< Il mio nome è Ozymandias, re dei re
guardate alle mie opere, o Potenti, e disperate!>
Percy B. Shelley
Pesco nei fondi. Oh no: non fondi d'armadio e di magazzino, bensì dello stomaco. Ne sento il sapore salire in gola ed arrivarmi in bocca.
Vorrei liberarmene ma non posso. Nulla di consistente, niente che sbatta, mi tracimi dai denti, oppure opponga resistenza. Eppure li ho belli africani, i denti.
Prima ancora che imparassimo a scrivere, questi fondi si figurarono nella melma, nella corteccia degli alberi, nelle rocce. S'affossarono negli intrichi di queste come virus in attesa di riprendersi la superficie, da lì spandersi ogni qual volta nell'aria, qual volta ce lo fossimo dimenticati. Volarono, suoni originati dal percuotere, le dita o i palmi, i tronchi cavi degli alberi, o nuvole di fumo innalzatesi come giochi di bambini sulle arenarie; sforzarono, ingrossarono le nostre corde vocali.
Poi, con l'evolverci, li imprimemmo meglio nelle argille, le quali potevano circolare ed essere viste in luoghi ancor più lontani.
Forse i primi furono gli Egizi a specializzarsi, con i loro glifi a metà tra pittogrammi e phonogrammi, (alta scuola i sacerdoti egizi) o forse i medio-orientali- gli ittiti, i babilonesi - esperti del mattone, o forse i cinesi, più ancora a ovest - limite estremo della migrazione -(rame-stagno-bronzo- lacca- il Regno di mezzo) chissà, ma il regno-segno-simbolo di Caino fu raddoppiato invece che seppellito, associandolo incomparabilmente al grido dello scimmione padre rimasto ancora una volta in piedi.
Da cui il verbo divenne, com'era sorte naturale, anche lapide.