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Invisible Walls/ a proposito di Berlino

Invisible walls di A. Iurilli Duhamel

“ No man is  an  island”, con queste memorabili parole, John Donne  ci metteva in guardia nei confronti di  ignoranza, insensibilità e isolamento: muri  facili da costruire ma fonte  inesauribile di dolore, molto difficile da debellare.

 

Berlino così ferocemente ferita dall’oltraggioso muro nel ventennale  della sua distruzione,  eresse un  maestoso muro grigio in  polistirolo per celebrare l'abbattimento dello storico muro. Il rito  fu fortemente  voluto per dare nuova vita  al mito e per fornire alle nuove generazioni, che potranno distruggerlo  questa volta a mani nude,  il senso di appartenere a qualcosa di più grande, la possibilità di poter dire un giorno, come i loro padri: “C’ero anch’io!”

 

Purtroppo,  a venti anni dalla caduta dell’emblema della divisione fra capitalismo e comunismo,  ben altri sono  i muri della nostra era: Berlino ha rappresentato  il centro della divisione ideologica tra Occidente e Oriente, tra Usa e Urss, tra Nato e Patto di Varsavia,  e la caduta del mitico muro  avrebbe dovuto costituire il suggello che sanciva la fine della Guerra Fredda e la trasformazione dell’umanità in una singola civilizzazione, con maggiori possibilità di sicurezza e benessere per tutti.

 

Il sogno però ha gradualmente rivelato i suoi lati oscuri. Il concetto di ‘unione’  ha ampiamente palesato la sua natura di  slogan,  più che di unione si è  trattato  di una vera e propria colonizzazione. Chi viveva male e di stenti prima della caduta,  continua tuttora a frugare nei bidoni della spazzatura in cerca di qualcosa per sbarcare il lunario; i furbi e gli opportunisti, invece, hanno ovviamente beneficiato di migliori opportunità.

 

La caduta del muro ha senz’altro scongiurato il rischio di una guerra  nucleare, ma la guerra non sembra aver abbandonato il nostro pianeta. La differenza tra ricchi e poveri sembra sia  notevolmente aumentata, e non solo tra il Nord ed il Sud del mondo, ma anche all’interno delle stesse nazioni più ricche.

 

Gli Stati Uniti,  fautori del grande sogno di apertura ed unione, promisero a Gorbachev che non si sarebbero inoltrati nei territori dai quali i Russi erano pronti a ritirarsi, ma le loro postazioni sono nel frattempo aumentate, e  non hanno mai rinunciato alla loro posizione imperialista, al contrario, i loro investimenti militari sono persino più consistenti di quelli risalenti ai tempi della  Guerra Fredda. La strategia militare sembra essere così l’unico strumento per risolvere i conflitti. La Russia ne è uscita devastata, non è riuscita ad integrarsi con l’Europa, grazie all’ingerenza americana che non ha ancora superato l'utile  sindrome della Guerra Fredda. Obama ha sostenuto, nella sua recente visita a Berlino, che i muri devono cadere; sarebbe ora però il caso  di specificare quali sono questi muri.

 

La caduta del mitico muro ha focalizzato  l’attenzione sui più sensibili elementi di divisione tra i veri protagonisti del potere e le silenziose comparse di questo palcoscenico mondiale. Da una parte abbiamo  i dominatori (rappresentati dalle  classi dominanti occidentali maschiliste e di pelle possibilmente chiara) dall’altra, ci sono (a riserva di ossigeno) la natura, le masse,  i più deboli; assieme alle varie categorie  a rischio  di estinzione.

 

Le  barriere tra “Noi”e “Voi”, da  sempre costituiscono la premessa più convincente per giustificare ogni atto di aggressione, guerra e sopraffazione e attualmente  risultano più  vitali che mai,  lasciando intravedere un nuovo tipo di muro, ancora più insidioso di quello fisico smantellato venti anni fa. È un muro fatto di carne, di sangue, di fanatismi politici e religiosi,  di cinismo e  di alienazione; un muro che, in nome di sicurezza, utilitarismo e potere, non si fa scrupolo di scatenare e alimentare guerre più o meno sante, rendendo questo mondo un luogo tutt’altro che sicuro.

 

L’umanità, ha lasciato la caverna ed  ha cominciato a costruire muri; ma nella caverna, come all’interno dei suoi muri,  l’uomo vede solo l’ombra di sé e di quanto lo circonda. La mancanza di contatto  con la realtà lo fa vivere in un cronico stato di paura. Abbiamo ereditato un sistema culturale creato migliaia d’anni fa, basato sull’ignoranza delle masse. Persino l’avvento della stampa non ha modificato di molto la tendenza dei più a non volere o poter vedere oltre le apparenze.  Hitler soleva dire che  “l’ignoranza della gente è  la più gran fortuna di chi sta  al potere !” Non ci si rende conto che le antiche divisioni, di razza, religione, sesso, sono solo muri ideologici; in realtà  a governare sono le plutocrazie, formate da quei gruppi finanziari che con i loro ingenti capitali ed il controllo sui media riescono ad influenzare la politica dei loro governi.

 

Il muro è caduto ma  gli esseri umani non sono più liberi;  hanno solo cambiato la marca delle loro catene. Oggi come ieri sono schiavi dei loro istinti e delle loro paure, ma soprattutto della loro ignoranza; il che li rende da sempre facili prede  di venditori di illusioni  senza scrupoli.

 

Nel frattempo il disaccordo è divenuto il modo di esistere più comune. A questo punto la  conflittualità sociale è giunta ad un tale punto  di confusione, che è sempre più difficile definire le parti in gioco. Le antiche formule sociali e politiche, di cui ci siamo avvalsi in passato per definire gli antagonismi, diventano sempre più difficili da decifrare. Le donne quanto gli uomini, sebbene abbiano almeno in apparenza conquistato maggiore benessere e libertà, non si sentono più liberi di ieri; entrambi i sessi vivono incessantemente una lotta senza sosta, solo in parte consapevoli  ma in larga parte inconsapevoli con sé stessi.

 

La lotta interiore pone l’uomo in uno stato di prigionia in quanto la lotta richiede tensione, e la tensione una volta cronicizzata imprigiona l’uomo in una capsula che lo rende rigido e insensibile.

 

La cultura che abbiamo ereditato è fondata sulla meticolosa e inesorabile divisione tra testa e corpo, raziocinio e sentimento, funzioni materiali ed esperienza spirituale, scienza e magia, medicina e conoscenza dei rimedi naturali, sessualità e sacralità, arte e mestiere, lingua e poesia, e questo ci ha consegnato  nel corso dei secoli una conoscenza maggiore, astratta e meccanicistica, saldamente racchiusa nelle mani di élite privilegiate, organizzate in professioni, gerarchie e classi.

 

Anche  la vita è stata divisa in categorie di maggiore o minore valore. In questa gerarchizzazione e suddivisione la natura e i più deboli hanno avuto la peggio. Il progressivo saccheggio della natura, e la progressiva identificazione con valori  legati alla supremazia del potere, hanno ormai condotto il nostro pianeta  ed i nostri corpi sull’orlo del collasso del proprio sistema immunitario; questo in nome della tecnologia, dell’utilitarismo economico, del dominio. Assistiamo insensibili e muti alla perdita del nostro stato di grazia originale, del nostro modo naturale di essere.

 

È cambiata la forma ma la sostanza rimane; tuttavia la crisi  dell’economia globale che ci ha investito, sta rivelando i suoi punti deboli in quanto lo sviluppo si è basato sullo sfruttamento ad oltranza delle risorse. Risulterebbe allora opportuno una serie riflessioni su alcune necessarie ed improcrastinabili riforme per evitare che la nostra cultura rallenti la sua pazza corsa verso la costituzione di  un mondo di schiavi  soggetti a padroni sempre più spesso  senza faccia  e senza nome.

 

Nel frattempo a Berlino i ragazzi giocano a smantellare il nuovo muro semplicemente con le unghie; mentre i giochi  (quelli seri) si svolgono da un’altra parte.

 

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