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Devi sparare sempre per primo - Bruno Zanin

DEVI SPARARE SEMPRE PER PRIMO, ALTRIMENTI E' L'ALTRO CHE TI AMMAZZA. GUERRA E MORTE DI HEINZ IL MERCENARIO - da Bruno Zanin
 
 
<< (12-07-1993). - Per Heinz Stefan Wiesenack, tedesco di 28 anni, detto "Heinz il biondo", di professione mercenario, non e' stato difficile diventare una leggenda in Bosnia. Con la sua statura da gigante, la mitragliatrice sempre accanto, temerario negli assalti contro i cetnici, era per tutti un eroe. Ma non era un mercenario come gli altri. La sera di sabato 5 giugno, in un bar di Srebrenica, una pallottola di piccolo calibro gli ha perforato la tempia uccidendolo sul colpo. La mano che impugnava la pistola era la sua. Heinz con questo gesto ha regolato i conti con il suo passato.
Soldato al soldo dell' Hvo, l' esercito croato di Bosnia, da piu' di un anno combatteva con un gruppo di dodici soldati di ventura tutti stranieri nell' area di Brcko e Gradacac, tra le piu' calde della Bosnia. Li comandava un certo Gaston, detto il francese. Poi il gruppo si era sciolto. Alcuni erano caduti in combattimento, altri, feriti, avevano fatto ritorno in patria. La loro avventura in Bosnia era finita. Heinz era rimasto, anche se da un mese non andava piu' al fronte. Un sentimento di cameratismo lo legava ai giovani soldati musulmani e croati con cui aveva combattuto. Era il loro mito. La sera del 24 maggio ero a Srebrenica cittadina di retrovia a 20 chilometri dal fronte. Li' c' e' sempre un gran traffico, e' frequentata dai soldati che ritornano in licenza dal fronte. Prospera la borsa nera. I bar sono aperti.
A Srebrenica dovevo rintracciare alcuni autisti musulmani per organizzare un convoglio: le strade dopo due mesi sembravano sicure. Al bar Metropolitan, seduto fuori con un gruppo di soldati, c' era Heinz. Ha attirato subito la mia attenzione. Nei luoghi dove il tempo e' sospeso e dove ogni ora e' rubata, e' facile diventare presto amici senza tante formalita' , soprattutto con i soldati, tanto piu' se vicino c' e' una bottiglia di Sljivovica (la grappa di prugne). Vengo invitato a sedermi e a bere, ci presentiamo. La Legione straniera Era nato a Dresda. Aveva avuto qualche guaio durante il servizio militare nella Rdt. Uno sgarbo a un superiore gli era costato mesi di prigione. Con un amico era fuggito all' Ovest, ma la liberta' si era rivelata amara: cattive le compagnie, false le ragazze, facili i debiti e molte le ore passate nei bar.
Si era arruolato nella Legione straniera in Francia, poi mercenario al servizio di una "agenzia privata" con sede in Svizzera, o almeno da li' arrivavano i soldi. Aveva combattuto nel Kuwait, nel Nagorni Karabakh stava con i musulmani, poi se ne era andato in Thailandia e li' aveva conosciuto un avventuriero francese: Gaston. Ne era nata una grande amicizia. Poi era scoppiata la guerra in Croazia e in Bosnia. Era stato Gaston a convincerlo a combattere nei Balcani. Rimaniamo a bere e chiacchierare fino a tardi. Ci alziamo dal tavolo un po' barcollanti e per la prima volta lo vedo in piedi: immenso. Una pacca sulla spalla e ci salutiamo dandoci appuntamento per il giorno dopo: Heinz mi ha promesso un' intervista video in cambio di una telefonata in Germania con il mio radiotelefono.
L' intesa e' per mezzogiorno, devo andare io a prenderlo. Ritorno a Gradacac, una delle citta' della Bosnia sulle quali i serbi si sono maggiormente accaniti perche' per loro e' una spina nel fianco. Ma i musulmani si difendono con i denti. Al mattino seguente, all' ora stabilita, mi presento al bar. Un caffe' , un paio di bicchieri, qualche sigaretta, ad Heinz tornano la voce e il sorriso. Ma c' e' una gran pena dentro di lui: tiene la testa appoggiata al cavo della mano e fuma. Lo sguardo fisso lontano a contemplare forse un naufragio: il suo. Saliamo sulla jeep, andiamo a casa mia. Abito a Buk, su una collina che domina Gradacac. Quando bombardano la citta' , da casa mia vedo il fumo salire dalle case colpite. Al primo piano ho l' uffico, dove ho gia' sistemato la telecamera. Lui e' interessato al telefono, fa il numero, prende la linea. E' con una donna che sta parlando. Una lunga conversazione. Poi comincio con le domande. Del padre inutile insistere, non ne vuole parlare. Della madre dice che sta da qualche parte in Germania. Una sua donna, non ho ben capito se moglie o compagna, e' morta in un incidente stradale. Ma l' argomento che piu' gli interessa e' la guerra.
Il suo gruppo di guastatori, i successi sul terreno di combattimento, le armi sottratte al nemico, i ponti fatti saltare, i villaggi conquistati con pochi uomini, le beffe fatte ai serbi. Il suo migliore amico era Gaston il francese. Avrebbe dovuto partire con lui, mi racconta poi di Jaice, della difesa disperata e inutile della citta' , dei bambini che aveva tirato fuori dalle macerie: "Uno l' ho tirato fuori, era vivo. L' ho preso in braccio, mi accorgo che pesa poco. Era senza gambe, rimaste li' per terra". E perche' non avessi dubbi su cio' che mi confida a proposito delle imprese tira fuori dalla tasca della divisa mappe, permessi, carte sgualcite. Heinz beve e piu' beve piu' la sua voce si schiarisce e si fa sicura. Dopo un po' dimentica la telecamera. Gli faccio l' ovvia domanda: cosa provava a uccidere per soldi della gente. Mi risponde sicuro: "Nessuna impressione perche' quando sei li' in azione e spari non e' che vai li a vedere se e' morto, tu spari e sei cosi' concentrato e teso che non pensi a niente, hai questo "bum bum" nelle orecchie, sei sordo a ogni voce, a ogni pensiero, che non sia quello solo e unico e fisso di salvare la tua pelle, stai attento a ogni altro che ti si para davanti: e' l' avversario. Appena si muove ed esce allo scoperto, lo devi abbattere, e cosi' spari, spari tutto il caricatore, finche' questa figura, questa ombra di cui vedi solo i contorni, cadendo, scompare come dallo schermo di un videogames...
Una frazione di secondo, un pensiero che si intromette ti puo' essere fatale, perche' anche nell' altro gioca lo stesso meccanismo: devi sparare sempre per primo altrimenti e' l' altro che ti ammazza. Dopo hai i nervi e i muscoli cosi' rigidi che ti fanno male, ma e' una sensazione che non si puo' raccontare, va vissuta. A me piace". Ne hai ammazzati tanti? "Non mi voglio vantare di averne ammazzati tanti o pochi, ti basti vedermi sano e vivo: significa che ho sempre sparato per primo". Il giovane volontario Senti Heinz, gli chiedo, c' e' un qualcosa, un fatto, un' azione, che oggi vorresti non aver fatto da mercenario? "Piu' di una sicuramente . mi risponde . a partire dal...".
E Heinz si fa pensieroso. I suoi occhi celesti diventano uno schermo illuminato. Dentro vedo gia' la storia che mi vuole raccontare. "Spegni quel coso" dice additando la telecamera. Lo faccio. "Questo non l' ho raccontato mai a nessuno, neanche a loro".
"Eravamo quattro in missione, oltre la linea, nella cosiddetta terra di nessuno. Dovevamo preparare un' azione molto importante: far saltare un ponte e prendere i cetnici in trappola. Tutto andava liscio senonche' tra le due linee vicino alle case abbandonate ci trovammo di fronte un serbo, solo, giovanissimo, con la divisa militare, sicuramente un volontario. Camminava quatto quatto, armato solo di un vecchio fucile. Alla cintura aveva due bombe a mano e un pugnale alla Rambo. Lo abbiamo disarmato. Lui spaventato si giustificava che era li' solo per recuperare delle pecore perse, dei maiali che i contadini avevano abbandonato scappando. Lui li catturava e vendeva. Giura che viveva di questi traffici. Poteva essere vero, anzi era cosi' sicuramente. "Certo, aveva avuto un bel fegato a passare la linea. Ce lo portiamo dietro. Ci dice che si chiama Dragan, che il fratello era rimasto ferito, i suoi genitori erano profughi. Lo tenevo io, cosi' fraternizzammo un po' , una sigaretta, una battuta scherzosa e il ragazzo comincia a tranquillizzarsi. Era disposto a passare dalla nostra parte: si vedeva che era uno sbandato, era anche simpatico.
Eravamo li' li' per lasciarlo andare, quando i serbi si accorgono della nostra presenza, danno l' allarme e aprono il fuoco, anche se non avevano individuato esattamente la nostra postazione. Il ragazzo diventa per noi un impiccio. Il momento era molto delicato, avevamo con noi parecchio esplosivo. "Dragan comincia ad agitarsi, vuole scappare. Se lo avesse fatto, i serbi ci avrebbero localizzato e sarebbe stata la fine. Andava presa una decisione, subito, senza esitare. Ci scambiamo delle occhiate veloci. Il capo aveva gia' deciso. Con un gesto della mano ci fa capire che andava fatto fuori. Anche il ragazzo capisce, e' terrorizzato, si getta per terra, implorando di essere risparmiato. Piange. Si aggrappa a me, chiedendomi aiuto, protezione. Il capo si avvicina e con un colpo di karate' lo stende, con un altro colpo deciso gli spezza il collo, col pugnale lo finisce. Ci allontaniamo, lasciandolo li' agonizzante. Tornammo alle nostre linee senza aver subito alcun danno.
Quella sera, ci sbronziamo. Mai, tra di noi, un cenno, una parola, su quello che era successo. Era stata una carognata, avremmo potuto risparmiarlo. Ma quegli occhi di Dragan, quegli occhi che chiedevano aiuto non li posso dimenticare, mi sono rimasti qui, nello stomaco, li sogno anche di notte: mi perseguitano, mi accusano". Voglia di partire Heinz accende una sigaretta, si alza rovesciando un bicchiere, va alla finestra. "Durera' ancora molto quest' intervista?", mi chiede. "Fa caldo, ho voglia di uscire. Andiamo a Gradacac a bere qualcosa". E poi di nuovo, guardandomi: "Sai, Bruno, erano gli occhi di un ragazzo sveglio e ribelle... Ma ero stato anch' io cosi' alla sua eta' . Erano gli occhi di mio fratello Thomas". A un certo momento viene a sapere che io voglio andare giu' a Spalato con il convoglio, devo partire il 2 giugno. Improvvisamente mi dice, cosi' , senza che aspettassi una cosa del genere: io devo venire assolutamente con te, devo andare via da qua, perche' le cose stanno tirando male, non mi piace com' e' l' aria, ho sentito certi discorsi che non mi piacciono, di come puo' svolgersi la situazione. Poi lui sa dei musulmani e croati che si combattevano, lui non si sente di stare ne' dall' una ne' dall' altra parte. Vuole andarsene via. Allora io gli dico: non c' e' nessun problema, ti inserisco nella lista del convoglio. Dico: ti troviamo qualcosa e viaggi come fotografo. Poi, una volta a Spalato ci salutiamo. Ma arriva la notizia dell' agguato al convoglio italiano, con la morte di tre di loro, e mi arriva l' ordine di sospendere la partenza. E io lo avviso che non si parte piu' , lui ci rimane molto male, chiede quanti giorni devo aspettare. Gli rispondo che non lo so, perche' la situazione non e' chiara. Devo attendere che le strade si facciano un po' piu' sicure. Mi chiudo in casa depresso.
Erano gia' due mesi che non si poteva piu' viaggiare. I magazzini Caritas di Gradacac erano vuoti. Lunedi' 8 giugno un mio collaboratore, Nermin, viene a casa mia e a bruciapelo mi fa: "Sai cosa ha fatto il tedesco?" "Si e' ubriacato e ha sparato a qualcuno?", chiedo. "Si' , ha sparato a se stesso. Sabato sera, al bar Metropolitan, si e' sparato un colpo davanti a tutti. Vai a capire perche' l' ha fatto!". Potevo immaginare Heinz che ubriaco, per scherzare si punta la pistola e tira dimenticandosi il colpo in canna... Oppure qualcuno gli ha sparato. Invece dicono che si e' suicidato. Non ho il tempo di reagire che sono gia' diretto a Srebrenica. Il bar Metropolitan e' aperto, c' e' la solita musica ad alto volume. Ci sono i soliti soldati e qualche ragazza. Tutto normale. La ragazza del bar, Sabrina, mi indica il tavolo dove Heinz si e' ucciso. A quello stesso tavolo ora c' erano dei soldati che giocavano a carte. Sabrina racconta: "Era stato qui tutta la giornata di sabato a bere, nervoso. Verso le nove avevo appena abbassato la saracinesca, Heinz si presenta da solo. Bussa alla porta, vuole entrare, insiste, chiede solo un caffe' .E' pallidissimo, quasi irriconoscibile. Ma non credo che fosse molto ubriaco: si reggeva bene dritto in piedi. Si siede a quel tavolo vicino ad altri soldati e dice: "Bevo un caffe' e poi parto, vado via finalmente". Gli chiedo se sarebbe ritornato alla fine della guerra. Non mi risponde e continua a fissare il tavolo in silenzio. In mano aveva una pistoletta con cui giocava, grande quanto un pacchetto di sigarette. Vado a preparargli il caffe' . "Non passa neanche un minuto quando sento uno sparo. Sul momento penso al solito soldato ubriaco che, per strada, spara in aria. Ma poi mi viene in mente la pistola di Heinz. Corro di la' e lo vedo da dietro, come addormentato, con la testa appoggiata sulla spalla di Nico, il soldato seduto accanto a lui. Tutti guardavano il soffitto, pensando che Heinz avesse sparato in aria. Ma gli esce sangue da un orecchio. Il soldato si alza e lui crolla per terra. E' morto mentre lo portavamo fuori. Poi un' ambulanza militare l' ha portato a Tuzla". L' ultimo saluto Corro subito a Tuzla, insieme a due suoi amici che non vogliono ancora credere che Heinz si e' suicidato. Sono loro a raccontarmi i suoi ultimi giorni. "La notizia che la partenza era stata rinviata lo aveva contrariato: lui era gia' pronto, aveva salutato tutti e fatto dei regali. Aveva trovato anche un vestito civile che gli andava stretto. Alla sera era di nuovo ubriaco. Lo aveva fermato la polizia militare con la quale aveva qualche vecchia ruggine. Era un mese che non andava al fronte e passava tutto il suo tempo nei bar a ubriacarsi: questo non piaceva alla polizia. Li aveva provocati, scommettendo che lui sarebbe partito nel giro di 48 ore, con o senza "l' italiano". Il giorno dopo si era messo alla ricerca di un passaggio per la Croazia. Aveva fatto l' autostop fino a Tuzla, ma li' non lo avevano fatto passare. Venerdi' non l' abbiamo visto. Sabato l' abbiamo visto al bar che beveva come al solito e alla sera e' successo quel che e' successo". A Tuzla vado alla Croce Rossa per sapere dove avevano portato il suo corpo. Volevo dargli il mio ultimo saluto e accertarmi che si fosse suicidato. La Croce Rossa non ne sa nulla, mi consigliano di andare all' ospedale. Era li' , nei sotterranei dell' Istituto di medicina legale. Abbiamo girato a lungo per trovare il primario, un dottorino alto un metro e 60 che, con fare seccato, ci dice: "Ah si' , il tedesco, quel pezzo di cristo, ma cosa gli e' venuto in mente a questo qui? Noi cerchiamo di salvare la pelle, non sappiamo come fare a curare i feriti e questo viene qui in Bosnia per spararsi!".
Ci accompagna dall' altra parte dell' Istituto, in uno scantinato. Per terra ci sono molti cadaveri coperti da lenzuola su delle barelle. Ne sposta tre quattro con il piede, fino a che, giunto alle celle frigorifere ne apre una dicendo: "E' qui". Prima ho visto le gambe, poi Vlado ha aiutato l' inserviente a tirare fuori il cadavere dalla cella. Piano piano e' uscito il corpo, un corpo enorme; massiccio, muscoloso (con un lungo taglio dalla gola al sesso che era stato ricucito sommariamente). Quando e' venuta fuori la testa aveva un piccolo foro sulla tempia . gli avevano tagliato i capelli per fargli l' autopsia . ho avuto l' impressione di vedermi davanti uno di quei dipinti della Cappella Sistina dove viene rappresentato il dannato: aveva un' espressione stravolta, ma soprattutto un ghigno, un ghigno da disperato: Vlado si toglie dal collo la corona del rosario e la depone sulla salma. L' ultimo saluto era fatto. >>
 
(Bruno Zanin, “Corriere della Sera”, 12 luglio 1993, p. 5 ss.)
 

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