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Duecento parole per vestire un silenzio

Chissà perché hai pensato al duecento.

Duecento parole per vestire un silenzio.

Le ho sognate tutte e per  tutta la  notte. E ora che sono le sei e trentotto non dormo. Ho srotolato un tappeto mettendole in fila e le ho viste mentre prendevano forma. Le ho persino contate e alla fine del sogno erano un poco di più. Mi continui dicendo che per un giorno normale di vita vissuta ne bastano altre venti, in aggiunta. Sì, le ho sentite bussare e chiedere  spazio nel mezzo del mucchio. Serviranno. A riempire, a colmare  le soste che passano tra un noi e la voce che esce per dire di noi. Sono spessori,  quei mattoncini in più che tolgono al pieno un po’ di motore per far arrivare la spinta nel ventre. Allora ti sorrido all’idea e nel tratto di tempo che mi lasci al pensiero faccio calcoli e conte  che  mi disegnano in bocca. Poi nutro un ricordo che gronda di nomi e ti inondo di voce finché non mi fermi con un dito alle labbra. Non ho solo parole che escono all’aria. Ci aggiungo le soste (quelle che diluiscono le tinte), le virgole (che lasciano il gusto di ricamare e cucire) e qualche punto da riprenderci il fiato. Voglio essere generosa nel dirti le cose, le storie, le mille ragioni che mi investono i sensi. Non ho mai saputo recintare le quantità, né ho mai voluto impoverire l'idea  per arrivare a dire i perché.  E oggi, che mi lasci sfide di nomi e di verbi messi in fila  per due, dovrò lottare per contenere, per dare la forma con pesi e misure.  Percorrerò la strada breve, quella che porta dritto ma non tace. Io, che di me amo le curve, in questo viaggio ai duecento, dovrò camminare con grande equilibrio. Avrò bisogno di toccarti la schiena, di chiamarti a bocca chiusa per non sprecare le tracce, di mescolare gli sguardi alle cose taciute. Rivolterò qualche sasso sul percorso e scriverò senza muovere l’aria. Dirò di gesti e rimbalzi, di pudori, determinazioni, di rossi nel mare e di vele, poi racconterò dei lampi, rimedi e incantesimi bianchi. Sussurrerò di crinali e dorsi nudi, di rose e profili. Di polveri. Urlerò di semi e girasoli, di valzer e moviole. E mi abbandonerò all’ardore, al treno che passa ad un cielo che allarga.

 

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