Scritto da © max pagani - Lun, 03/01/2011 - 10:10
Era una forma rara di emangioma, che sin da adolescente lo aveva afflitto e che sin da subito gli aveva fatto capire che la sua vita non sarebbe stata per nulla facile. Il suo compagno di sventura era un tumore benigno che comportava un’anormale proliferazione di strutture vascolari, una sorta di eruzione di tessuti molli che negli anni gli aveva alterato completamente la parte destra del viso.
Alterato era un termine che molto elegantemente descriveva la mostruosità che stava ancora crescendo sul viso del povero Martin Double-face, un ammasso di escrescenze che i medici a stento riuscivano a tenere sotto controllo. Double-face in quell’anno aveva 30 anni, aveva una incontenibile voglia di compagnia, aveva un lato A guardabile e delicato, ed un lato B orribile e martoriato. In quell’anno aveva capito che non poteva vivere la vita di lato, non era un graffito egizio: purtroppo la vita, per tutti e per Martin, era in tre dimensioni. Occorreva farsene una ragione.
In onore alla famosa legge che regola l’universo, ovvero "nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma", la natura aveva pensato bene di mutuare in arte tutto ciò che dall’estetica e dalla salute aveva sfilato al povero Martin D-F. Gli aveva regalato il dono di poter dare vita a forme perfette di tutte le creature conosciute sulla nostra terra. Lavorava legno, marmo, creta, ghiaccio, ogni materiale della terra era nelle sue mani la migliore materia prima per plasmare e modellare ogni forma di vita esistente intorno a noi. La particolarità dell’arte di Martin, l’aspetto che ancor più metteva in risalto l’estro artistico di chiara natura schizoide, era che non riusciva a dare forma a nulla che non fosse vivo.
Rappresentare o scolpire una ruota, per esempio, per lui era impossibile. Un bambino di cinque anni avrebbe fatto meglio.
Quando conobbi Martin, un paio di anni prima del fatto che di seguito andrò a narrare, rimasi sconcertato dalla magnificenza del suo saper scolpire il duro e giocare con il morbido. Vederlo al lavoro dal lato A ti lasciava un profondo senso di irrequietezza, disagio, coinvolgimento, passione e rimescolio del sangue. Meglio di così, non riesco a spiegarlo. Vederlo al lavoro dal lato B, metteva anche un’idea di profonda paura.
Io drogato di arte, lui drogato di sostanze di vario tipo, diventammo comunque una specie di amici, un perfetto connubio di Do ut des: io prendevo organizzavo e vendevo le sue sculture, lui mi usava come contenitore dei suoi malesseri, riversava in me tutto il suo mondo distorto ed alterato, sempre e costantemente, tanto che arrivai a pensare che un giorno avremmo condiviso anche il mostruoso angioma. Grazie a Dio non capitò mai.
Forse capitò di peggio.
Mi disse che gli mancava una donna nella sua vita. Gli dissi che una donna nella sua vita non l’avrebbe mai avuta, e forse nel peggiore dei casi, anche un uomo. Era il caso che si rassegnasse, che l’amore aveva sempre la calda copertina dell’estetica ad avvolgerlo. Fui diretto e cinico, ma avevo bisogno che non mi cadesse in profonde depressioni. Mi disse che avevo ragione, io gli ricordai che se voleva, la calda copertina dell’estetica poteva essere sfilata via a suon di bigliettoni.
L’amore a pagamento per un po’ di tempo lo tenne sereno. Ma lui voleva la sua donna, sua, e gratis.
Iniziò cosi a modellare con la creta quella che per sempre io ricorderò come la creatura più affascinate, perfetta e sconvolgentemente sexy che abbia mai visto in vita mia, che fosse viva, dipinta o di creta. La posa era delicata, semidistesa su un divano, sembrava non avesse peso.
Io ero rapito, lui, era chiaramente innamorato.
-Le manca solo l’anima.- dissi.
-Gliela troverò.- disse.
Non ho mai pensato che potesse essere stato Martin la causa del decesso, da lì a pochi giorni, della ragazza trovata nelle vicinanze della sua proprietà. La trovarono adagiata sull’erba,con vicino un panino mangiato a metà, quasi a sfamare una vita vissuta a metà. Fu probabilmente il cuore malato, seppi in seguito, ad avere stroncato senza preavviso la vita della malcapitata. Ma rimangono ancora nella testa, e non trovano via d’uscita, le parole che il mio amico medico mi riferì in relazione al caso:
-Sai, io di morti ne ho visti molti, di ogni tipo. Seviziati, esplosi, martoriati, o semplicemente morti per morte naturale. Credimi, quella ragazza anche se morta da poco, anche se ancora perfetta, con la pelle ancora liscia e rosea… quella era la persona più morta che io abbia mai visto in vita mia. Morta di una morte che svuota. Morta come se non avesse mai conosciuto la vita.-
“Morta come se mai avesse conosciuto vita”, riferii a Martin.
“Viva come se mai avesse conosciuto Creta”, mi rispose lui.
E lei, la Dea, era li, lasciva, che si lasciava rimirare. Troppo bella, per far percepire all’osservatore che aveva cambiato posizione. Le gambe, erano più delicatamente divaricate.
Quel giorno rimasi turbato (eccitato). Martin era un’altra persona, Martin viveva il suo lato A. Il suo lato B, quello che gli dava e mi dava da vivere, non stava producendo più. Lei, la Dea, era diventata la sua succhia-arte, e Dio sa cosa altro gli succhiasse via.
Da quel giorno smisi di frequentarlo, troppo spaventato dal suo atteggiamento (sguardo) e troppo rammaricato per il decadimento di tutto l’aspetto commerciale che da labile collante faceva alla nostra ancor più labile amicizia. In giro si diceva che Martin Double-Face era sbocciato, era emerso, era l’evoluzione del suo lato migliore, come se A avesse preso il sopravvento, avesse aggredito e ucciso il mostro aggrappato al vicino B. In giro di diceva che forse aveva trovato da scopare, ma in giro si diceva anche che mi stava cercando, che voleva parlarmi e che aveva bisogno di aiuto.
In giro dissi che gli avrei fatto visita di lì a breve.
Martin non mi lasciò il tempo di lì a breve, e mi venne a prelevare direttamente nel paese poco distante dove avevo appena comprato un nuovo alloggio. Per lui, arrivare sino a lì, era un evidente segnale dell’importanza e dell'urgenza di risolvere qualcosa che lo stava affliggendo.
Mi trascinò sino a casa sua, attraversammo velocemente corridoi e camere, sino ad arrivare davanti alla porta del suo studio. La porta era aperta, l’odore era di sesso carne e creta. E potei vedere.
La paura lo sapete, fa brutti scherzi. Mi trovai a pisciarmi sotto e forse non solo a pisciarmi.
Lei, la Dea della bellezza, era stata adagiata su un letto (un matrimoniale nuovo, apposta per loro), era nuda, aveva un ventre enorme e le gambe divaricate. Qualcosa di appena percettibile stava uscendo dalla vagina dilatata.
-Diventerò padre- mi disse, -Aiutami a farla partorire-.
Fine
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