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Ricevo e pubblico, perché la risonanza di quanto viene scritto dai vari Autori sul nostro Sito, merita di essere comunque evidenziata. Vi risparmio, come detto nel titolo, ogni commento.
 
Gentilissimo signor Taiovenudo,
Leggendo il vostro bel Rossovenexiano.com ogni mattina, mi è capitato, alcuni giorni orsono, di vedere pubblicata una sua versione della storia della mia città, Mirano,  che Lei ben ricorda ai lettori essersi denominata, una volta, Miràn sur Mer.
Ciò mi ha fatto un enorme piacere per molteplici motivi, perché, in primis, come avrà capito, mi sento miranese fin nel midollo delle ossa, in secondo luogo perché ho casa sulle sponde del canale Taglio, e ciò mi provoca, chissà perché, nel rivolgermi alla sua persona, una certa eccitazione tipo pelle da gallina, ed in terzo luogo, perché sono una bis bis bisnipote dell’unica sartina dell’epoca, del suddetto paese
Per intenderci, quella, così da Lei graziosamente e propriamente citata, che s’inventò lo stemma di questa città. (stavo per dire quella, in quanto, per la verità, ora io abito in periferia, di molto fuori dal Centro, sulle rive del canale Taglio, appunto)
Se mi sento di scriverle è perché, tra le vecchie cose ritrovate in soffitta, appartenute alla mia famiglia, ho reperito in un vecchio baule pieno di cianfrusaglie e ritagli di stoffa, anche un documento manoscritto da questa mia ava, il quale suffragherebbe la sua storia, per cui la stessa non sarebbe poi così campata in aria come a prima vista potrebbe sembrare.
In sostanza, in detto manoscritto (trattasi di un fazzolettino ricamato con bordi in oro zecchino, foglioline verdi quali lettere) la dolce sartina, che di nome faceva Giusy, avrebbe lasciato, a futura memoria, la sua versione dei fatti.
Trascrivo pertanto esattamente ciò che vi si può leggere, riservandomi di scannerizzarlo e, se lei lo ritenesse necessario, inviargliene l’esatta immagine perché possa produrla in caso di contestazione.
“ Me so rota i cojon de sta tera e radicio, me so rota i cojon de Tomaso, (che risulta fosse il marito) me so rota i cojon de la mugnaia. Vojo veder se sti cojon de franzesi la capixe, sta dopia crose.
Due mesi che, co’ a scusa de meterme incinta, e ghe no xe a stason, sto cojon non me tromba”,
Sempre disponibile per lei, mi firmo, sua Consolata.
 

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