Scritto da © Franca Figliolini - Dom, 13/03/2011 - 11:27
Carissimi, mi viene spesso imputato di scegliere, nelle mie poesie, parole "difficili". In genere io rispondo che non esistono parole difficili, dato che esistono i vocabolari - adesso pure on line e di facile e pratica consultazione.
Questa mia risposta, ve lo assicuro, non vuole essere una provocazione, ma un modo di difendere la ricchezza della lingua dalla banalizzazione imperante: l'unico modo per salvare le parole è usarle (possibilmente in modo appropriato).
Un tempo ci si preoccupava di arricchire il vocabolario dei bambini. Quante parole ho imparato leggendo Topolino! Ricordo - non scherzo - una frase del prof. Pico de Paperis: il lamellibranchio, in California, alligna? Quando la lessi non sapevo nessuno dei nomi e dei verbi in essa contenuti: li imparai così. Adesso ci preoccupiamo di proteggerli dalle "difficoltà", costringendoli ad una eterna lallazione (parola difficile: lallazione [lal-la-zió-ne] s.f. • med. Fase dell'apprendimento linguistico del bambino caratterizzata dal ripetere consonanti e vocali combinate in sillabe).
Poi c'è il probelma di sapere quali siano le parole "difficili". Ora ammetto che "perspicua" possa essere considerata tale. Ma parole come "ambrosia" o "suggere"? Davvero sono difficili? O sono io che vivo fuori dal mondo?
Le ho usate qui:
ci sarà un giorno
in cui verrò a patti
col nostro essere umani e non dei
e troverò ambrosia da suggere
negli sguardi adombrati dalle ciglia
e mortali
che trovano l'infinito nella loro finitezza
nel saper scandire il tempo
lungo una retta che si fa cerchio
[e ciclo
solo quando s'avvolge
col nostro essere umani e non dei
e troverò ambrosia da suggere
negli sguardi adombrati dalle ciglia
e mortali
che trovano l'infinito nella loro finitezza
nel saper scandire il tempo
lungo una retta che si fa cerchio
[e ciclo
solo quando s'avvolge
intorno all'amore
Quanto sopra in senso generale. Per quanto riguarda invece più specificamente la poesia, la critica alle parole difficili o rientra nel quadro sopra descritto, oppure attiene a una concezione, una modalità della poesia contemporanea, quella minimalista. Tutto dev'essere minimo: la narrazione, il linguaggio. Tutto.
Ora, qui lo confesso, io NON VOGLIO fare poesia minimalista. Ambirei che la (mia) poesia cercasse, anelasse, ambisse a, si tendesse verso... oso dirlo? l'infinito. Non parlo dell'infinito trascendente, parlo dell'infinito che è in noi, i nostri buchi neri o le semirette luminose che da noi si dipartono. E se servono parole "difficili" per dirlo, se la parola perspicua (perspicuo [per-spì-cuo] agg. • Facile da capire grazie alla chiarezza e alla precisione con cui è espresso) è una parola "difficile", allora, vivaddio, uso quella.
Nell'esempio citato, ho usato ambrosia perché questa parola contiene in sé l'immortalità (wikipedia: Nella mitologia l'ambrosia (greco: ἀμβροσία) è a volte il cibo, a volte la bevanda degli dei. La parola deriva dal greco a- ("non") e brotos ("mortale") ovvero il cibo o la bevanda degli immortali), cosa che non è per il nettare, probabile sostituto. E di suggere mi piace il suono dato dalla u e dalle due g.
E finisco qui, che non voglio rendermi antipatica :-)
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