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Scappare - John Williams

<< Restarono alzati fino a tardi, finché la prima luce dell'alba non cominciò a strisciare furtiva lungo le finestre. Grace continuò a bere per tutto il tempo, a piccoli sorsi, e mentre la notte si consumava, i tratti del suo viso si rilassavano e lei sembrava sempre più calma e giovane. Parlarono come non riuscivano a parlare da anni.
“Immagino”, disse lei, “di essere rimasta incinta intenzionalmente, anche se in quel momento non lo sapevo. Forse allora non sapevo nemmeno quanto volessi, quanto “dovessi” scappare da qui. Dio sa se ero abbastanza esperta per non restare incinta, a meno che non lo volessi davvero. Tutti quei ragazzi al liceo, e...”, sorrise con malizia al padre, “tu e mamma non lo sapevate, vero?”.
“Suppongo di no”, disse Stoner.
“Mamma mi voleva “popolare”, e... be', lo sono diventata. Ma non aveva importanza, per me. Proprio nessuna”.
“Sapevo che eri infelice”, disse Stoner con difficoltà. “Ma non mi ero mai accorto che... non sapevo...”.
“Neanch'io, credo”, disse lei. “Come avrei potuto? Povero Ed. E' andata molto peggio a lui. L'ho usato, sai. Oh, lui era il padre, certo, ma io l'ho usato. Era un bravo ragazzo, e se n'è sempre vergognato tanto... Non riusciva a sopportarlo. Si è arruolato sei mesi prima del necessario, proprio per scappare via. Sono stata io a ucciderlo, immagino. Era un ragazzo troppo carino, non potevamo piacerci più di tanto”.
Parlarono fino a notte fonda, come vecchi amici. E Stoner alla fine capì che Grace, come gli aveva detto, era quasi felice nella sua disperazione. Avrebbe vissuto serenamente, bevendo sempre un po' di più, anno dopo anno, per stordirsi e non pensare al nulla cui si era ridotta la sua vita. Fu lieto che avesse almeno quello, fu grato che potesse bere.>>
 
(John Williams, "Stoner", postfazione all'edizione italiana di Peter Cameron, trad. di Stefano Tummolini, Roma, Fazi, 2012, pp. 287-88)

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