Scritto da © Ezio Falcomer - Ven, 23/12/2016 - 06:11
<< Un gruppo di ragazzini ciondolava per i corridoi dell’Adas Israel ridendo, spingendosi, sangue che galoppava da cervelli immaturi a genitali immaturi e ritorno in quel gioco a somma zero che è la pubertà.
“Oh, sul serio” disse uno, con la seconda s che gli s’impicciava nell’apparecchio per i denti. “L’unico vantaggio dei pompini è che ci guadagni una sega umida.”
“Parole sante.”
“Per il resto è come scoparsi un bicchiere d’acqua con i denti.”
“Che non ha senso” disse uno dalla testa rossa a cui metteva ancora i brividi pensare a cose come l’epilogo di “Harry Potter e i Doni della Morte”.
“Nichilista.”
Se Dio esisteva e giudicava, avrebbe perdonato tutto a questi ragazzini, sapendo che dentro di loro erano alla mercé di forze esterne a loro e che anch’essi erano fatti a Sua immagine e somiglianza.
Silenzio mentre rallentavano per guardare Margot Wasserman che beveva a una fontanella. Si diceva che i suoi genitori parcheggiassero due macchine fuori dal loro garage da tre posti perché ne avevano cinque. Si diceva che il suo Pomerania avesse ancora le balle, e che balle.
“Porca miseria, quanto vorrei essere quella fontanellla” disse un argazzo il cui nome ebraico era Peretz-Yitzchak.
“Io vorrei essere la parte mancante di quel tanga aperto.”
“Io vorrei riempirmi il cazzo di mercurio.”
Pausa.
“E questo che diavolo vuol dire?”
“Sai” disse Marty Cohen-Rosenbaum, nato Chaim ben Kalman, “come… trasformare il cazzo in un termometro.”
“Facendogli mangiare sushi?”
“O iniettandolo. O quel che è. Insomma, ci siamo capiti.”
Quattro scuotimenti di testa, con sincronicità involontaria, come spettatori di ping-pong.
In un sussurro: “Per metterglielo nel culo”.>>
(Jonathan Safran Foer, “Eccomi”, trad. di Irene Abigail Piccinini, Milano, Guanda, 2016, pp. 10-11)
“Oh, sul serio” disse uno, con la seconda s che gli s’impicciava nell’apparecchio per i denti. “L’unico vantaggio dei pompini è che ci guadagni una sega umida.”
“Parole sante.”
“Per il resto è come scoparsi un bicchiere d’acqua con i denti.”
“Che non ha senso” disse uno dalla testa rossa a cui metteva ancora i brividi pensare a cose come l’epilogo di “Harry Potter e i Doni della Morte”.
“Nichilista.”
Se Dio esisteva e giudicava, avrebbe perdonato tutto a questi ragazzini, sapendo che dentro di loro erano alla mercé di forze esterne a loro e che anch’essi erano fatti a Sua immagine e somiglianza.
Silenzio mentre rallentavano per guardare Margot Wasserman che beveva a una fontanella. Si diceva che i suoi genitori parcheggiassero due macchine fuori dal loro garage da tre posti perché ne avevano cinque. Si diceva che il suo Pomerania avesse ancora le balle, e che balle.
“Porca miseria, quanto vorrei essere quella fontanellla” disse un argazzo il cui nome ebraico era Peretz-Yitzchak.
“Io vorrei essere la parte mancante di quel tanga aperto.”
“Io vorrei riempirmi il cazzo di mercurio.”
Pausa.
“E questo che diavolo vuol dire?”
“Sai” disse Marty Cohen-Rosenbaum, nato Chaim ben Kalman, “come… trasformare il cazzo in un termometro.”
“Facendogli mangiare sushi?”
“O iniettandolo. O quel che è. Insomma, ci siamo capiti.”
Quattro scuotimenti di testa, con sincronicità involontaria, come spettatori di ping-pong.
In un sussurro: “Per metterglielo nel culo”.>>
(Jonathan Safran Foer, “Eccomi”, trad. di Irene Abigail Piccinini, Milano, Guanda, 2016, pp. 10-11)