Scritto da © matris - Lun, 07/05/2012 - 23:10
Scola i pasti magri nei lavabi
sacri agli dei annunciati nei flebili orgasmi
notti d’incanti e vesti rotte
migranti i versi di deliri espansi nel barlume,
là, dove il cielo raccoglie il sonno del mare
negletto assente porporato canto
annuisci al dio dei venti e salpi
nel tribolato vanto
il vestito d’una monaca
infuocata accesa ai palpiti
e le ombre arrese alle tombe
giù per le scarpate scivolose
ignorando i rudi nerbi di radici sottomesse
da foglie altolocate, serrate in file appiccicate,
il capitale nell’estivo apparire
sfocava incanto in verdi tonalità
ai poli opposti, intrecci legati al suggello
d’un premio d’amore, la terra.
Garriti e canti, balsami e vinacce d’etiliche donne amate
sbalordite nei postali ed i loro manti appesi
aspettano con l’oro al di sotto, i corpi,
già velati, arrovellati d’orridi sorrisi
incastonati in lamenti sguaiati
e dei parti rigettati nelle catacombe purulente
i ricordi di frizioni, dolori, amori,
desideri nei corpi smaniosi
di rime serrate inamidate accavallate
intrise in purulente ferite accese di rosso ardire,
là, nel fetido barlume d’una nebbia
la melodia d’una melmosa raccapricciante
messa nera, del nero più agguerrito
agli occhi tuoi sognanti
terribili colpi, tuonava.
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