Scritto da © Rinaldo Ambrosia - Sab, 01/03/2014 - 11:12
C'è quell'arco che entra nella figura, che la taglia in diagonale come una traiettoria curva, delineata da una palla da bowling che fugge da uno spazio chiuso.
La figura si avvolge e si srotola su se stessa in un twist privo di sonoro, dal colore vibrante, sanguigno.
Sono brevi tratti di una forma curva, di un Henry Moore dalla massa opulenta negata e dal profilo sterile. Uno schettinare sui solchi di un campo di colore arato. È in quell'abisso corporale – un moto negato – che il dinamismo del dipinto prende vita.
In quei colori di un arcobaleno stemperato che incrociano la forma sottratta a un dipinto di Francis Bacon palpitante di curve ed ebbro di color sangue, riflesso da un frammento algido di uno specchio ghiacciato, iperbole di una vita, nei trascorsi di quelle pieghe orfane di spazi a divenire.
L'affossarsi del tempo nei giorni sfumati è un glissare di colore e di lettere sparpagliate da un vento assente. È una fuga di frammenti del presente, dove il gioco della memoria tace.
Un nichilismo di gesti, nel monolitico stare, dove ogni dinamismo grafico non può che fallire, schiacciato da un dardo, una freccia scoccata nel dipinto, verso quella forma confusa, dal busto amorfo, annegato nel tempo, proverbiale essenza del ritmo dei giorni.