Scritto da © Antonio Cristof... - Mar, 12/03/2013 - 05:35
In occasione dell’approssimarsi della S. Pasqua (principale festa dei giudei che celebra la liberazione di Israele dall’Egitto) penso di fare cosa gradita a scrittori e lettori di Rosso Venexiano nel presentare una lettera aperta che Giuda Iscariota ha loro indirizzato.
“Carissimi lettori,
ringrazio con immenso piacere il pro. Rendola che, a mezzo del bel sito Rosso Venexiano, mi da l’opportunità di comunicare con voi e poter, quindi, in un certo modo giustificare e difendere la mia condotta in occasione della morte di Gesù. Inoltre, per quanto mi sia possibile, cercherò anche di difendere la mia immagine divenuta ormai simbolo di tradimento tanto è vero che quando si vuol dire tradire si dice Giuda. E’ bene cominciar col dire che in quel tempo accaddero cose che Israele non aveva mai visto ed io per primo credetti fermamente che sul trono di Davide sarebbe salito in tutta la sua potenza il Nazzareno, il maestro che noi zeloti aiutammo e sostenemmo. Credetti che avremmo avuto tanti soldi da buttarne via e che tante cose sarebbero potute accadere, prima tra queste, che il Galileo avrebbe cacciato i romani, i sacerdoti e i sadducei, dal momento che egli davvero comandava le potenze del cielo e angeli e demoni gli ubbidivano come schiavi al padrone. Credetti, insomma, che il regno millenario promesso dai Padri, fosse arrivato.
Ho sempre avuto fede in lui, anche se a volte, diceva cose che non riuscivo a capire , come quando disse che l’operaio dell’undicesima ora doveva ricevere tanta mercede quanta ne riceveva chi aveva faticato dalla mattina presto.
Io lo seguii quando non era nessuno, quando ci si nascondeva scappando da una riva all’altra del lago di Genezareth, scherniti e derisi, con la gente che, vedendo i suoi prodigi, si spaventava manco fosse opera del maligno., pronti a lapidarci se noi non fossimo stati ancora più pronti a darcela a gambe.
La gente! Ora adirata, ora sospettosa, ora inquieta per la fame, e poi di colpo impazzita per i suoi discorsi, scatenata perché voleva miracoli, la folla dei pezzenti, degli ulcerosi, dei lebbrosi, degli indemoniati urlanti. Poi mi ricordai delle parole di Davide:- Con Dio noi faremo prodezze ed egli schiaccerà i nostri nemici.-.
Credetti che fosse finita, che Gesù di Nazareth, il Messia promesso, sarebbe finalmente salito sul trono di Israele.
Mi avevano detto che a Gerusalemme c’era una gioventù coraggiosa e pronta ad insorgere, e quando Gesù entrò in città tra gli osanna, non ebbi più dubbi: egli avrebbe cacciato i tiranni romani ed i loro tirapiedi del Sinedrio.
Voi, Gesù, non lo avete conosciuto personalmente, non avete visto il potere dei suoi occhi, del suo gesto. Non avete idea della sua forza. Io non ho mai saputo se egli fosse veramente il Messia promesso, né me ne importava nulla, ma di una cosa sono sempre stato certo: che quell’uomo possedeva una forza che gli veniva ds dentro e che si manifestava nello sguardo, nella voce, nel gesto.
Se si fosse trovato davanti a un intero esercito di Cesare, con un solo gesto avrebbe potuto stendere tutti a terra. Ed io credo che Gesù quel gesto lo avrebbe fatto se non fosse stato per Pietro, Giacomo e Giovanni che gli stavano sempre intorno e gli impedivano di agire.
Quella sera il maestro decise di mangiare la Pasqua in città e mandò Giovanni e Pietro a preparare. Lo sapevamo che venendo a Gerusalemme si correvano dei rischi. Gesù diceva anche che qualcuno avrebbe tradito. Egli era stato mandato dal Padre per salvare tutti gli uomini, eccetto uno: me. Fu lui a scegliermi. Disse:- Uno di voi mi tradirà. Sarà colui al quale darò il boccone intinto nel piatto. Intinse il boccone. Avrebbe potuto darlo a Bartolomeo o a Filippo o a Matteo o allo stesso Pietro. Lo diede a me! Io sentii un fuco dentro. In quell’istante seppi che lo dovevo tradire Mi guardò come mai mi aveva guardato nei tre anni trascorsi insieme. Non c’era odio nei suoi occhi, né durezza, e nemmeno compassione. C’era solo amore. Mi disse, quasi pregando:- Quel che devi fare fallo presto…-
Ecco i due motivi che mi indussero a prendere quei maledetti trenta scicli d’argento: Uno, Gesù non era il rivoluzionario che io pensavo fosse. L’avvento del regno che andava predicando non era quello di Israele; due, io ero il prescelto affinché il suo destino si compisse. Le scritture dicevano che il Messia doveva morire e che io sarei stato l’uomo più solo di tutta l’umanità ed il mio nome il più vituperato. Ho certamente sbagliato a togliermi la vita, ma non potevo tollerare che l’uomo della mia speranza non avrebbe mai liberato Israele dalla tirannia. So bene che non ci sarà mai nessuno al mondo che voglia dividere la mia colpa. Ma forse oggi, mentre leggete questa mia lettera, avete già compreso che il male ha le stesse radici del bene e che un uomo non può essere giudicato.”
Giuda, figlio di Simone Iscariota.
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