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Tra i nostri passi

- Ne è passato di tempo dall'ultima volta che abbiamo camminato sotto questi portici.

- Eppure sembra ieri.

- Già.

- Ma forse è proprio questo il bello della vita. Sulle cose che piacciono il tempo sembra fermarsi.

- Puoi ben dirlo.

Francesco mi guarda sorridendo.

Camminiamo per la città.

 

La ragazza bruna, dagli occhiali scuri, seduta alla biglietteria sta parlando alla collega. Dietro di lei, appeso al muro, vi è un post-it.

“Per Paola: Ricordati di ricordarti di pulire.”

Le sale della mostra si aprono al piano superiore. Saliamo l’antica scalinata. Nella prima sala un enorme quadro occupa tutta la parete. A lato due giovani ragazze sostano davanti ad un bronzetto. Francesco, guardandole, sospira:

- Certo che l’arte... è proprio commovente!

La ragazza, lo osserva con uno sguardo laterale. Sofferma per un istante i suoi occhi sui suoi.

- Dai, che hai fatto colpo... - gli sussurro piano.

- Certo che le donne... tutte mi puntano ma nessuna si da! - mi risponde lui con fare ironico.

Una serie di dipinti e sculture dei primi del Novecento è esposta nelle varie sale. Un estintore antincendio con il suo colore rosso contrasta, in modo chiassoso, con un dipinto “crepuscolare”.

Il paesaggio del dipinto è avvolto da una luce fioca. Sembra prodotta da una lampadina che si sta esaurendo.

Gli ultimi bagliori. Un invito alla melanconia.

 

Al termine della mostra usciamo in strada.

- Si è alzato il vento - osservo distrattamente.

- Già, stamani non c’era - mi risponde lui.

- Certo che la Val di Susa è proprio un imbuto, soffia di tutto su Torino. - commento guardando oltre il Po.

Il cielo sulla collina da blu sta diventando cupo, violaceo. Da uno squarcio di nubi, un raggio di luce illumina, incisivo come uno spot, la Basilica di Superga.

- Guarda, Francesco, Superga così illuminata sembra uno Shuttle, appoggiato lì , in procinto di decollare.

- Be', con un po’ di fantasia... forse.

 Camminiamo silenziosi tra il traffico e i nostri pensieri. In questa pausa interiore un pensiero improvviso si fa strada nella mia mente; è inquietante e cupo come il cielo scuro che incombe su di noi. Mi volto verso di lui e gli domando:

- Ma che cosa ti ha lasciato tuo padre?

Lui ci pensa un po’ su poi dice:

- Niente. Mio padre mi ha lasciato niente. Siamo stati due cose diverse io e lui.

Tace per un istante, poi ribatte:

- A volte lo stupivo per il mio modo di essere. Non riusciva a capire come mai nonostante la pensassi in questo modo non fossi come lui. Avrebbe voluto che io avessi un diploma, un lavoro regolare, insomma tutte quelle cose che concorrono a far sì che uno sia: “un bravo ragazzo”.

- Be', mi sembra logico, non trovi?

- Ma tu devi capire che le persone non sono uguali; e quindi le cose che voleva lui non le volevo io.

- Ma che rapporti avevate?

- Quasi nessuno; come tutti quelli della sua generazione con i propri figli.

- Ma tuo padre è stato un individuo con un profondo senso morale che ha sempre pagato in prima persona le sue scelte.

- Ma era troppo rigido. Bisogna essere rigidi con sé stessi, e flessibili con gli altri. Lui non lo era.

- Qualche cosa ti avrà pur lasciato... dei momenti particolari, qualche ricordo.

- No... non credo. Nella vita non bisogna mai compiere il peccato originale.

- Il peccato originale?

- Sì, volere che i propri figli, o altre persone, si comportino secondo i nostri desideri. Questo è il peccato originale. In questo modo, ci sostituiamo, o crediamo di sostituirci a Dio. Mi capisci no? E poi dimmi, sinceramente, mi vedi dietro ad una scrivania?

- No, Francesco, ti credo.

Mi capisci, no?

- Veramente Francesco, dopo un po’ che parlo con te mi ci perdo.

- Anch’io.

 

 

 

 

 

 

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