Processo per eresia | comunicazioni | Rinaldo Ambrosia | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

Login/Registrati

To prevent automated spam submissions leave this field empty.

Commenti

Sostieni il sito

iscrizioni
 
 

Nuovi Autori

  • laprincipessascalza
  • Peppo
  • davide marchese
  • Pio Veforte
  • Gloria Fiorani

Processo per eresia

Convivio in casa Levi, elaborazione grafica dell'autore

L'incendio del Convento di san Zanipòl era stato violento e impetuoso, tale da bruciare l'intero Refettorio, il Dormitorio largo, e il Noviziato del Dormitorio lungo. E nel Refettorio, in quella notte di febbraio del 1571, era bruciata anche la “Cena” dipinta dal Tiziano. La causa dell'incendio era risaputa. Alcuni Tedeschi presenti nei magazzini sotto il dormitorio, essendo ubriachi, accesero accidentalmente il fuoco che rovinò paurosamente in incendio. Il priore del convento, Adriano Alvani, non si perse d'animo. Dopo pochi mesi, grazie a elemosine, oblazioni, e contributi della Serenissima, ordinò la ricostruzione degli edifici rovinati. La tela della “Cena”, per il Refettorio fu affidata al pittore Paolo Cagliari, detto il Veronese.

Lo scrittore Neri Pozza, nel volume “ Le storie Veneziane”, nello splendido racconto “Processo per Eresia”, narra della vicenda che il pittore ebbe a subire dal Tribunale dell'Inquisizione per questo dipinto che, in seguito a questo fatto, da “ Cena del Signore” venne poi chiamato “Convivio in casa Levi”, come specificato sul dipinto medesimo (FECIT D. COVI. MAGNU. LEVI LUCAE CAP. V).

Nel racconto, sovraintendeva ai lavori di ricostruzione degli edifici un confratello settantenne, padre Andrea Buono, che seguiva con perizia e competenza tutti i lavori del cantiere. Ardeva dal desiderio che il Refettorio avesse un'opera degna del quadro di Tiziano andato distrutto.

 

“Seduto da parte, guardava la parete e ci fantasticava con una sorta di pigrizia voluttuosa, nel ricordo del gran quadro di Tiziano; e non voleva far sapere la sua idea nemmeno al proprio confessore. Sentiva il bisogno di vivificare quello spazio bianco, che diventasse sorgente di preghiera per sé e per i confratelli. Supponeva che il priore, così d'acchito, non gli avrebbe passata liscia l'idea di un telero di quella grandezza, dipinto da un artista rinomato. Qualche mese prima aveva scritto segretamente al priore di Monte Bèrico a Vicenza e domandato notizia del Caliari e della 'Cena' che il pittore aveva appena finito in quel Refettorio. Ora sapeva quanto alta e quanto larga; spesa seicento ducati d'oro del doge Tron, una miseria. Doveva supporre che, per lo zio priore, il Caliari avesse praticato un prezzo da parente. Ma padre Buono possedeva, depositata al convento, la propria dote, cui era stata aggiunta l'eredità della famiglia, e questa poteva spendere in gloria a San Domenico protettore di San Zanipòl, fino all'ultimo marchetto.

L'idea, perfezionata giorno per giorno, lo aveva fatto diventare allegro. Girava nell'odor della calce per le stanze imbiancate, la manica lunga dove si affacciavano le nuove porte delle celle, le aule dei Novizi e finiva sempre, governati gli operai, per tornare nel Refettorio. Si era adattato a farne un mezzo magazzino purché il cantiere fosse ordinato, le tavole, i cavalletti, le scale e le travi accatastate in disparte e la sua parete libera. Lì finiva per passare qualche ora del giorno, a sognare la pittura, come stesse per uscire dalle sue mani e dalla sua testa; e quando gli parve arrivato il momento chiamò il Caliari a San Zanipòl per sentirne l'umore.

E tra il pittore e il padre Buono il dialogo c'era stato e anche acceso, da come lo descrive l'autore.

- Una bagatella, eh?- diceva Paolo – un capo da nulla, vorreste, reverendo padre, su 'sto muro che pare el campo San Stefano, con licenza.

- Prima del fogo avevamo la 'Cena' di Tiziano, - rispondeva il frate con voce flebile – ma il maestro è decrepito, oramai gli scolari gli hanno preso la mano. Ho pensato che voi, che avete la gioventù, avreste osato...

- Che cosa devo osar?- rispondeva l'altro un po' stizzito. - Mi doverìa far una pittura, no' partir per la guerra contro il turco. Vogio dir, l'è coragio de un'altra specie, non vi pare?

 

Ma il Veronese accettò la commessa, e la pittura si fece.

All'interno della tela, in questi 13x6 metri scarsi, compaiono personaggi con ricche vesti, secondo la moda veneziana dell'epoca. Soldati, buffoni, pappagalli, un apostolo che si cura i denti con la forchetta, un cane, personaggi non presenti nelle Sacre Scritture, immersi in uno sfondo di architetture palladiane d'invenzione.

In questo racconto, che prende luce nel 1969, Neri Pozza, su una base rigorosamente storica, descrive (dipinge con i tratti della sua scrittura) la figura di Paolo Cagliari, un artista che sostiene la propria libertà creativa, davanti al Tribunale dell'Inquisizione, nel fatidico giorno del 18 luglio del 1573.

 

[…] Inquisitore. Ma che cosa rappresenta il vostro quadro?

Paolo. L'ultima cena di Gesù Cristo, con gli apostoli.

Inquisitore. In questa cena che avete fatto, che cosa significa l'uomo cui esce il sangue dal naso?

Paolo. A un servo, colpito da una botta, è capitato questo accidente.

Inquisitore. E che cosa vogliono dire i due tedeschi armati di lambarda?

Paolo. Reverendo Inquisitor, qui bisogna che dica vinti parole!

Inquisitore. Le dica.

Paolo. Noialtri pittori ci pigliamo le licenze che si pigliano i poeti e i matti. Ho fatto i lambardieri, uno che mangia e l'altro che beve, vicino alla scala. Stanno di guardia; e mi pareva giusto che ci fossero e che un padrone grande e ricco dovesse avere tali servitori. Inquisitore. E quello vestito da buffone, col pappagallo in mano, perché lo avete dipinto? Che effetto fa?

Paolo. Per ornamento della scena.

 

[…] Inquisitore. Ora dite se qualcuno vi ha suggerito, maliziosamente, di dipingere nella cena, tedeschi, buffoni e altre assurdità.

Paolo. Reverendo Inquisitor, io non ho bisogno di suggerimenti. Il quadro era grande, mi son obbligato a dipingerlo tutto secondo il mio estro, come meglio sapevo fare.

Inquisitore. Ma quando dipingete queste cose, siete solito farle intonate al soggetto o veramente seguite la fantasia, senza rispetto dei fatti?

Paolo. Io fazzo le pitture con la considerazione della qual son dotato e che il mio giudizio può capire.

 

L'autore, Neri Pozza, in “Storie Veneziane”, su una rigorosa ricostruzione storica e con grande libertà d'inventiva, così si misura con l'anima dei grandi Maestri del passato.

 

 

 

Cerca nel sito

Cerca per...

Sono con noi

Ci sono attualmente 1 utente e 4003 visitatori collegati.

Utenti on-line

  • yannelle