Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi | Prosa e racconti | Antonio Cristoforo Rendola | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi

Uno stralcio dal mio romanzo  “AB, da dove?”
 
 
 
 
 
 
 
E venne il giorno in cui i due, novelli Bonnie e Clyde, avevano deciso di intraprendere la loro azione criminosa all’insaputa di  Giulio. Avevano preparato tutto per bene: il furto, il trasporto dei valori, il contatto col Lamera  per gli oggetti, il viaggio in  treno a Milano dove sarebbero stati ospitati momentaneamente  da una cugina di lei. Ma, come si suol dire: “il diavolo fa le pentole e non i coperchi”, non avevano previsto che Cinzia era ormai sull’orlo di una crisi di astinenza. Nottetempo, approfittando che Ugo era a dormire a casa di Maria, avvalendosi delle chiavi in possesso della ragazza entrarono nell’appartamento:
- Dovremo fingere di scassinare la porta – disse Maurizio – altrimenti si ricorderanno di chi era in possesso delle chiavi…-
- Scassina dall’interno con poco rumore è più sicuro – disse, chiudendo la porta, Cinzia che cominciava ad avvertire un po’ di malessere.
Maurizio tirò fuori da un borsone che si era portato dietro un “piede di porco” e cominciò a lavorare mentre la ragazza, accendendo tranquillamente la luce, si avviò nella stanza della cassaforte e stava per togliere via il quadro dal muro, quando questo cadde rumorosamente in terra.
- Che cazzo combini!? – urlò Maurizio da fuori…
- Non gridare, stronzo!-  fece la ragazza.
E Maurizio, stavolta sottovoce ripeté:- Che cazzo combini?-
- Un cazzo! Il quadro è caduto da solo…-
Quando finalmente riuscirono ad aprire il blindato, si trovarono di fronte a diverse mazzette di diecimila e cinquemila lire, oltre che ad uno scatolone contenente diversi gioielli. In fretta arraffarono tutto e fuggirono via, destinazione Ardenno, su indicazione di Cinzia,(casa del Lamera), con un motociclo, così come avevano programmato. Durante il tragitto la donna   fu, prima presa da enorme agitazione ed affaticamento, poi cominciò quasi ad addormentarsi sul sellino posteriore. Trovarono quella specie di orco seduto fuori la porta così come se li stesse aspettando, con un ghigno sarcastico in faccia fortunatamente nascosto ai due dalla penombra notturna e la barba che scintillava di unto e di gocce di un vino del quale si avvertiva il lezzo a metri di distanza.
Il Lamera li fece entrare e chiuse accuratamente la porta non senza prima lanciare sguardi di fuori a destra ed a sinistra. Li fece sedere e,  mentre stava per dire qualcosa, Cinzia, presa da incredibile frenesia, si lanciò su un pacco di zucchero che  era poggiato sul tavolo. Il suo gusto sembrava inevitabilmente attirato da quel alimento ed il suo corpo era in preda a dolori fisici ai quali era difficile resistere.
- Oh, da quando non si buca sta testolina?- chiese Lamera – Vediamo cos che m’avete portato, poi se fa un conto…-
Maurizio tirò fuori dalla borsa lo scatolo con i gioielli facendo sgranare gli occhi all’uomo che esclamò:- Ah, la madonna! È ‘n po’ de roba chesta! Dove l’avete presa eh? Piccioncini!!!-
E il giovane: - Non sono affari tuoi! Tira fuori due milioni e chiudiamo…-
- Ah, due milioni sono tanti…Mi non ho in casa una somma simile capis? Co’ tanta gente disonesta che gira via qui intorno…-
- Quanto puoi darci?-
- Beh, è bella roba sai, peccato che sia difficile da smerciare, capis? Diciamo…duecentomila franchi…-
- Cazzo!!! – Esclamò Maurizio. .Fece per rimettere in borsa lo scatolo, ma fu fermato dal Lamera che alzò l’offerta a trecento.
- Un milione! – disse risoluto il giovane.
Dopo una fragorosa risata “l’orco” concluse con un’ultima offerta:- Sei un vero brigante ragazzo…settecentomila franchi e mi devi dire cos’altro hai nella borsa…-.
- Il cavolo! Dammi i settecentomila e fatti gli affari tuoi…-
Il Lamera lentamente si accostò ad uno sgangherato mobiletto dal quale tirò fuori una bustina e una lametta, Consegnò il tutto a Cinzia e disse:- Ecco, taglia e sniffa. Omaggio della ditta. Non mi va miga di vederti crepare qua dentro!-.
Poi, sempre lentamente, con la massima calma,  mentre la ragazza si preparava a drogarsi, entrò in un piccolo locale nascosto da una lercia tenda tanto nera  da sembrare di carbonella, e ne uscì subito dopo con del denaro che depose sul tavolo:- Ecco – disse- settecentomila…Ora filate!-.
Maurizio raccolse in fretta il denaro senza neanche contarlo, poi prese per un braccio Cinzia, alla quale cadde addosso la bustina di coca, e la tirò via fuori. La fece montare in  “Vespa”, mise in moto e si allontanò tra lo sghignazzare del Lamera.
Cominciava ad albeggiare quando arrivarono nella deserta stazione di Tirano dove alle sei in punto sarebbe partito il treno regionale per Milano. A quell’ora il luogo era quasi deserto,  su un panchina dormiva un barbone coperto da fogli di giornale, mentre da un locale illuminato provenivano stanche voci sommesse di chi vi lavorava. I due giovani (la ragazza ormai ridotta in condizioni pietose) si accovacciarono quasi su un’altra panchina curando di nascondere bene dietro le spalle la borsa col denaro, quasi come se questa fosse trasparente ed il suo contenuto visibile a tutti.
Un viaggio è un rinvenimento di ciò che luoghi nuovi fanno nella mente e nel cuore; è esplorare se stessi. Per questo è incantevole vedere quel intreccio di binari che da una stazione si perdono lontano in un paesaggio , prima immaginato, poi scoperto pian piano non molto dissimile da quello che ci si lascia alle spalle. Chi prende un treno per la prima volta ha l’impressione di esserci già stato, tanto sono poco dissimili  uno dall’altro; tuttavia sogna di trovare alla fermata dove scenderà qualcosa di nuovo, di meglio. Questi erano i pensieri che si affollavano nella mente di Maurizio nella quale si rincorrevano le figure amiche del fratello Antonio, di Adriana e del signor Paolo, ma anche quelle nemiche di Giulio, di Ugo, del Lamera che lo mettevano in ansia.
Mentre Cinzia era ormai in preda ad una grossa crisi di astinenza, ogni tanto agitandosi poi addormentandosi sulla panchina, si fecero quasi le sei. Così Maurizio, che non aveva mai abbandonato la borsa neanche quando preso dalle suddette meditazioni, cercò di svegliarla e, visto che non ci riusciva, si recò presso una fontanella e, per prendere con le mani un po’ d’acqua, lasciò la borsa in terra curando di non metterla nel bagnato. Poi corse con le mani a coppetto per spruzzare il liquido in faccia a Cinzia che ebbe solo qualche moto di ripresa. Si svegliava e si addormentava, si addormentava e si svegliava, fin tanto che il giovane non decise di trascinarla via di peso.
- Il giubbino….- disse la ragazza con la voce impastata di sonno. Maurizio se lo prese sottobraccio e, convinto che quella specie di malloppo fosse la borsa dimenticata alla fontana, finalmente montarono sul treno che partì dopo pochi secondi. A quell’ora le carrozze erano quasi del tutto vuote e solo qualche passeggero, che ondeggiava la testa a sinistra ed a destra, sonnecchiava cullato dallo sferragliare del treno mentre fuori sfrecciavano in fila le case con tapparelle, imposte e persiane ancora chiuse sulle quali rimbalzava solitario il fischio della locomotiva. In quell’acre odore di desolazione Cinzia dormiva con la testa appoggiata alla spalla sinistra di Maurizio. Ad un tratto ella mormorò:- Il giubbino…-
Maurizio si sporse oltre lei per vedere se lo avesse sul sedile di lato, ed accortosi che non c’era, sempre convinto di avere la borsa dietro di se, disse:- Ecco, lo abbiamo dimenticato alla stazione di Tirano!  Povco male, te ne compro uno più costoso…-
- Pù costoso?-
- E più bello…di pelle…ok?-
- Ok…- fece  la ragazza. Poi si accorse che il suo giubbino era dietro Maurizio e sfilandolo disse:-
Ma anche questo è bello…-
- Cos’è questo? – fece il giovane cadendo dalle nuvole.
- Il mio giubbino…-
- Il tuo giu…- La voce gli si strozzò in gola, rimase senza respirare con la faccia che gli si faceva paonazza poi, in un impeto, riuscì a gridare:- La borsaaaaaaaaa….-
Un tale che dormiva nello scompartimento successivo zompò in aria dalla paura, poi affacciandosi, vide Maurizio che usciva dal suo scomparto e continuava a gridare  con le mani tra i capelli:- La borsa…la borsa…maròòòòòòò…la borsa…-
Fuggiva come un forsennato dimenandosi e saltando per i corridoi e tutti furono svegliati dalle sue grida formando un capannello di poche anime che si chiedeva cosa mai fosse successo e accorse anche un controllore che, cercando di calmarlo e capirci qualcosa, lo seguì per tutto il treno. E Maurizio, preso da disperazione, tirò uno dei freni d’emergenza ma invano perché non funzionava. Poi ne tirò un altro più avanti, ma neanche questo funzionava, poi un altro ancora sempre  invano e sempre col controllore che gli correva dietro ed urlava:- Non tiri i freni, signore, non tiri…-
- Ma che tiro sti cazzi di freni che non funziona un cazzo?!- disse Maurizio umido e lucido come una medusa appena sbalzata sul bagnasciuga. Era arrivato ormai al quinto freno d’emergenza quando il treno, essendo un accelerato locale, si fermò  a Tresenda, la prima stazioncella. In fretta e furia tirò via Cinzia che a sua volta a malapena tirò via il giubbino e scesero volando letteralmente sul binario opposto dove stava arrivando il treno per Tirano.
Durante il tragitto Maurizio si trovò a recitare una sorta di sconclusionata preghiera rivolgendosi ai santi più disparati affinché gli facessero ritrovare la  borsa ai piedi della fontana, ma ahimè, giunti che furono, della refurtiva nemmeno l’ombra: la borsa era sparita e con essa il malloppo e con quel malloppo.i sogni del giovane che cominciò quasi ad ululare:- Nun ce staaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!-
 
 

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