In una cultura ancora strettamente legata alla vita dell’anima e del corpo, la fine e l’inizio dell’anno si acompagnavano a miti e rituali strettamente legati al mistero della morte e della rinascita.
Il vecchio uomo e il nuovo bimbo, hanno spesso rappresentato le metafore preferenziali di questo evento; i nostri antenati sapevano istintivamente, che la senescenza era una preziosa e fondamentale tappa della nostra vita, e non si riferiva esclusivamente all’età biologica, bensì al compimento di un ciclo.
I primi cicli riconosciuti dall’umanità sono stati quelli del Sole, della Luna, della donna, delle stagioni, dei sentimenti, dei rapporti. La sacralità della ciclicità naturale era rispettata e venerata, e non vi era niente di più sacro del giusto tempo e del giusto ritmo e secondo quest’ottica il volgere alla fine del ciclo annuale solare era ben altro che una mera occasione consumistica e di evasione a cui ci siamo abituati.
Nell’antichità avevamo Dioniso, nato dopo il solstizio invernale, quando il buio raggiunge la sua massima oscurità dando inizio a un nuovo ciclo di luce che solleva il misterioso velo delle tenebre. Il bimbo nuovo, il capodanno, era la nuova alba, la nuova vita: Dioniso neonato, era ancora lontano dall’idea depravata, assunta in seguito nell’immaginario collettivo, di un dio ubriaco e licenzioso intossicato dall’alcol. In raffigurazioni più arcaiche aveva i caratteri di un gioioso neonato bisognoso della saggezza degli anziani, e spesso il compito era assolto dal vecchio Sileno.
I nostri antenati erano ben consci che l’umanità ha bisogno ha di entrambi gli stati di coscienza per raggiungere la propria pienezza creativa e la propria evoluzione spirituale, proprio come un qualsiasi fenomeno naturale, il vecchio ha sempre bisogno di fondersi con il nuovo.
La psiche delle persone è soggetta a rinnovamento quanto lo è il corpo, a prescindere dagli anni vissuti, l’archetipo fanciullo rimane presente e ha bisogno di tutte le dovute attenzioni, ma in modo positivo senza stravolgere la realtà come invece è più facile osservare ai giorni nostri, dove la disperata predominanza di uno stato puerile portato avanti a tutti i costi, s’impone a discapito del raggiungimento di un’equilibrata maturazione e di una piena umanità.
Una volta a Capodanno si soleva rispolverare il vecchio, i ricordi accomunando il “senex” con il “puer”, per riunire questi fondamentali aspetti della psiche e della natura umana che spesso non vanno d’accordo e si ritrovano a confronto, nemici e incapaci di fondersi.
Il bisogno di pienezza ha purtroppo coinvolto solo gli aspetti più materiali e superficiali dell’esistenza, le qualità del vecchio sono state sempre più spesso interpretate in termini negativi e antagonistici rispetto a quelle del nuovo. Di ben altro avviso erano i nostri antenati, che del vecchio e degli anziani avevano tutt'altra opinione. Culture antiche, presenti in disparate parti del mondo e senza alcun contatto fisico tra loro, ci mostrano tracce di rituali e miti molto simili tra loro, dove la morte di un vecchio ciclo e la nascita del nuovo sono molto spesso accompagnati da rituali di guarigione e di fusione attraverso la forza del cuore.
Il passaggio rappresenta un momento di grande vulnerabilità, ogni transizione vede la morte di certi aspetti, la nascita di nuovi e la necessità di mantenere forte e vivo un filo di connessione. In Laos la dea del Vecchio Anno va via l’ultimo giorno lasciando per un intero giorno le persone prive di protezione fino all’insediamento della dea dell’Anno Nuovo. In Marocco ad Asura esiste tuttora la tradizione di seppellire il vecchio Baba Aisor che rappresenta il vecchio anno. In Ecuador invece, sono si costruiscono effigi dell ” Año Viejo” servendosi di vecchi abiti imbottititi di paglia alla quale poi si brucerà lo scoccare della mezzanotte.
A proposito della necessità di sbarazzarsi del vecchio; noi italiani siamo famosi per le cose che buttiamo dalla finestra nella notte dell’ultimo dell’anno. In America molti indigeni del nord e del sud usano spegnere i vecchi fuochi i e ritualizzano l’accensione di nuovi focolari.
In Tailandia a Songkran, gli uccelli del Nuovo Anno sono liberati dalle loro gabbie e volano liberi e bocce contenenti pesci sono svuotate nei fiumi e nei laghi: in Giappone tutti i debiti sono pagati.
Nella tradizione nordica occidentale il vecchio padre Tempo con falce, clessidra e foglietti strappati dal vecchio calendario lascia il posto al bimbo neonato. Un po’ dappertutto nel mondo le case sono pulite in modo particolare e i vialetti di accesso impeccabilmente puliti da foglie, neve e quant’altro. Nella vecchia Inghilterra si procedeva all’annuale pulizia di tutte le canne fumarie.
In generale un po’ ovunque il nuovo anno è accolto rumorosamente quasi a voler scacciare spiriti inopportuni, gli Ebrei per esempio fanno suonare il corno a tal punto da fa tremare i muri della città di Gerico. In Cina sono innumerevoli i falò improvvisati per strada. In America uomini sbronzi si arrampicano sul tetto della casa e sparano in cielo con le loro armi, la cosa sembra comune anche a Napoli.
Sciamani tibetani compiono esorcismi indossando maschere demoniache e percuotono tamburi dalle sembianze di teschi. Una sorta di danza macabra che pone l’accento sull’aspetto rituale di morte. in Giappone alla viglia di Capodanno un gong suona 108 volte per purificare le 108 debolezze umane descritte da Budda.
Sebbene oggi si sia i condizionati da modi di vita più superficiali e consumistici e sempre meno naturali , il passaggio è tuttora accompagnato da desideri e speranza di cambiamento, il problema è che puntualmente non si sa da dove cominciare, lo si cerca al di fuori di noi ignorando che ogni sostanziale cambiamento, non può che partire da noi e dal modo di percepire intimamente noi stessi.
- Blog di Antonella Iurilli Duhamel
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