrato un uomo. Era nero di neve che gli si liquefava tra i capelli, sulle sopracciglia, che gli sgocciolava sul volto attraverso le rughe ai lati del naso, che gli stagnava sotto gli occhi nei quali scintillavano due chiare pupille. Quell’uomo mi somigliava tanto da essere del tutto simile a me: stessi capelli, stessso scarno viso, stessa bocca sottile, stesso naso magro e leggermente pronunciato; eppure, mia cara Alice, nonostante lui fosse me stesso, ti assicuro che non ero io! Guardavo quel tale nello specchio, lo vedevo muoversi così come mi muovevo, ammiccare con il mio stesso sguardo, leggere nei miei occhi. Ne vedevo il respiro appannare il vetro e ne sentivo la mente pulsare.
Ad un tratto, mia adorabile bambina, accadde qualcosa che oserei definire più incredibile dei “Palmipedoni”[5] o del tuo e mio “Coniglietto bianco”;[6]più meraviglioso del “Cappellaio matto”[7] e del “Bruco blu”.[8]
Pian piano, quell’uomo nello specchio ( mio Dio!), cominciò a muoversi con una sua straordinaria autonomia, a parlare con un linguaggio al momento incomprensibile, poi ebbi l’intuizione che dicesse parole all’incontrario, come se io, mia dolce bambina, pronunciassi il tuo nome in questo modo: “Ecila”. Egli mi invitava ad entrare nello specchio dicendo: “Ycnafni tsol eht niaga dnif lliw uoy dna em htiw emoc ouy”.[9]
A proposito, mia sensibile amica, ti ho mai parlato del mio mobile?-
Qui la lettura si fece interessante. Senza neanche guardare dove, ci sedemmo insieme tenendo il foglio a quattro mani, senza staccarvi lo sguardo.
“Si tratta in realtà di un pezzo di legno composto da un portaombrelli e da un appendiabiti, tenuti insieme da una sorta di schienale alto un metro e ottanta circa e largo poco meno di un metro. Su questa base è applicato uno specchio di misura di poco inferiore ad essa sia in larghezza che in altezza. E’ bellissimo, Alice! Uno specchio straordinario, mirabolante! Per la verità non è bello affatto e sembra un comune specchio come ce ne sono tanti. Sembra!
Esso mi ha dato idea di scrivere una terza storia per te, cara piccina, ma affinchè io possa sbalordirti vi è bisogno che io stesso vi entri e veda cosa davvero possa esserci dall’altra parte, cosa possa nascondersi nella casa dello specchio.
Per la verità, stando da questa parte, qualcosa ho veduto. Ho veduto la comune della mia stanza alle mie spalle. Oltre essa ho veduto parte del muro del corridoio sul quale (terribile!) ho veduto vagare delle ombre.
Il mio specchio, o incantevole signorinella, fu fabbricato, al tempo degli orchi e dei demoni, da Thanatos, un diavolo tanto brutto e con le ali di pipistrello. Egli odiava la sua bruttezza infinita così come Narciso amò la sua bellezza. Detestava gli uomini perché favoriti e protetti dagli dei, e scelse proprio un uomo per aprire la prima porta, attraverso la quale accedere nel nostro mondo per mescolarsi col genere umano e liberare il suo odio. Quest’uomo, cara, era un tal Zenone che fuse nello specchio i cattivi elementi suggeriti dal demone: odio, ira, invidia, superbia, avarizia, lussuria, accidia. Re dell’ingiustizia, Thanatos, dopo essersi servito di lui, fece in modo che finisse orrendamente per mano di un tiranno, la cui testa, catalizzatrice di turpitudine, fuse in dodici mascherine di ferro che collocò ai lati dello specchio, dove, credo, siano ancora imprigionate le anime di Zenone e di tutti coloro che dalle lusinghe del demone vi sono stati attratti.”
- Zenone staccò l’orecchio al tiranno con un morso…Ecco perché ad ognuna delle mascherine manca un orecchio!- riflettei.
Rovistando ancora tra i fogli trovammo alcuni appunti di Lewis sulla storia dello specchio:
“Alla morte di Zenone i nipoti si divisero quelle poche cose che egli aveva lasciato. Fra queste, lo specchio andò ad un tale Polimene, un mercante che lo scambiò in Fenicia con alcuni tessuti.
Effettuando ricerche su un tale Saint-Fond, ministro della giustizia francese vissuto nel XVIII secolo, ho ricostruito il resto della storia. Lo specchio fu imbarcato su una nave fenicia da un marinaio chiamato Al Sharam. La nave giunse di notte sulle coste della Bretagna con l’insellatura del ponte che proruppe all’improvviso dal buio, tra il fragore dei tuoni e delle onde ed il saettare dei fulmini. La vela maestra sul pennone era a brandelli, i remi erano ancora calati in acqua. Lo scafo, spinto dalla tempesta andò ad incastrarsi sulla scogliera, ma da bordo non si udì una sola voce, non un lamento, non si vide muovere un solo marinaio: erano misteriosamente scomparsi tutti! Fatto strano, improvvisamente dalla nave si levò uno sciame di api, mosche e coleotteri e all’interno del relitto furono trovati centinaia di scarafaggi e vermi di ogni genere. Cosa ne era stato dell' equipaggio? Come una modesta barca di neanche dieci metri aveva potuto raggiungere la costa bretone con il velame a pezzi e senza alcuna guida? E perché, infine, le lunghe aste dei remi (alcune delle quali spezzate) erano ancora calate in mare? Il mistero mi fu rivelato da una lettera scritta da Saint-Fond ad un certo Guillermot di Versailles.
Paris, 23 Avril 1761
Monsieur Guillermot,
lei mi chiede a chè tutto questo mio codesto plaisir[10] nel godere delle disgrazie altrui, e non ha sentore che oggi esso est doublè[11] anche per l’affare occorsovi circa la perdita di alcuni vostri beni in favore di un vostro creditore a brisque[12]
Ebbene, voglio darle risposta ed appagare, se non la vostra fame, almeno la vostra curiositè. Sappiate, mio dolce cialtrone, compagno d’amore perverso, che avrei facilmente potuto portarvi aiuto; sarebbe bastata una mia parola perché Dandelaire, il vostro creditore, facesse condono della vostra obbligazione, essendo egli stesso in dovere con me per favori ricevuti. Ma non ho voluto, proprio per la mia avversione a fare del bene. Tale virtù, sappiate, è ad opera d’un miroir[13] che ho in casa.
Esso giunse ben oltre 2000 anni fa sulle nostre coste a bordo di un guscio fenicio. Pensate mio bel misero uomo, che quando arrivò, la nave era deserta d’ogni essere umano: passager o marin che fosse. Era solo piena, stracolma di insectes. Io so cosa era accaduto. Voi vi chiederete come mai? L’ho veduto nel miroir! Perché vedete, mio caro, è, codesta, una porta per l’inferno, e voi ben sapete quale adoratore di Satana io sia! Quande le bateau superò le Colonne d’Ercole, il “non plus ultra” di allora, incredibili avvenimenti avvennero a bordo: l’Atlantico entrò in una tale calma piatta che l’equipaggio dovette mettere mano ai remi. Le capitaine El Harahle fu irresistibilmente attratto dal miroir che aveva sistemato nella sua tenda a poppavia del ponte di corsia. Egli scrisse sul diario di bordo: - Nel miroir ho veduto la mia terra, le mie donne con i servi. Poi ho compreso di poterci tornare soltanto con un passo. Mi sono avvicinato e la superficie di vetro è diventata nebbia intensa ed impalpabile. Non c’era più alcuna barriera che m’impedisse di tornare alle mie cose. –
El Harahle scomparve nel nulla. Gli uomini temettero che fosse finito in mare, ma anch’essi scomparvero, attratti ad uno ad uno dal mio terribile miroir che materializzava ogni leur dèsir.
Nella baia di Biscai la nave fu colta da un’ improvvisa e devastante tempesta che la spinse sulle coste della Bretagna.
Per molti secoli di tale mon miroir se ne persero le tracce, fino a quando io stesso lo vidi a Ruen nell’alta Normandia nella bottega di un carpentiere e lo acquistai.”
[1] Vuol dire che ”Se non avete più motivo, finisce che non mi pagate più.”
[2] “Se non stai buona ti faccio andare nello specchio
[3] “Il cristallo comincia a svanire come nebbia lucente”
[4] “Quando mi vedranno attraverso lo specchio non potranno toccarmi”
[5] I Palmipedoni sono strane creature che Alice è invitata a non calpestare. Palmipedone è tuttavia il nome datogli dagli adattatori italiani. Il nome originale è in realtà 'Raths' creature che vengono nominate solo in “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò” e precisamente nel poemetto “Jabberwocky”
[6] Allude al coniglio bianco, personaggio inventato da Lewis Carroll apparso per la prima volta nel 1862 in Alice's Adventures Underground e nel 1865 in Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie.
[7] Il personaggio nasce dall'antico detto inglese "Essere matti come un cappellaio" che derivava dall'usanza di utilizzare il mercurio nella lavorazione dei cappelli, sostanza che aveva effetti rovinosi sulla salute mentale degli artigiani cappellai.
[8] In Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie, il. Il Bruco, è appunto un bruco di colore blu alto circa tre pollici (circa sette centimetri) che fuma un narghilé seduto su un fungo.
[9] Si tratta di una frase pronunciata al contrario: “You come with me and you will find again the lost infancy” (Vieni con me e ritroverai la perduta fanciullezza)
[10] Piacere.
[11] Raddoppiato
[12] Briscola
[13] Specchio
Quando spostai la leva, un antico meccanismo permise l’apertura nella parete di un varco tanto grande da consentire un comodo passaggio. Io ed Anna ci guardammo in faccia esterrefatti, mentre don Michele sembrò rimanere quasi imperturbabile al centro della stanza. Ecco, forse, come era riuscito ad evadere Settembrini! Scoprendo questa porta, segreta perfino agli sgherri di Ferdinando II.
Il bagliore dei lampi che proveniva da fuori impallidiva i nostri volti ed il forte rumore degli scrosci di pioggia copriva finanche il rombo dei tuoni.
- Io…Io non vengo. – disse il vecchio intuendo la nostra intenzione di infilarsi in quel passaggio: - Non ci sta proprio niente che mi interessa lì dentro. Anzi, datemi quello che mi spetta e…buonanotte ai suonatori!-
- Aiutateci. Avrete tutto al ritorno. – risposi.
- Meglio che mi pagate all’andata. Non si può mai sapere…E po’, comme se dice? “Passato ‘o santo, passata ‘a festa”[1].-
- Allora metà ora e dopo il resto.-
- Tutto mo’, subito! – disse il vecchio avvicinando minacciosamente il suo volto al mio. Gli versai la somma pattuita e mi infilai in quel varco seguito a ruota da Anna.
Entrammo in un lunghissimo cunicolo in forte pendenza. Man mano che ci addentravamo si faceva sempre più buio, tanto che commiserammo noi stessi per non aver avuto la previdenza di portare qualcosa che potesse farci luce. Avanzammo, allora, a tentoni toccando con le braccia entrambe le pareti. In quella oscurità persino il lontano rombo dei tuoni ci teneva buona compagnia.
Stranamente ricordai che da ragazzino andai da solo a vedere “La mummia”, un film inglese del 1959 di Terence Fisher con Christopher Lee, Yvonne Furneaux e Peter Cushing. Nel film il secerdote Kharis, mummificato nell’antico Egitto, tornava in vita per vendicare la profanazione della propria tomba. Egli voleva sterminare la spedizione archeologica inglese, ma s’imbatte in una dottoressa molto somigliante alla principessa Anaka da lui amata in vita. Ebbene, da quando assistetti a quella rappresentazione che aveva come protagonista una terrificante mummia, non riuscivo più a dormire da solo. Le paure facevano parte di quel mio mondo infantile nel quale tutto era vero ed aveva vita, tutto era veramente possibile e credibile, ma fra tutte, quella che certamente sopraffaceva le altre era la mia paura del buio, dove tutto poteva accadere a mia insaputa perché non potevo vedere e distinguere bene le cose, perciò un’ ombra o uno scricchiolio potevano essere causa di chissà quali spaventi. Dal buio nascevano minacciosi mostri, oppure vi albergavano provenienti dal mondo reale (libri, fumetti, racconti della nonna), ed era proprio nei mostri e nel buio che catalizzavo tutte le mie paure di essere aggredito e non avere la possibilità di difendermi. Ero sempre stato suggestionabile, ma non avevo mai avuto occasione di incarnare le mie paure e materializzarle come avevo fatto dopo aver visto il film “La mummia”.
Quell’essere immondo perseguitava ancora le mie fantasie, tanto che temetti di vedermelo comparire davanti da un momento all’altro in quel cunicolo, e solo quando in fondo ad esso cominciammo ad intravedere il tenue bagliore di una lampadina, mi sovvenne del drammatico finale del film in cui il mostro sprofonda nelle sabbie mobili di un’improbabile palude crivellato di colpi. Ricordo ancora la sua mano scheletrica protesa verso il cielo annaspare al di sopra della melma come per chiedere aiuto ad un beffardo destino che lo aveva emarginato in un orribile ruolo.
Guidati da quella luce affrettammo il passo e giungemmo ai piedi di una scala composta da grossi scalini di pietra liscia. In cima ad essa vi era una grossa porta di legno, da dietro la quale udimmo provenire delle voci. Facendo attenzione nel non fare alcun rumore, salimmo e ci avvicinammo per ascoltare, ma grande fu la nostra meraviglia prima, ed il nostro sgomento subito dopo, quando ci accorgemmo che dietro di noi c’erano due torvi individui che ci sbarravano la strada del ritorno. Ci apparvero sbucati dall’ombra, il loro aspetto era come quello di feroci cani da guardia, sembrarono, decisamente, la materializzazione delle mie paure infantili.
Improvvisamente la porta si aprì lasciando intravedere, controluce, l’ombra di un uomo enorme.
- Entrate! – ordinò perentoriamente. Quando fu in piena luce ci accorgemmo che aveva i capelli rasati a zero, occhi neri grandissimi, labbra carnose ed orecchie tanto larghe e rosse che sembravano due bistecche di maiale. L’uomo ci introdusse in uno stanzone di uno dei torrioni di Porta Capuana (sotto la quale, evidentemente, eravamo arrivati attraverso il lungo cunicolo), e da questo fummo fatti entrare in un altro ambiente più piccolo, una sorta di biblioteca con al centro una scrivania. Dietro di essa, su una sedia girevole, seduto di spalle, vi era qualcuno la cui voce mi parve subito di riconoscere:
- Vi stavamo aspettando. Don Michele è membro della nostra congregazione. E’ lui che vi ha condotti a noi, alla “Congrega delle Sentinelle”-.
Si girò con la sedia e rivelò la sua identità: era Salas! Ci guardò per qualche istante, poi disse:
- Il demone apre delle porte attraverso le quali con altri demoni cerca di portare male e scompiglio nel nostro mondo. Lo fa con degli specchi grazie ai quali con grandi illusioni attira i prescelti nella sua dimora. Allorchè costoro, attirati dall’inganno, varcano la soglia egli li confonde. Sono i prescelti che aprono per primi la porta. Essi sono eletti da Satana tra coloro che hanno nome bifrontale.-
- Bifrontale? Come Otto, il mio nome…-
- O come Anna, il mio…
- O come Ada, quello di mia moglie… O come Salas, il vostro cognome…-
- O come Irederi, il mio!- Proprio Irederi comparve improvvisamente sulla soglia di una porta. – Il demone sceglie, dunque, esseri con nomi bifrontali, ma gli stessi per lo stesso motivo, se resistono alle sue lusinghe, possono divenire “Sentinelle del bene”. Noi siamo i guardiani di Dio. Vigiliamo affinchè nessuna finestra venga tenuta aperta sul nostro mondo dall’Angelo Nero. Egli in ogni tempo e luogo cerca di aprire varchi da trapassare per confondere gli uomini e soffiare le loro anime. Noi siamo qui per impedirlo, ma non sempre vi riusciamo. Il nostro numero non è sufficientemente alto per i milioni di diavoli che si aggirano su questa terra. Essi preesistevano all'uomo e rappresentano la forza del male. Il loro unico scopo è sempre quello di danneggiarci, e lo fanno in ogni modo, spesso ricorrendo all’inganno. Tanto tempo fa un demone mostruoso chiamato Adalma-Muus terrorizzava gli esseri umani levandosi dal fondo del mare, afferrandoli con la lingua biforcuta e trascinandoli negli abissi. Un giorno, uno spirito buono, Nyrunuryn KyzyK, afferrò il demone per la lingua, lo trascinò a terra e gli schiacciò il capo. I suoi resti si tramutarono in insetti che si sparpagliarono per ogni dove. Lo spirito buono era la prima sentinella! Egli aveva nome bifrontale e per primo si oppose ai demoni generati dal ventre di Lilith (il cui nome, comunque venga sillabicamente anagrammato,risuona sempre allo stesso modo), la grande madre, e dal seme adultero di Adamo. Essi sono forze della natura, energie libertine che s’insinuano nella mente umana che, per stimolo conoscitivo, crea le scienze, le materie di studio che hanno dimensioni e riscontri ed inducono l’uomo a staccarsi da Dio.
Sono essenze malefiche che si materializzano: da Abigor, demone della guerra, a Balam l’invisibile; da Beleth, demone del sesso, a Ronobe, principe dell’odio; da Sabanak, a Zepar e a Thanatos, dio dell’inimicizia e degli specchi.
Sapete come il demone apre le porte? Sfruttando inizialmente il desiderio dell’uomo di fermare il tempo, la pretesa di renderlo addirittura reversibile sul suo volto e sul suo corpo. Nonostante che la bellezza di un individuo non solo non diminuisce, ma addirittura aumenta con la sua maturità, quasi nessuno riesce ad avere la consapevolezza della necessità che avvenga che il tempo spinga in avanti gli uomini, benchè il desiderio di eternità faccia parte di ogni essere umano. Ed è questo che il demone promette, prima vagamente, poi con segni sempre più evidenti, a chi varca la soglia della porta da lui aperta: lo spazio e il tempo infiniti.
L’uomo non si avvede che il mutamento delle cose è una ricchezza: grazie ad esso le capacità umane vengono continuamente messe alla prova. Spazio e tempo ripropongono situazioni sempre nuove, in virtù delle quali l’uomo deve misurare la propria intelligenza e volontà, ma in realtà egli non desidera altro che conservare il proprio stato, il proprio aspetto, l’eterna giovinezza. Ed è con queste lusinghe che il demonio apre la porta sul suo inferno! –
Al tempo dell'infanzia ero preda di paure irrazionali che erano in grado di controllare molti aspetti della mia giovane vita. Una di queste paure era dovuta all' "uomo nero". Ovviamente non lo avevo mai visto, ma, istintivamente sapevo che egli si nascondeva nei recessi più bui della mia stanza, pronto a farmi del male. La sua presenza malefica era profondamente avvertita ed aveva un effetto considerevole sul mio carattere e comportamento.
La sera la nonna, sull’uomo nero, mi cantava la ninna-nanna che, non solo non mi conciliava il sonno, ma mi riempiva d’angoscia::- Ninna oh, ninna oh questo bimbo a chi lo do? Se lo do alla befana se lo tiene una settimana, se lo do all’uomo nero se lo tiene un anno intero…- Allora immaginavo l’uomo nero che usciva da un buio anfratto della casa e veniva a prendermi. Tuttavia la dolcezza della voce di mia nonna riusciva a rassicurarmi ed a limitare la mia paura.
Allo stesso modo mi avevano colpito le parole di Irederi, pronunciate in modo sommesso, ma di un significato terrificante.
Chiesi: - Il desiderio dell’uomo di fermare il tempo?-
- Zenone scoprì come fermare il tempo, - rispose - come invertire la sua traiettoria, come modificarne gli eventi. Le sue teorie non erano, dunque, come da più parti si disse, solo elucubrazioni mentali artificiose e prive di dialettica…-
- Zenone? Chi era costui?- Mi chiesi mentalmente mentre Irederi continuava a parlare:
- …In Zenone il dogmatismo si trasforma in estremismo e ciò che era un paradosso si trasforma in realtà.-
- Chi era Zenone?-
Rispose Anna: - Un filosofo greco. Nacque ad Elea nel Cilento intorno al 490 a.C. e vi visse fino a quando la città non cadde sotto il dominio di un tiranno. La tradizione racconta di come egli abbia cercato di contrastarlo. Allorchè fu arrestato fu torturato perché rivelasse i nomi dei suoi compagni. Fu allora che ordì un diabolico inganno: fece i nomi di persone molto vicine al tiranno mandandole innocentemente a morte. In seguito disse al despota di volergli rivelare un segreto e quando questi gli fu vicino gli staccò un orecchio con un morso, poi con i denti si staccò la sua stessa lingua e gliela sputò in faccia. Fu orrendamente maciullato in un mortaio.-
Disse che per la filosofia di Zenone ciò che appariva non aveva alcuna importanza perché la verità era, comunque, quella alla quale si arrivava logicamente per mezzo della ragione e delle regole.
- E qual è per Zenone la verità? – chiesi.
- Che il tempo e lo spazio non esistono, proprio come in uno specchio.-
- I primi uomini – intervenne Irederi – si specchiavano nell’acqua, rimanendo sorpresi e stupiti di veder riflessa la propria immagine. Più tardi gli antichi utilizzarono i piatti di terracotta nei quali versavano acqua. Infine gli Egizi, i Greci, gli Ebrei e i Romani preferirono le superfici ben lucidate di alcuni metalli e soprattutto il vetro. -
Tacque e ci guardò entrambi negli occhi, poi disse ancora: - la congrega ha bisogno di altre sentinelle, per questo dovete conoscere tutta la verità.-
- Quale verità? – chiesi.
- Tuttora ci sono porte demoniache aperte su questo mondo. Uno dei passaggi per l’inferno è attraverso uno specchio che, forse, hai in casa tua! -
Ci fece cenno di seguirlo ed in fila indiana entrammo in un’altra stanza dalla forma circolare. La muratura era costituita da enormi massi poggiati l’uno sull’altro; alle pareti erano appese tele sulle quali erano dipinti uomini e donne vestiti con panni di varie epoche. Irederi ci spiegò che si trattava di antiche sentinelle vissute in ogni tempo e luogo. Un grandissimo lampadario pendeva dal centro del soffitto; una parte della stanza era occupata da una grande biblioteca nella quale erano riposti antichi volumi. Irederi si accostò ad uno scaffale e vi prese il fascicolo 77666!
- Lewis visse a Napoli – disse – per non più di un paio di settimane, in via Medina, in un antico palazzo non più esistente a pochi passi dalla chiesa dell'Immacolata. Nel fascicolo troverete materiale a sufficienza per capire.- Poggiò il carteggio su un tavolo ed andò via seguito da Salas e dai due scagnozzi comparsi nel cunicolo. Timidamente cominciammo a sciogliere i lacci del contenitore. Sembravamo due bambini alle prese col regalo di compleanno, eccitati al punto che ci tremavano le mani, forse timorosi di scoprire una verità oltre la nostra immaginazione. L’emozione mi aveva preso lo stomaco: mi pareva di essere in una barca su un mare non solito concertatore romantico, ma demone maligno pronto a sconfinare un po’ dovunque invasato d’odio e di furore.
Si trattava di un grande e logoro contenitore di cartone in cui, in realtà, gli atti relativi alla causa erano ben pochi. All’interno del raccoglitore trovammo altre vecchie cartelle e subito ci capitarono tra le mani alcuni fogli sui quali erano sparse qua e là alcune note isolate, tutte scritte in inglese: “If you aren’t good I make you to go in the mirror …”[2], “The crystal begins to vanish like lucente fog …”[3], “When they see to me through the mirror they will not be able to touch to me …”[4].
Poi alcuni scritti in italiano: “I molti sono infinitamente grandi e infinitamente piccoli…”, “Via via che si procede nella divisione di una cosa, le sue parti si fanno sempre più piccole, fino quasi ad annullarsi. Ma se ogni cosa è costituita da infinite parti, aventi ciascuna una grandezza, essa sarà infinitamente grande”.
Disse Anna: - Ho come la netta sensazione che Lewis, partendo dalle contraddizioni sulla molteplicità di Zenone, giunga in qualche modo all’intuizione dell’atomo.-
Scartabellando qua e là, ci capitò fra le mani la minuta di una lettera scritta ad Alice Liddell, naturalmente in inglese. Facemmo non poco fatica a tradurla dato lo stile particolare del suo autore.
“ Mia cara Alice,
ieri faceva un tale caldo che non avevo più inchiostro: era evaporato tutto in una nube nera che vagava per la stanza macchiando la parete ed il soffitto. Oggi, per fortuna, è più fresco e un po’ d’inchiostro è tornato nel calamaio sotto forma di neve nera.
Come fioccava stamane, cara Alice! Veniva giù dal cielo una pece leggiadra che si poggiava dolcemente sui mobili e sulle suppellettili imbrattando tutto con il suo colore poco allegro. Proprio sotto questo maltempo ho incontrato un uomo. Era nero di neve che gli si liquefava tra i capelli, sulle sopracciglia, che gli sgocciolava sul volto attraverso le rughe ai lati del naso, che gli stagnava sotto gli occhi nei quali scintillavano due chiare pupille. Quell’uomo mi somigliava tanto da essere del tutto simile a me: stessi capelli, stessso scarno viso, stessa bocca sottile, stesso naso magro e leggermente pronunciato; eppure, mia cara Alice, nonostante lui fosse me stesso, ti assicuro che non ero io! Guardavo quel tale nello specchio, lo vedevo muoversi così come mi muovevo, ammiccare con il mio stesso sguardo, leggere nei miei occhi. Ne vedevo il respiro appannare il vetro e ne sentivo la mente pulsare.
Ad un tratto, mia adorabile bambina, accadde qualcosa che oserei definire più incredibile dei “Palmipedoni”[5] o del tuo e mio “Coniglietto bianco”;[6]più meraviglioso del “Cappellaio matto”[7] e del “Bruco blu”.[8]
Pian piano, quell’uomo nello specchio ( mio Dio!), cominciò a muoversi con una sua straordinaria autonomia, a parlare con un linguaggio al momento incomprensibile, poi ebbi l’intuizione che dicesse parole all’incontrario, come se io, mia dolce bambina, pronunciassi il tuo nome in questo modo: “Ecila”. Egli mi invitava ad entrare nello specchio dicendo: “Ycnafni tsol eht niaga dnif lliw uoy dna em htiw emoc ouy”.[9]
A proposito, mia sensibile amica, ti ho mai parlato del mio mobile?-
Qui la lettura si fece interessante. Senza neanche guardare dove, ci sedemmo insieme tenendo il foglio a quattro mani, senza staccarvi lo sguardo.
“Si tratta in realtà di un pezzo di legno composto da un portaombrelli e da un appendiabiti, tenuti insieme da una sorta di schienale alto un metro e ottanta circa e largo poco meno di un metro. Su questa base è applicato uno specchio di misura di poco inferiore ad essa sia in larghezza che in altezza. E’ bellissimo, Alice! Uno specchio straordinario, mirabolante! Per la verità non è bello affatto e sembra un comune specchio come ce ne sono tanti. Sembra!
Esso mi ha dato idea di scrivere una terza storia per te, cara piccina, ma affinchè io possa sbalordirti vi è bisogno che io stesso vi entri e veda cosa davvero possa esserci dall’altra parte, cosa possa nascondersi nella casa dello specchio.
Per la verità, stando da questa parte, qualcosa ho veduto. Ho veduto la comune della mia stanza alle mie spalle. Oltre essa ho veduto parte del muro del corridoio sul quale (terribile!) ho veduto vagare delle ombre.
Il mio specchio, o incantevole signorinella, fu fabbricato, al tempo degli orchi e dei demoni, da Thanatos, un diavolo tanto brutto e con le ali di pipistrello. Egli odiava la sua bruttezza infinita così come Narciso amò la sua bellezza. Detestava gli uomini perché favoriti e protetti dagli dei, e scelse proprio un uomo per aprire la prima porta, attraverso la quale accedere nel nostro mondo per mescolarsi col genere umano e liberare il suo odio. Quest’uomo, cara, era un tal Zenone che fuse nello specchio i cattivi elementi suggeriti dal demone: odio, ira, invidia, superbia, avarizia, lussuria, accidia. Re dell’ingiustizia, Thanatos, dopo essersi servito di lui, fece in modo che finisse orrendamente per mano di un tiranno, la cui testa, catalizzatrice di turpitudine, fuse in dodici mascherine di ferro che collocò ai lati dello specchio, dove, credo, siano ancora imprigionate le anime di Zenone e di tutti coloro che dalle lusinghe del demone vi sono stati attratti.”
- Zenone staccò l’orecchio al tiranno con un morso…Ecco perché ad ognuna delle mascherine manca un orecchio!- riflettei.
Rovistando ancora tra i fogli trovammo alcuni appunti di Lewis sulla storia dello specchio:
“Alla morte di Zenone i nipoti si divisero quelle poche cose che egli aveva lasciato. Fra queste, lo specchio andò ad un tale Polimene, un mercante che lo scambiò in Fenicia con alcuni tessuti.
Effettuando ricerche su un tale Saint-Fond, ministro della giustizia francese vissuto nel XVIII secolo, ho ricostruito il resto della storia. Lo specchio fu imbarcato su una nave fenicia da un marinaio chiamato Al Sharam. La nave giunse di notte sulle coste della Bretagna con l’insellatura del ponte che proruppe all’improvviso dal buio, tra il fragore dei tuoni e delle onde ed il saettare dei fulmini. La vela maestra sul pennone era a brandelli, i remi erano ancora calati in acqua. Lo scafo, spinto dalla tempesta andò ad incastrarsi sulla scogliera, ma da bordo non si udì una sola voce, non un lamento, non si vide muovere un solo marinaio: erano misteriosamente scomparsi tutti! Fatto strano, improvvisamente dalla nave si levò uno sciame di api, mosche e coleotteri e all’interno del relitto furono trovati centinaia di scarafaggi e vermi di ogni genere. Cosa ne era stato dell' equipaggio? Come una modesta barca di neanche dieci metri aveva potuto raggiungere la costa bretone con il velame a pezzi e senza alcuna guida? E perché, infine, le lunghe aste dei remi (alcune delle quali spezzate) erano ancora calate in mare? Il mistero mi fu rivelato da una lettera scritta da Saint-Fond ad un certo Guillermot di Versailles.
Paris, 23 Avril 1761
Monsieur Guillermot,
lei mi chiede a chè tutto questo mio codesto plaisir[10] nel godere delle disgrazie altrui, e non ha sentore che oggi esso est doublè[11] anche per l’affare occorsovi circa la perdita di alcuni vostri beni in favore di un vostro creditore a brisque[12]
Ebbene, voglio darle risposta ed appagare, se non la vostra fame, almeno la vostra curiositè. Sappiate, mio dolce cialtrone, compagno d’amore perverso, che avrei facilmente potuto portarvi aiuto; sarebbe bastata una mia parola perché Dandelaire, il vostro creditore, facesse condono della vostra obbligazione, essendo egli stesso in dovere con me per favori ricevuti. Ma non ho voluto, proprio per la mia avversione a fare del bene. Tale virtù, sappiate, è ad opera d’un miroir[13] che ho in casa.
Esso giunse ben oltre 2000 anni fa sulle nostre coste a bordo di un guscio fenicio. Pensate mio bel misero uomo, che quando arrivò, la nave era deserta d’ogni essere umano: passager o marin che fosse. Era solo piena, stracolma di insectes. Io so cosa era accaduto. Voi vi chiederete come mai? L’ho veduto nel miroir! Perché vedete, mio caro, è, codesta, una porta per l’inferno, e voi ben sapete quale adoratore di Satana io sia! Quande le bateau superò le Colonne d’Ercole, il “non plus ultra” di allora, incredibili avvenimenti avvennero a bordo: l’Atlantico entrò in una tale calma piatta che l’equipaggio dovette mettere mano ai remi. Le capitaine El Harahle fu irresistibilmente attratto dal miroir che aveva sistemato nella sua tenda a poppavia del ponte di corsia. Egli scrisse sul diario di bordo: - Nel miroir ho veduto la mia terra, le mie donne con i servi. Poi ho compreso di poterci tornare soltanto con un passo. Mi sono avvicinato e la superficie di vetro è diventata nebbia intensa ed impalpabile. Non c’era più alcuna barriera che m’impedisse di tornare alle mie cose. –
El Harahle scomparve nel nulla. Gli uomini temettero che fosse finito in mare, ma anch’essi scomparvero, attratti ad uno ad uno dal mio terribile miroir che materializzava ogni leur dèsir.
Nella baia di Biscai la nave fu colta da un’ improvvisa e devastante tempesta che la spinse sulle coste della Bretagna.
Per molti secoli di tale mon miroir se ne persero le tracce, fino a quando io stesso lo vidi a Ruen nell’alta Normandia nella bottega di un carpentiere e lo acquistai.”
[1] Vuol dire che ”Se non avete più motivo, finisce che non mi pagate più.”
[2] “Se non stai buona ti faccio andare nello specchio
[3] “Il cristallo comincia a svanire come nebbia lucente”
[4] “Quando mi vedranno attraverso lo specchio non potranno toccarmi”
[5] I Palmipedoni sono strane creature che Alice è invitata a non calpestare. Palmipedone è tuttavia il nome datogli dagli adattatori italiani. Il nome originale è in realtà 'Raths' creature che vengono nominate solo in “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò” e precisamente nel poemetto “Jabberwocky”
[6] Allude al coniglio bianco, personaggio inventato da Lewis Carroll apparso per la prima volta nel 1862 in Alice's Adventures Underground e nel 1865 in Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie.
[7] Il personaggio nasce dall'antico detto inglese "Essere matti come un cappellaio" che derivava dall'usanza di utilizzare il mercurio nella lavorazione dei cappelli, sostanza che aveva effetti rovinosi sulla salute mentale degli artigiani cappellai.
[8] In Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie, il. Il Bruco, è appunto un bruco di colore blu alto circa tre pollici (circa sette centimetri) che fuma un narghilé seduto su un fungo.
[9] Si tratta di una frase pronunciata al contrario: “You come with me and you will find again the lost infancy” (Vieni con me e ritroverai la perduta fanciullezza)
[10] Piacere.
[11] Raddoppiato
[12] Briscola
[13] Specchio
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- Blog di Antonio Cristoforo Rendola
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