De Paranormal | Prosa e racconti | Antonio Cristoforo Rendola | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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De Paranormal

DE PARANORMAL
 
 
Per recarmi a scuola, quando ancora ero un giovane insegnante, scendevo ogni giorno dalla zona di Montesanto in Napoli, fin giù via Toledo lasciandomi trasportare da un’onda impetuosa di migliaia di individui che sbucavano dal sottosuolo del metrò e si dirigevano, in gara col tempo verso destinazioni diverse
Mi piace respirare l’aria del primo mattino non ancora satura degli scarichi di gas del traffico urbano che aumentava di minuto in minuto. Sentivo il brusio della gente confondersi con le voci dei venditori impastate ancora di sonno, mentre un leggero venticello mi sfiorava il viso portando al mio olfatto odore di pane fresco e dolcetti appena sfornati.
Amavo perdermi in quel labirinto di umanità e di strade intrise di storie a volte incredibili tanto da lasciarmi pensare he Napoli non avesse nulla da invidiare a Londra quale luogo per ambientazione di vicende fantasiose.  Già allora provavo forte interesse per tutto ciò che riguardasse i fenomeni paranormali, cioè lo studio accademico di presunti avvenimenti psichici. Ebbene mi sono sempre domandato, avendone risposta, come mai o visto maniglie di porte trasparenti muoversi più volte da sole, carta prendere fuoco improvvisamente, oggetti sparire in un luogo e ricomparire in un altro.
Sull’argomento avevo letto diversi trattati scritti in epoche diverse e in varie lingue come “ Tertio oculus” di Harold Wesslancher [1], “Les vaisseaux fantômes » di Gerard Xantony[2], « The Dead’s book » [3] di William Devendson, «  El mal de Pascua »  di Pedr de Almavida[4].
Ma il testo che mi interessava  particolarmente non ero mai riuscito a trovarlo. Si trattava di un testo del 1850 scritto da un anonimo monaco giansenista[5] interamente in francese ed  intitolata : « Le Paranormal - Naples et de la Campanie était histoires étonnantes» ,[6] in possesso all’inizio del ‘900 di uno studioso olandese vissuto a Napoli, tale Hans Van Holder che lasciò tutti i suoi beni ad un nipote. Del libro, però, non se ne seppe più nulla finché non fu ritrovato nel 1947 da un insegnante  di latino del liceo Mercalli della stessa città partenopea, tale Giovanni Cupaiuolo che lo tradusse in triplice copia dattiloscritta e cercò invano di farlo pubblicare. A parte le notizie sopra riportate, quel che altro sapevo era che i segreti in esso custoditi e riportati dal giansenita, furono probabilmente interpretati dal Cupaiuolo come inventati di sana pianta e, quindi, sottoforma di leggende tinte di favolae con pennellate di vero qua e là.
Ma torniamo a quel mattino durante  il quale mi  stavo recando a scuola. Era un giorno d’inverno fresco ma soleggiato, e   mentre bel bello mi avviavo  per via Toledo, sentii quasi anelare una sottile vocina meravigliandomi non poco di averla sentita in quel frastuono. Proveniva da una scalinatella che non avevo mai notato prima e che si apriva, innalzandosi tortuosamente, verso la metà di via Toledo. Era talmente lunga che non se ne vedeva la fine ed era interamente lastricata di « vasole »[7] sulle quali luccicavano coriandoli di sole. S’arrampicava fra due file di « bassi »[8]  tanto oscuri da sembrare nere caverne tapezzate da scolorite immagini sacre Quella vocina fu per me come il canto delle sirene per Ulisse o come il suono del flauto magico per i topi nella favola[9], cioè mi attirava senza che potessi opporvi valida resistenza.
Fu così che, passo dopo passo, mi avviai per quella “scalinatella”  arrampicandomi quasi fra le due file di bassi nei quali si illuminavano ora volti di vecchiette, ora di bambini, ora di giovani donne che, incuriositi, sembravano chiedermi chi fossi e dove andassi. Intanto la vocina  ripeteva  ad intervalli:
-Volete ‘o giucattolo.. ? Volete ‘o giucattolo.. ?-.
            Quela « cantilena », a suo modo armoniosa, seppur sommessa, si spandeva per l’aria, per gli anfratti muscosi, per i muri tapezzati da erba vento, poi volava in alto verso file odorose  di camicie elenzuola dietro cui comparivano spicchi d’azzurro. Io, stracarico di un fardello di banale curiosità, continuai a salire fino a raggiungere una rampa dove, accovacciato in terra, c’era un bambino. Era scalzo, magrissimo, con un viso pallido e triste. Indossava un magiloncino viola, di lana, consumato su entrambi i gomiti ed un pantaloncino corto, grigio a quadretti, tenuto su da una sola bretella trasversale. Accanto a sè aveva un cesto di vimini sfilacciato in diversi punti. Mi fissò con uno sguardo da cane bastonasto e co un filino di voce ripetè ancora una volta :
Volete ‘o giucattolo.. ?-

Mi avvicinai incuriosito per vedere cosa ci fosse in quella cesta e fu allora che rimasi sbalordito : c’erano quei balocchi che avevo posseduto da bambino e che il tempo ad uno ad uno mi aveva portato via. E quante erano,oltre ai giocattoli, le cose che avevo perduto nelle sabbie mobili del passato! « L’isola del tesoro » di Stevenson ; « Il giro del mondo in ottanta giorni » di Verne ; le fionde ; il cinema » Alle Ginestre » di Fuorigrotta ; il cinema « Gloria » di via San Giovannello ; il teatro San Ferdinando» dove pre la prima volta vidi dal vivo il grande Eduardo ; Le figurine dei calciatori ; una mia ragazza ; la mia seicento…il nonno…la nonna…mio padre…mia madre…Ora tutte queste cose e persone mi sasmbrava di rivederle nello sguardo spento di quel bambino che mi inteneriva ed intimoriva nello stesso tempo.
            Un venticello sollevò in un piccolo mulinello quattro, cinque foglie ingiallite che si infilarono fra me ed il bambino mentre ad un tratto sentii un’altra voce che mi chimava anche questa tremula e sottile.

< >
Trasite…trasite – disse invitandomi con un gesto della mano.-
Ma veramente…-
- Vi prego ! Quando vi pigliate un poco di caffè.-

Il tono della donna sembrava non voler ammettere alcun diniego, così la ringraziai e, seppur con molto imbarazzo, entrai. Il basso era piccolissimo. Aveva due ante tagliate a metà in  modo tale che all’occorrenza potessero trasformarsi in porta o finestra. Era costituito da un ambiente promiscuo nel quale si fondevano nella loro essenzialità camera da letto, da pranzo, e, in una casupola di legno, i servizi igienici. Le tante immagini di defunti omaggiate da fiori e lumini  creavano un rapporto di continuità e relazione tra la vita e la morte. È  questo a Napoli un legame silenziosamente  presente che esiste e si mostra nei piccoli segni di venerazione, ma non viene  né esibito, né incoraggiato e neanche va alla ricerca di proseliti.Esso crea semplicemente un rapporto, anzi un confine tra la vita e la morte che a Napoli riporta a nuova esistenza anche attraverso i “miracoli” dello scioglimento del sangue di San Gennaro e di Santa Patrizia.
Un confine tra la vita e la morte che non viene rimosso, ma singolarmente curato come se l’accudimento distanziasse o forse lenisse  il dolore del trapasso di una persona cara.

Pochi minuti e vi appriparo il caffè – disse la vecchietta smanettando la caffettiera.-
Veramente l’ho preso prima di scendere di casa…-
- Si, ma nonvi siete preso questo qua. Sedetevi, questo è speciale.-
Ah, si? E cos’ha di speciale?
Prima di tutto chi lo fa, poi come si fa e dopo dove si fa. Avete capito?-
- Chi, come e dove…-

Sorrisi e chiesi:

Chi è quel ragazzino che sta qua fuori?-

La vecchietta andò ad affacciarsi e disse: - Qua ragazzino? Ccà nun ce sta nisciuno. Mi  alzai e guardai anc’io fuori. Effettivamente non c’era più  nessuno. Quando andai a risedermi  mi versò il caffè e cominciai a sorseggiare.
 

Io vi conosco. – disse – Voi site nu professoreche sta nella scuola qui avanti a via Bonafficiatat. Una volta io e mia figlia siamo venute a parlare con voi di mia nipote. Il cafè è buono di zucchero? –
- Si, grazie…-
Mia nipote è una vostra alunna. Castella Assunta…v’’a ricurdate? –
- Castella, si. Una brava ragazza.-
E si. Nun fa altro che studiare e studiare. Tutta casa e chiesa.-
Ah, si vuole fare monaca?-
-Vuole diventare una dottoressa. Prufessò, mi dovete credere: tutta casa chiesa e studio…-
Vuole diventare infermiera monaca…-
E dalle cu’ sta monaca! Ma chi v’ha ditto che vo fa ‘a monaca?-
- Lo state dicendo voi,casa e chiesa…
Ehhh!, ma è ‘nu modo ‘e dicere!-
Beh speriamo bene allora. Dissi e, avendo finito di bere il caffè, mi alzai per congedarmi.
Com’era?- chiesa le nonnina.
Veramente buono!-
< >
Si certo…-
E che cercavate un altro libro dove si trovano storie incredibili successe a Napoli?-
Si, è un libro del 1850.-
Aspettate, io me lo sono segnato su un foglietto che mi pare dovrei tenere nel comò.-

Ingobbita si recò accanto al mobile  aprì il primo cassetto e si mise a cercare rivoltando tutto quanto ci stava dentro…

Ecco il foglietto! – esclamò trionfante – Leggete voi che io bnun tengo ‘e llente.- Mi consegnò il fogliettino:
“ De Paranormal - Eximia in rebus Neapolim accidit” .  Si è questo. E che fine avrebbe fatto questo testo?-
Lo teneva un professore olandese che abitava a pochi passi da qui. Un certo Hans Van Holder.-
Hans…Van…Holder…- ripetei pensieroso. – E che fine avrebbe fatto ?-
E sapete che fine fece questo libro ?-

- Lui teneva due nipoti in Germania. Quando morì, questi vennero  e si vendettero tutto quello che di valore ci stava, meno i libri che il professore aveva già regalato ai monaci della chiesa di San Domenico Soriano.-
      Ascoltavo la vecchietta con grande interessementre il mo sguardo era attirato da tanti « santini » sparsi sui muri e sui mobili il cui termine « santino, » in  napoletano « fiurella », per la struttura del suo diminutivo riflette i fondamentali processi storico religiosi asttraverso i quali le rappresentazioni iconiche dellla santità passano dal livello alto ed artistico alla fruizione del volgo e ad una circolazione resa semplice dalla stessa forma dell’immmagine.
 
Questo è San Pantaleone…- disse la vecchietta mostrando una delle piccole immagini incastrate nella spalliera del letto.  –faceva il medico e a nu certo punto, ìnsaccechè, ‘nsaccequanne [10], diventaie cristiano. Quando murette ‘o patec ereditaie tante di quellecsostanze da scatenare la gelosia di molta gente che truvareno ‘o modo di   bollente, ma ‘o cchiummmo[11] se friddette[12] ; ‘o vuttarene a mmare[13] cu’ ‘na prets appesa a ‘o cuollo, ma ‘a preta galliggiaie ;  ‘o jettarene ‘mmocca ac ‘e liune[14], maI chiste  s’’o alleccareno[15]. Insomme non ci stava come canchero acciderlo a chille tante che isso dicette :
 - Ma insomma che aggia fa ? M’aggia da accidere sul’io ?-.
E solo quand’isso se sfastediaie[16] riuscirono a ‘nce taglià ‘a capa. San Pantaleone è…A proposito, mo vi dico una cosa che forse vi interessa. Vi ricordate che vi ho detto che ‘o prufessore  olandese regalò tutti i suoi libri ai preti derlla chiesa di San Domenico ?-

< >
- Tanti anni fa nelcimitero della chiesasi entravaattraverso una costruzione che si trova dentro al chiostro. Allora si poteva scendere, ma mo è chiuso. Io stessa ci scendevo spesso e una volta arrivai fino in fondo e vedette che nci steve ua porta chiusa. Così guardai attraversoil buco della mascatura[17]e sapete che vedette ? File enormi di libri vecchi più di me ! Ma file e file ! File de ccà, file de là, file ‘ncopp’’a file che non ci steva più spazio. E sapite che vi dico ? Il libro che cercate si trova là in mezzo. E’ sicuro perchè in casa del professore manco un libro rimanette.-
E come si potrebbe verificare ?-
- Beh, ve l’agio ditto, il cimitero è chiuso da tanti anni…-
E dove si trova la necropoli ?-
No, necri non ce ne stanno…-
La necropoli…il cimitero.-
- Ah, è facile ! Voi appena entrate nellachiesa vi trovate nel corridoio centrale. Vi bagnate la mano nel « fattapposto. »
Voilete dire l’acquasantiera…-
Si, e vi fate la croce …E non vi scordate ! Perchè se entrate in casa di Gesù senza fare la croce è come si trasisseve dit’’acasa ‘e qualcheduno senza salutare. Mo tenete presente che ‘ncopp’’a ‘sta mana ccà (indica la sua destra) ci sta un altro corridoio. Voi fatelo. Non appena vi incammnate ci sta una porticina…-
< >
No. Appicciate[18] ‘na candela a quell’altare e proseguite. Dopo pochi passi trovate un altro altare con un’altra porticina…-
Qua entro…-
Nonsignore ! Appicciate un’altra candela. Dopo pochi passi trovate un altro altare e un’altra porticina…-
- Appiccio un’altra candela…-
Nonzignore ! Qua entrate, però prima appicciate un’altgra candela,-
Ho perso il conto delle candele !-
Attraversate la porticina e vi trovate nel chiostro. Guardate che al centro del chiostro ci sta un samuloseo…musasoleo…-
< >
Esatto. Da questo masu…samu…da questo posto si scende nel cimitero e poi, in fondosi va alla porta che vi ho detto prima. Vabuo’ mo vi lascio alle vostre cose. Ah, se avete bisogno di San Pantaleone ricordatevi che dovete fargli la novena..-
La novena ? –
< > per tre notti dovete  pregare San Pantaleone. Però ve ne dovete stare chiuso solo solo in camera da letto. ‘A terza notte,  appreparatevi sul cassettone o sul comodino carta e penna: alle  dodici in punto il Santo verrà in persona.     Dovete sapere che il Santo passerà non dalla porta ma dalla finestra, perchè è un omone grande come un secondo piano di  una casa   anzi, che una volta una donna, dopo averlo pregato, nel vederlo morì dalla paura. –
E come si prega ‘sto santo ? –
- Oh, San Pantaleone, figlio di re, che tanto avete patito, che a Napoli siete nato e che a Roma siete morto, Io vi faccio una preghiera : per la vostra santità, aiutatemi per carità…-

Piazza Dante è una delle piazze più importanti di Napoli. Essa assunse l’attuale struttura verso la metà del 1700 con l’intervento dell’architetto Luigi Vanvitelli[19]sul « Foro Carolino » monumento celebrativo di Carlo III di Borbone.
Il tempio e l’annessso convento di San Domenico furono eretti grazie a una donazione fatta dalla nobildonna Sara Ruffo di Mesurica al domenicano Tommaso Vesti.
Nel 1600 la chiesa, il cui interno è composto da tre navate  e da cappelle laterali, ricevette  un ricco e raffinato arredo barocco. Nel sottosuolo, attraverso il chiostro, si accede ad una necropoli sotterranea luogo di « requiem aeternam »[20]di nobili benefattori.
Quella mattina il racconto della vecchia mi spinse proprio ad entrare  nella chiesa. Restai in silenzio tra l’odore di incenso avendo di lato un Cristo in croce con ai  piedi una Madonna trafitta da sette spade. Mi venne in mente la chiesa di San Pasquale dove si recava a pregare nonna Elisa.  Ricordo la sua vocina nel cantare « Ti salutiamo Vergine colomba tutta pura, nessuna creatura è bella come te… ». Quel canto volava per tutta la chiesa e sembrava una « ninna nanna » dolcissima. Non so quanto tempo rimasi,  dal momento che mi pareva che il tempo si fosse fermato.
Entrai in sagrestia e chiesi informazioni ad un prete circa una loro eventuale biblioteca. Costui mi portò in una stanzetta dove erano custoditi dei libri.
Mentre davo uno sguardo costui disse :

Se avete bisogno di qualcosa chiamatemi pure.-ed andò via. Appena uscì,

io quasi lo seguii e, con l’aria msericordiosa di chi è in preghiera, mi avvicinai pian piano alla porticina di cui mi aveva detto la vecchia.  Entrai in una stanzetta rettangolare su un muro della quale c’era un affresco  che ritraeva il Beato Supplizio i cui resti riposavano in una piccola cripta. La luce penetrava da un finestrino in alto, e proprio sotto di esso si apriva un’altra porticina che dava accesso al chiostro, al centro del quale, così come mi era stato detto, era situato il piccolo mausoleo  tutto lastricato di pietre tombali intorno intorno e fra di esse c’era il sepolcro del fondatore Tommaso Vesti. Il sito era tutto pavimentato con lastre di marmo su ognuna delle quali c’erano raffigurati soggetti mitologici, biblici e astrologici di grande valore culturale e forte impatto emotivo. Al centro si notava il taglio di una botola  ricoperta da una pesante lastra con due grossi anelli ai lati che evidentemente servivono per l’apertura.
 
      Là sotto ci doveva essere di certo la necropoli della quale mi aveva parlato la ecchietta. Infatti sulla lastra di marmo si leggeva : «  Qui sumus eritis, qui                                                                                                                         sunt erant »[21]. Mi guardai intorno con circospezione. Lembi di nubi proiettavano velocemente strisce d’ombra che s’inseguivano  una dietro l’altra. Come avrei potuto aprire da solo quel coperchio così pesante ?  Mi venna allora in mente di San Pantaleone  al quale andava fatta una « novena » per ottenerne i favori. Mi sorpresi a ridere di me stesso per la mistura di fede e riluttanza alla stessa che avevo in me. Una colomba volò via da sotto un portico del chiostro. Una foglia si staccò da un albero ed andò a posarsi oscillando  tra altre che giacevano ingiallite in terra. Pur volendo, a San Pantaleone non sapevo nanche che cosa dire oltre le normali preghiere imparate al catechismo, così guardai il cielo e dissi solo :

Per favore…-neanche fosse un « Apriti Sesamo… ».

Un altro uccello attraversò il chiostro da un punto all’altro. Un prete passò nel giardino battuto dal vento. Un gatto grigio comparve e scomparve in un baleno. Il sole calava dietro i portici. Fu allora che nella penombra di uno di essi  apparve la sagoma di un uomo altissimo  che sporgeva alla rimanentec poca luce entrambi le mani sulle quali, fatto mirabilante, germogliavano rametti di ulivo. Meravigliato per quella apparizione indietreggiai lentamente  e, senza volere, urtai con le spalle su un robusto palo di ferro uncinato a piede di porco.
      L’ombra era sparita, il vento calato, le foglie immobili in terra e le prime ombre serali stavano ormai vincendo la loro battaglia con la luce del giorno. Il tempo certo non scivolava lento  ed il sole andava a fermarsi ormai da qualche altra  parte.
      Avevo sempre avuto paura del buio e della notte essi disegnavano nella mia mente mostri di là da venire, timori ancestrali che, pur senza motivo mortificavano la mia anima ma alimentavano la mia fantasia. Ed. ahimè, solo quando si fece proprio buio pesto mi mossi. Imbracciai il palo di ferro  e, facendo leva, spostai il lastrone di marmo. Lo sforzo fu tremendo perchè il pesante portale era quasi saldato dal tempo all’imboccatura della botola. L’interno era ancora più buio , ma per fortuna avevo il moi cellulare  che era provvisto di torcia elettrica. I pochi scalini attraverso i quali si scendeva nella necropoli erano quasi del tutto dirupati ragion per cui  fare molta attenzione a camminare rasente il muro per non cadere. Già prima di raggiungere la fine della scala si sentiva odore di nulla. Vi chiederete cosa sia questo odore. Ebbene non è un lezzo, neanche un profumo, ma una sensazione dal sapore di passato, di qualcosa che ormai non ha più fine e poco importa che inizio abbia avuto. E in quel sapore di passato mi venne da pensare dove sono ora mia madre, mio padre, mia nonna, mio nonno, la tenera, il semplice, la donna dalla vocina dolce, l’orgoglioso ? Tutti, tutti dormono a « Poggioreale »[22].Una morì di enfisema. Un altro con un ictus, una di polmonite, uno con un cancro. Tutti inseguivano la loro vita…ora tutti dormono su quella collina in un cimitero.Giunto alla fine della scala, la mia lingua non riusciva a pronunciare ciò che si agitava dentro di me. Sul muro di fronte vi era una sorta di macabra composizione : un teschio su due tibie incrociate, il tutto chiuso in una cornice costituita da vertebre umane. Sotto si leggeva : «  Hoc mihi »[23].Ma io chi ? Quasi sicuramente doveva trattarsi  del Vesti al quale fu fatta la donazione per la costruzione del tempio. Era, dunque, una sorta di presentazione. Andando oltre si apriva un lungo corridoio. A destra c’erano delle cellette con delle « cantarelle », cioè delle nicchiette a foggia di sedie con vasi sottoposti sulle quali si metteva seduto il morto in modo tale che attraverso un buco ne scolavano le viscere ed il cadavere si prosciugava. A sinistra c’era, invece, una lunga serie  di nicchie più grandi nelle quali gli scheletri erano posizionati in piedi, ma la cosa più stravagante e macabra era costituita da una grande croce  che, appesa al soffitto grazie a fili di ferro, aveva in ogni suo lato dei candelabri che all’occorrenza servivano  per illuminare. Su di essa appena si leggeva una scritta : « QUI PECCATA NOSTRA TULIT ILLUSTRAM »[24].  Andando avanti si giungeva presso un’altra scala anch’essa mezza dirupata  come quella precedente . Questa scendeva ancora più in basso in un altro sito più ampio  ai cui lati vi erano addirittura sepolcri  costituiti da ossa umane .
In fondo c’era una porta chiusa sulla quale si leggeva « ANTIQUAE UMANE SAPIENTIAE PER HANC PORTAM EXENDE »[25]. Per fortuna acvevo pensato d portarmi dietro il ferro uncinato nel caso avesse potuto ancora servirmi. Infatti con esso scardinai la porta e mi trovai in una sorta di antica bviblioteca monasteriale con centinaia di libri sparsi un po’ dovunque  ed ammuffiti dal tempo. Mi chiesi come mai tanto materiale prezioso potesse essere stato abbandonato là sotto e ridotto in tal modo. Forse per preservarlo dalle tante dominazioni straniere che Napoli averva dovuto subire. Tuttavia quei preziosi testi erano stati dimenticati come i morti di quella necropoli.
 
            Quando cominciai  ad esaminare i volumi dovetti fare attenzione a non invischiarmi in ragnatele e a non essere assalito da « Pesciolini d’argento »[26]. Via via lessi alcuni titoli : « PECCATUM ORIGINALE » 1600 ; « POPULI ELECTI » 1712 ; « ‘µ’ÞπϠԷղլI » (un titolo in ebraico che bnon fui in grado di tradurre) ; « TOPRAK MAREFETI »[27] «DE AGRITITUDINE CURATIONE »1180 ; « Η πανούκλα” (La peste – greco – 1656); “EL BORD DO MUNDO” ( Il bordo del mondo – spagnolo – 1495); «  Sobre os monstros  ademass das columbas de Hercules » ( Galiziano – L’esistenza di mostri oltre le colonne d’ercole -). Infine il mio sguardo cadde su un qualcosa posta poco più in alto. Non era un libro, ma un gruppo di fogli accartocciati ed ingialliti dal tempo nonchè rovinati in parte dall’umidità
«De  paranormal -  eximia in rebus Neapolim  accidit »[28]
 
Dovetti allungarmi quanto più possibile sulle punte dei piedi e, nonostante scuvolassi sul tufo umido, riuscii a a tirar giù quel che poi si rivelò un dattiloscritto.  Era praticamente sepolto tra un cumulo di polvere che mi venne tutta addosso. Pur con qualche difficoltà, riuscii a leggere quel che vi era scritto. Il  testo era steso in latino ed iniziava così : « Multa sunt quae facta est in Neapolis quidam vero egregius et redditum sunt de factis absusus collection abilis qui eas pertus[29].  Si trattava di una serie di racconti avvenuti tra il 1500 e il 1800. Credo che nessuo si sarebbe accorto che m sarei impossessato di quel libro fin’ora ricettacolo di polvere e di insetti. Così  lo avvolsi in un panno e lo portai via per la stessa strada per la quale ero venuto.
 
 
 
[1] L'apertura del Terzo Occhio permette lo sviluppo del sesto senso, l'utilizzo dell'intuizione e la percezione di fenomeni extrasensoriali
[2] Le navi fantasma
 
[3] Il libro dei morti
[4] La male Pasqua
[5] Il giansenismo è una dottrina teologica e filosofica che tentò di modificare il cattolicesimo, elaborata nel XVII secolo da Giansenio (1585-1638),
[6] Il Paranormale – Fatti straordinari accaduti in Napoli ed in Campania.
[7] Grosse pietre laviche rettangolari  usate per la pavimentazione delle strade.
[8] Abitacoli che affacciano direttamente sulla strada generalmente costituiti da una sola stanza.
[9] Il pifferaio magico di Hamelin - Le fiabe dei fratelli Grimm. ... 
[10] Non so che non so quando.
[11] Piombo.
[12] Si raffreddò.
[13] Buttarono in mare.
[14] Lo diedero in pasto ai leoni.
[15] Lo leccarono.
[16] Si seccò
[17] Serratura
[18] Accendete.
[19] Il nome è italianizzato. In realta egli era olandese e si chiamava Luis Van Vitell.
[20] Eterno riposo.
[21] “ Chi siamo sarete, chi fummo siete
[22] Primo cimitero di Napoli.
[23] In latino – questo sono io.
[24] Illuminati da chi tolse i nostri peccati.
[25] Attraverso questa porta si viaggia con antichi elementi di saggezza umana.
[26] Nome che viene comunemente dato agli insetti che vivono nei libri.
[27] In rumeno – I non morti -.
[28] 1800 autore ignoto “Il paranormale  - fatti straordinari capitati a Napoli –“.
[29] Molte sono le cose avvenuta a Napoli. Alcune veramenti eclatanti il cui raconto ci è stato fatto dalle persone che lo hanno realmente vissuto.
 

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