stanca per aver vagato tutta notte, le palpebre pesanti,
bramava anche lei distendersi sulla riva col vecchio amico,
sotto l’ombra di un salice, dormire anche lei un poco;
poso lievemente le mani ossute sul petto dell’Arciere
e così abbracciata la valorosa coppia precipitò nel sonno.
Dorme la Morte, e sogna che esistano uomini vivi,
che s’innalzino case sulla terra, e palazzi e regni,
che vi siano giardini fioriti, e che alla loro ombra
passeggino donne gentili e cantino le schiave.
Sogna che sorga il sole, e che la luna illumini,
che giri la ruota del mondo, e che ogni anno porti
erbe e fiori, e frutti d’ogni sorta, e dolci piogge e neve;
e compia un altro giro rinnovando ancora la terra.
Sorride di nascosto la Morte, lo sa bene ch’è un sogno,
vento multicolore, fantasia della sua mente stanca,
e tollera incurante che l’incubo la assilli.
Ma pian piano si rianima la vita, la ruota prende slancio;
la terra apre avida le viscere, penetrano pioggia e sole,
infinite uova si schiudono, la terra brulica di vermi,
muovono folti eserciti di uomini, uccelli, fiere,
pensieri e si avventano per divorare la Morte addormentata.
E una coppia di umani rannicchiata nelle grotte delle sue nari
accende e attizza il fuoco, poi si prepara il pranzo,
e al suo forte labbro sospende la culla del neonato.
Sente un sollecito sulle labbra, un formicolio alle nari,
si scuote d’improvviso la Morte, così svanisce il sogno;
per un attimo fulmineo ha dormito, per quell’attimo ha sognato la vita.
Nikos Kazantzakis, da Odissea, 1938 (trad. di Nicola Crocetti, in Poeti Greci del Novecento, Milano 2010).