Scritto da © Hjeronimus - Mer, 05/10/2011 - 12:46
Oggi tutti i media straparlano di Amanda e dell’omicio-non-omicidio che ha-non ha commesso. Stupefacente l’eco internazionale del “Noir”, con tutti o quasi i media americani accesi su Perugia (ove la storia si è svolta) e tutti gli americani appiccicati sopra come tifosi di un club. Un club innocentista che si è sperperato con tutta la potenza della superpotenza per corroborare la propria tesi. Il che ha magari interferito sulle coscienze di chi doveva giudicare.
Non me n’è mai calato un fico secco di questa immondizia e considero, non la cronaca, ma l’enfasi che ci s’imbastisce sopra una sorta di palliativo, un correlato scremato e inerte (per esempio, per la politica) della gravità che attanaglia il nostro mondo, il nostro modo di vivere. Ma Amanda è americana e questo cambia tutte le carte in tavola. In breve, Amanda, l’americana venticinquenne, è accusata di aver ammazzato la coetanea Meredith, inglesina, ambedue studentesse, 4 anni fa. Si scatena il circo dell’informazione-spettacolo, con TV e testate giornalistiche abbarbicate sulle protagoniste ventiquattrore al giorno. Su Amanda, fattispecie (non sul suo complice italiano), condannata in prima istanza a più di vent’anni e assolta in appello ieri l’altro.
Nun ce ne po’ fregà de meno, resto tuttavia imbambolato davanti al tifo surrealista degli Americani, “trapiantati” nelle TV ed esultanti fino alle lacrime per l’assoluzione. Con la morale di prammatica, cioè che la morale degli Americani,. al solito, vale solo per loro. Gli Americani sono sempre innocenti¸ gli altri casomai e all’uopo, colpevoli.
Il carrozzone inaffidabile della giustizia italiana è stato, giustamente se vogliamo, avvolto nel sospetto e fino all’ultimo gli Americani ne hanno dubitato, giudicandolo anacronistico, anzi pressoché barbarico (salvo poi accorgersi delle garanzie che esso, al contrario della legge made in USA, prevede), e quindi nemico: è sempre un nemico chi giudica un delitto USA, perché Amanda è innocente essendo americana. Si entra nel dettaglio, si giudicano le prove a carico troppo inconsistenti, la pressione della polizia troppo violenta e ingiusta con una bella ragazza bianca e americana. Già, vero: le prove a carico sono deboli- ma sono prove. La polizia italiana pullula di soprusi e di iniquità, sicuro, ma il sopruso più ingiusto è quello perpetrato contro la povera inglesina, sgozzata come un maiale. Fa niente. E gli Americani sempre e comunque incollati al principio di “pensare alle vittime dei delitti”, specie in occasione della giustizia sommaria colà praticata anche quando (è il caso dell’ultima esecuzione) vengono presentate prove certe a discarico dell’accusato (ma quello era un nero e l’equazione si rovescia: bianca-bella-innocente, nero-colpevole); eccoli entusiasti partigiani dell’ambigua Amanda, e totali immemori del loro sbandierato principio. Che vale solo per gli altri… già, come l’altro altrettanto sbandierato principio del liberismo: vale solo a senso unico, verso gli interessi americani e mai viceversa (vedi banche svizzere negli USA, giudicate e condannate: il gioco sporco è consentito solo a loro).
Quanto alla inconsistenza delle famose prove a carico, bastano due o tre nomi di cose per redarguire gli yenkees: Guantanamo; le armi di distruzione di massa irachene…
A risultanza di tutto ciò, bisogna dire che la “massa” statunitense, quella che ne plasma l’opinione pubblica, nel suo bambinismo, poetico se vogliamo, ma brutale e spicciolo in tale brutalità, è parziale, iniqua, miope nel giudizio, sino a delineare un gigantesco pre-giudizio su se stessa che, appunto, ne pregiudica il destino storico. Così, mentre di per sé il mondo americano si (pre-)giudica maestro di democrazia e grande potenza morale del contemporaneo, come quando mette sotto accusa gli stati-canaglia, o quelli più o meno autoritari, come Cina e Russia (e Dio sa se hanno ragione!), quel destino li sottoporrà al suo equanime e inappellabile verdetto: gli USA furono uno stato para-fascista, una democrazia neanche incompiuta, ma sbagliata, pre-civile, ove la giustizia era amministrata sulla base del “capriccio” localistico o populista di tempo e luogo e dove i principi etici fondamentali venivano sistematicamente piegati alle occorrenze e alle convenienze particolari.
Non me n’è mai calato un fico secco di questa immondizia e considero, non la cronaca, ma l’enfasi che ci s’imbastisce sopra una sorta di palliativo, un correlato scremato e inerte (per esempio, per la politica) della gravità che attanaglia il nostro mondo, il nostro modo di vivere. Ma Amanda è americana e questo cambia tutte le carte in tavola. In breve, Amanda, l’americana venticinquenne, è accusata di aver ammazzato la coetanea Meredith, inglesina, ambedue studentesse, 4 anni fa. Si scatena il circo dell’informazione-spettacolo, con TV e testate giornalistiche abbarbicate sulle protagoniste ventiquattrore al giorno. Su Amanda, fattispecie (non sul suo complice italiano), condannata in prima istanza a più di vent’anni e assolta in appello ieri l’altro.
Nun ce ne po’ fregà de meno, resto tuttavia imbambolato davanti al tifo surrealista degli Americani, “trapiantati” nelle TV ed esultanti fino alle lacrime per l’assoluzione. Con la morale di prammatica, cioè che la morale degli Americani,. al solito, vale solo per loro. Gli Americani sono sempre innocenti¸ gli altri casomai e all’uopo, colpevoli.
Il carrozzone inaffidabile della giustizia italiana è stato, giustamente se vogliamo, avvolto nel sospetto e fino all’ultimo gli Americani ne hanno dubitato, giudicandolo anacronistico, anzi pressoché barbarico (salvo poi accorgersi delle garanzie che esso, al contrario della legge made in USA, prevede), e quindi nemico: è sempre un nemico chi giudica un delitto USA, perché Amanda è innocente essendo americana. Si entra nel dettaglio, si giudicano le prove a carico troppo inconsistenti, la pressione della polizia troppo violenta e ingiusta con una bella ragazza bianca e americana. Già, vero: le prove a carico sono deboli- ma sono prove. La polizia italiana pullula di soprusi e di iniquità, sicuro, ma il sopruso più ingiusto è quello perpetrato contro la povera inglesina, sgozzata come un maiale. Fa niente. E gli Americani sempre e comunque incollati al principio di “pensare alle vittime dei delitti”, specie in occasione della giustizia sommaria colà praticata anche quando (è il caso dell’ultima esecuzione) vengono presentate prove certe a discarico dell’accusato (ma quello era un nero e l’equazione si rovescia: bianca-bella-innocente, nero-colpevole); eccoli entusiasti partigiani dell’ambigua Amanda, e totali immemori del loro sbandierato principio. Che vale solo per gli altri… già, come l’altro altrettanto sbandierato principio del liberismo: vale solo a senso unico, verso gli interessi americani e mai viceversa (vedi banche svizzere negli USA, giudicate e condannate: il gioco sporco è consentito solo a loro).
Quanto alla inconsistenza delle famose prove a carico, bastano due o tre nomi di cose per redarguire gli yenkees: Guantanamo; le armi di distruzione di massa irachene…
A risultanza di tutto ciò, bisogna dire che la “massa” statunitense, quella che ne plasma l’opinione pubblica, nel suo bambinismo, poetico se vogliamo, ma brutale e spicciolo in tale brutalità, è parziale, iniqua, miope nel giudizio, sino a delineare un gigantesco pre-giudizio su se stessa che, appunto, ne pregiudica il destino storico. Così, mentre di per sé il mondo americano si (pre-)giudica maestro di democrazia e grande potenza morale del contemporaneo, come quando mette sotto accusa gli stati-canaglia, o quelli più o meno autoritari, come Cina e Russia (e Dio sa se hanno ragione!), quel destino li sottoporrà al suo equanime e inappellabile verdetto: gli USA furono uno stato para-fascista, una democrazia neanche incompiuta, ma sbagliata, pre-civile, ove la giustizia era amministrata sulla base del “capriccio” localistico o populista di tempo e luogo e dove i principi etici fondamentali venivano sistematicamente piegati alle occorrenze e alle convenienze particolari.
Uno Stato, in sostanza, dis-universale.
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