Tatuaggi

“Non ci posso credere!” Questa fu la tua esclamazione quando i tuoi occhi si posarono sulla mia pelle nuda, eretta davanti a te. Ogni centimetro quadrato, ogni piccola ruga, ogni più minima piega espressiva era istoriata dagli alluci alla cute sottostante il taglio monello dei miei capelli da un tentacolare tatuaggio, ti raccontai, disegnato dagli innumerevoli aghi femminili che mi hanno attraversato, alcuni dolcemente, altri conficcando nel tessuto neuronale le loro acuminate sezioni, iniettando quel liquido nostalgico che, in caso di necessità, succhio per dissetare la tristezza della noia: nomi, luoghi, risate, piccole cose, tutto tracciato, scritto, illustrato. Non è possibile trovare spazio per te, per noi: le linee, gli arabeschi, i tratti non possono essere cancellati, neppure il trascorrere del tempo li erode, li sbiadisce, ne attenuerà i colori, ma essi rimangono e rimarranno visibili anche se quasi trasparenti. Non dissi una parola, quando le tue dita curiose sfiorarono il mio disegno, le mie miniature, mentre i tuoi occhi piansero una sola lacrima di cristallina sincerità, priva, tuttavia, di quelle caratteristiche magiche che consentono di distruggere ciò che bagnano e creare lo spazio necessario alla tua fantasia. “Non ci posso credere!” - esclamai osservandomi allo specchio. Un puntino, un segno di dimensioni atomiche, campeggiava fiero ed allegro nel suo amaro mare di un milionesimo di millimetro di diametro. Le tue labbra, prima di lasciarmi impiccato, appeso alle mie linee, avevano impresso il loro sorriso, gonfio di quel sapore mordace, consapevole della necessità della rinuncia. Rifiutare te, noi, per mancanza di pelle è come...

 

Note: lascio al lettore ovvero alla lettrice la chiusa della similitudine.